Prestando occhio
critico a questa e quella galleria in Italia, partendo dalla Pinacoteca di Bari, passando per il Museo Regionale di Messina, sino a toccare le più
rinomate Galleria Borghese o gli Uffizi, spesso mi capita di disquisire in
merito a particolari aneddoti documentati o questioni riguardanti qualche ente
museale della penisola.
Galleria Estense di Modena, facciata. |
In quest’ottica
di predilezione, si inserisce perfettamente la Galleria Estense di Modena, un museo che
espone sia le collezioni artistiche, una volta appartenuti ai Duchi d'Este, sia opere acquisite in seguito
dallo Stato, nel corso degli ultimi due secoli.
In questa svirgolettata
però non vi parlerò della galleria, - che per altro scopro non avere un sito internet
ad hoc, aggrappandosi ad altri della sovrintendenza o dei diversi musei
modenesi ed emiliani, come ben visibile da questo link – scrigno che contiene
opere di artisti quali Dosso Dossi, Raffaello, Cosmè Tura, Correggio, El Greco,
Velasquez, Rubens, Veronese, Rosalba Carriera, Guercino, Guido Reni e Ludovico Carracci,
ma porterò alla luce un piccolo quiproquò simpatico e singolare, che so sarà
fonte di apprezzamento tra gli estimatori ed i critici.
A seguito delle mie ricerche all’Archivio
Centrale di Stato, infatti, circa i restauri ai dipinti mobili in Italia nei
primi due secoli del Novecento, sono stato ben lieto di scoprire che la Galleria
Estense di Modena fu sede di restauri in diverse occasioni, tra cui quella del
1913, quando i restauratori Grandi e Boschi, operarono sui grandi ottagoni che
coprono il soffitto della struttura.
Tintoretto, Deucalione e Pirra, XVI secolo, olio su tavola, Galleria Estense, Modena |
Per una storia
sintetica dell’opera protagonista del restauro, i quattordici grandi ottagoni
raffiguranti episodi mitologici, sono tavole dipinte ad olio dal Tintoretto,
acquistati nel 1653 a Venezia, dove probabilmente decoravano il soffitto di una
sala del palazzo dei Conti Pisani di San Paterniano. In seguito poi, nel 1658, gli
stessi furono offerti a Francesco I, che li acquistò e li rese parte integrante
delle sue collezioni di arte.
Tornando al
restauro avvenuto quindi nel 1913, proprio questa operazione, ben cinque anni
più tardi dal lavoro finito, nel 1918,
si rivelò causa di amare disquisizioni tra due grandi personalità del
calibro del Soprintendente alle Gallerie di Parma. Ladaudeo Testi, e dell’allora
Direttore della Galleria, Giulio Barriola, colui che al tempo, aveva ordinato
che venissero effettuati i restauri, senza previa autorizzazione della
Soprintendenza.
Tintoretto, Marsia, XVI secolo, olio su tavola, Galleria Estense, Modena. |
Da quella
relazione infatti, si evinceva l’entità dei restauri effettuati sugli ottagoni,
che presentavano i cieli ridipinti per intero, secondo un lavoro di
rifacimento, più che di restauro. Per altro gli stessi, dopo solo sei anni, già
presentavano nuovamente sollevamento di colore.
Una situazione
quella, che creò un clima molto teso tra l’allora Direttore Generale delle
Antichità e Belle Arti, Corrado Ricci, il Barriola e il Testi; clima che si stemperò con il chiarimento della faccenda, avvenuto nel dicembre 1918.
Un chiarimento reso possibile solo dopo che Laudadeo Testi
ebbe modo di confrontarsi con il consigliere Comunale di Modena, tal signor
Campori: questo infatti ebbe modo di raccontare al Testi, diversi aneddoti
riguardanti la figura di Adolfo Venturi, la sua
preparazione in materia di restauro ed il rapporto conflittuale col Barriola, trascinando quindi ogni attenzione sul
giudizio da attribuire a quella relazione stilata proprio dal Venturi.
Tintoretto, Piramo e Tisbe, olio su tavola, Galleria Estense, Modena. |
Allorché, analizzando i
fatti secondo i racconti del Campori, si veniva a delineare del Venturi, il
profilo di uno storico dell’arte probabilmente incompetente in materia di
restauri e poco oggettivo nei suoi giudizi: nel caso specifico, nonostante
tempo addietro il Barriola fosse stato allievo del Venturi, questo si trovò in
più occasioni a denunciare i restauri effettuati dal discepolo, a Napoli e
Parma, senza aver le competenze tecniche per farlo.
E ancora,
volgendo la questione sul piano personale, non era da sottovalutare in
quell’occasione, un chiaro intento dell’Ispettore (sempre Venturi) nel voler
gettar fango proprio sulla figura di Laudadeo Testi, che non aveva mai nascosto
di ritenere un avversario personale, sin da quando proprio il Testi, vinse suo
figlio in un concorso con notevole premio in denaro.
Alla luce di
questa visione dei fatti, il bandolo della matassa fu sciolto quindi in una
missiva destinata al Direttore Generale Ricci, dove il Testi, dimostrando di
aver ritenuto veritiero quanto detto dal Campori, confermò di aver
personalmente interrogato il Boschi circa i ritocchi al Tintoretto, e di aver
ricevuto da questo come risposta, un’estraneità da parte del restauratore, ai visibili
ritocchi.
Nessun commento:
Posta un commento