Mentre figure di
artiste come Artemisia Gentileschi e Rosalba Carriera, nel loro piccolo godono
di una fama non indifferente, stessa cosa probabilmente non è possibile
affermarla a riguardo di una loro pari vissuta a cavallo tra ‘500 e '600, ritrattista ufficiale dei Reali di Spagna.
Parlo di una pittrice,
tal Sofonisba Anguissola, che tanto mi ha ricordato nel suo Autoritratto del
1554, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Ragazza con occhi
verdi, che Matisse dipinse nel 1908: lo sguardo è lo stesso, con quegli iridi
di un verde acceso e sconvolgente che catturano le attenzioni e sprigionano la
vita in una cornice di pacata serenità.
Sofonisba Anguissola,
Autoritratto, 1554, olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna |
H. Matisse, Ragazza con occhi verdi, 1908, olio su tela,
Museum of Modern Art, San Francisco |
Nata a Cremona, nel
1532, da genitori piacentini appartenenti alla nobile casata degli Anguissola,
Sofonisba fu forse la più degna rappresentante femminile della pittura
rinascimentale in Europa. La fortuna di nascere in una famiglia che le potesse
permettere un’educazione di tutto rispetto improntata agli studi umanistici, le
permise di poter sperimentare la pittura presso la bottega di Bernardino Campi
prima, e Bernardino Gatti poi.
S. Anguissola, Autoritratto al cavalletto, 1556, olio su tela,
Muzeum Zamek, Lancut. |
Fu lo stesso Bernardino
Gatti che, valutando il talento di Sofonisba, la indusse a ripercorrere la
strada della ritrattistica, notando la sua particolare attenzione ai tratti
fisiognomici della figura umana: poter ritrarre modelli dal nudo allora, non
era un’opportunità così facilmente concessa alle donne, perché la società
moralistica del tempo non vedeva di buon occhio la cosa; quindi sotto quest’ottica di proibizionismo,
la pittrice fu più motivata e spinta ad eccellere rispetto ai colleghi di sesso
maschile, riuscendo a farsi notare dal maestro prima e dai committenti poi.
E fu proprio nelle
corti italiane che Sofonisba si rivelò figura di spicco del Tardo Rinascimento
e del Manierismo, tanto da esser citata anche ne Le Vite di Giorgio
Vasari, in quanto artista completa che ne sapeva oltre che di arte, anche di
musica e letteratura, ben lodata da Michelangelo, che dopo averla conosciuta, la riconobbe come
abile e talentuosa pittrice.
S. Anguissola, Ritratto
di Filippo II, 1565, olio su tela, Museo del Prado, Madrid |
Ciò che scrisse il Vasari
riguardo ai suoi dipinti (“tanto ben fatti che pare che spirino e siano
vivissimi”), fu quanto videro in Sofonisba tutti i committenti e i reali sotto
i quali lavorò: specializzata in
ritratti, la pittrice ritrasse i suoi modelli apportando la giusta attenzione e
meticolosità alla resa fisica dei volti, ma non solo.
Convinta che l’apporto di
elementi ed oggettistica appartenente al
ritratto, potesse raccontare la sua personalità, alcuni particolari di lui sconosciuti, o passioni non rivelate ed
interessi curiosi, non di rado ritraeva i suoi modelli nell’atto di leggere un
libro che destava in loro un deciso interesse, o ancora, mentre indossavano gioielli e monili di
famiglia a cui erano particolarmente legati o un'arma alla cintola, simbolo
del potere esercitato.
Ovviamente dei
ritratti di Sofonisba quello che colpisce di più l’animo di chi ammira quei
volti è – come dicevo nell’introduzione all’artista - l’intensità degli sguardi
e l’espressività emotiva dei visi, che testimoniano uno studio intenso sulla
resa della contrazione dei muscoli, come deducibile dai disegni effettuati dall’artista:
così come aveva fatto Leonardo per il suo Giuda nell’Ultima Cena, (vedi svirgolettata
su La bruttezza nella figura femminile dell'arte), Sofonisba si esercitò molto sulla
resa del riso, del dolore, del disgusto, del pianto; esempio valido dei suoi
risultati è il disegno di un bimbo che piange perché morso da un granchio, al
quale, perché no, potrebbe essersi ispirato il Caravaggio, lombardo come lei,
per il suo Ragazzo morso da un ramarro.
S. Anguissola, Bimbo
pizzicato dal granchio, 1554, carboncino su carta, Museo di Capodimonte, Napoli. |
Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro, 1594, olio su tela, National Gallery, Londra. |
Dopo aver assaggiato
le diverse corti italiane, nel 1559 Sofonisba tentò il riconoscimento
europeo approdando alla corte di Filippo II di Spagna, stabilendosi inizialmente
come dama di corte della regina e delle sue figlie, poi, una volta convinto il
re delle sue doti, come ritrattista sino al 1568, quando venne a mancare la regina Isabella, che tanto aveva premuto affinché la pittrice fosse
riconosciuta ritrattista ufficiale della famiglia reale.
A. Van Dyck, Ritratto di Sofonisba Anguissola, 1573, olio su tela, British Museum, Londra. |
Abbandonata quindi la
corte spagnola con la morte della regina, non sena aver lasciato un buon
ricordo di sé, tanto da essere lodata ed ammirata dal suo successore alla corte
spagnola, Antoon Van Dyck, che le dedicò un ritratto, Sofonisba sposò nel
1573 il nobile siciliano Fabrizio Moncada e si trasferì con lui a
Paternò, in Sicilia. Successivamente con la morte del marito, avvenuta 5 anni
dopo durante il viaggio di questi verso la spagna, la pittrice lasciò la
Sicilia per Livorno, dove conobbe e sposò in seconde nozze, il nobile
genovese Orazio Lomellini. E con lui tornò a Palermo, dove continuò a
dipingere nonostante seri problemi di vista, che l’accompagnarono sino alla
morte, avvenuta nel 1625.
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