Uno
degli argomenti fonte di dibattiti, a volte persino accesi, è l’attribuzione dell’aggettivo “bello” alla sfera soggettiva
piuttosto che oggettiva (e viceversa), all’interno di una qualunque
considerazione critica.
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M. Rothko, No.5/No.52, 1950, olio su tela, MoMA, New York |
Già
nel corso degli anni la situazione si era più volta ripresentata al mio
cospetto durante discussioni di più o meno notevole spessore, soprattutto in
occasione di giudizi riguardanti le opere d’arte contemporanea. Insomma, chi
può decidere se Gli amanti di Chagall o, ancora meglio, No.5/No.22
di Rothko, siano dipinti degni di esser considerati belli?
Di
certo la definizione tratta dal dizionario non aiuta: "che corrisponde ai canoni
della bellezza”.
O comunque,
non è sufficiente a poter chiudere il discorso, conferendo finalmente
all’aggettivo la giusta relegazione: i canoni in quanto tale sono l’espressione
di un’oggettività di fondo esplicata attraverso regole e criteri; ma gli stessi
non possono definirsi di natura oggettiva, perché essendo l’uomo a giudicarne
la validità, automaticamente applica a questi, una valutazione di carattere
soggettivo.
Discutendo
di questo con alcuni colleghi storici dell’arte, il discorso si è diretto su
vie più leggere, nel tentativo di individuare concretamente
“il bello” nella figura femminile; per cui l’aggettivo si è tripartito in tre
etichette sui generis, decisamente contraddistinte tra loro eppure appartenenti
alla stessa radice:
“il provocante”, “il sensuale” e “l’angelico”.
Quindi,
rimanendo fermi sull’accezione positiva dei tre termini, che inglobano
implicitamente i canoni di equilibrio e gentilezza delle fattezze fisiche, il
primo configura la bellezza che tende ad usare il suo corpo piuttosto che i suoi lineamenti probabilmente, altrimenti, anonimi, per arrivare al cuore o al desiderio di un uomo. Un
abito scollato e volgare, una smorfia tesa ad accentuare un labbro di per sé
carnoso o un tacco slanciante connotano questo
tipo di donna.
L’angelico
appartiene alla donna dai lineamenti fini e delicati, altera e fulgida ma nello
stesso tempo innocente. La donna angelica non crea desiderio, ma è essa stessa il desiderio, è la rivelazione
della perfezione o di quello che più le si avvicina.
Il
sensuale è la via di mezzo tra il provocatorio e l’angelico: la donna sensuale
è conscia della sua bellezza, che non è sconvolgente come quella della donna
angelica né anonima come quella della donna provocante e la valorizza
attraverso atteggiamenti sfuggenti che inducono alla curiosità,
in un coacervo di dubbi esistenziali che portano l’uomo a scegliere se renderla oggetto della
propria contemplazione o del gesto sessuale.
Volendo
argomentare visivamente queste definizioni nell’ambito specifico della storia
dell’arte, ho iniziato a cercare quelli che secondo me possono essere i
giusti esempi, al fine di ricostruire un articolo che raccontasse l’iconografia di ciò che corrisponde alla mia idea di Angelico,
Sensuale e Provocante.
A tal proposito devo ringraziare la mia cara collega Silvia S. per aver contribuito alla stesura del testo analitico.
Indirizzato proprio da Silvia, a prender
visione dello scritto di Umberto Eco “Storia
della Bellezza”, in cui l’autore analizza in
maniera generica e totalizzante il concetto che io invece tento di marginare alla figura femminile nella storia
dell’arte, sono rimasto meravigliato riguardo la copertina del libro in questione, che raffigura una delle donne che personalmente
reputo incarni perfettamente l’idea di bellezza
angelica: Eleonora Medici di Toledo.
Ritratta dal
Bronzino, Eleonora Medici di Toledo, a mio giudizio è
assunta a donna angelica, intesa come custode della beltà, della grazia,
della raffinatezza, in una cornice di lineamenti delicati e di un carnato
perlaceo. La sua sontuosa veste non le rende giustizia costringendo il suo seno
ad esser parte integrante del tronco, però le attribuisce materialmente quella
regalità d’animo che traspare dai suoi occhi di madre e di donna.
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Bronzino, Eleonora di Toledo, 1545, olio su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze. |
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Bronzino, Cappella di Eleonora Toledo (part.), 1545 - 1550, affresco, Palazzo Vecchio, Firenze. |
Eppure
un Bronzino, così poeta nel catturare l’anima
della signora, è lo stesso che si rende ardito quando nella cappella di Eleonora
di Toledo a Palazzo Vecchio dipinge una donna dallo sguardo così magnetico e
coinvolgente, ghiacciato e ipnotico, da inquietare lo spettatore che la immagina essere
l’autrice di furbizie e astuzie maliziose.
Rimanendo
in tema e perseguendo consapevolmente un cliché,
necessario però per arrivare ai profani d’arte, è quasi
obbligatorio etichettare la Venere del Botticelli quale donna angelica ad
excelsior. La sua nudità non è mirata ad uno
scopo e non è indice di voluttà, bensì racconta un fatto che trascina alla
contemplazione della dea bella per antonomasia, la cui chioma fluente color oro
smorza la staticità della sua statuaria posa.
Quello
della Venere è l’esempio ad hoc per dimostrare che la nudità della donna non è sempre sinonimo di piacere sessuale. L’esempio di una sua
riconferma invece sembra dato da Ingres, che ne’ La Sorgente estremizza
la sensualità dell’adolescente, matura nelle espressioni di desiderio,
ammiccante con gli occhi, invitante con il suo braccio alzato a tenere
l’anfora, quasi stesse adagiata su un
letto, leggermente genuflessa per poter evidenziare il fianco burroso.
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S. Botticelli, Nascita di Venere (part.) 1484 - 1486, tempera su tela, Galleria degli Uffizi, Firenze. |
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J.A.D. Ingres, La sorgente, 1820 - 1856, olio su tela, Musèe d'Orsay, Parigi. |
E poi
c’è il Provocante. Che è un bello di carne, di passione e di trasgressione.
E’ il bello contemporaneo, così lontano dall’Angelico botticelliano - rinascimentale e da quello Sensuale del Romanticismo - Impressionismo.
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P.A. Renoir, Ragazza con il bouquet di tulipani, 1878, olio su tela, Collezione privata. |
Non è
il Sensuale di Renoir, il quale attraverso il
rosso dei ricci che cadono sulla schiena, lo stesso delle gote della fanciulla che non mostra i suoi occhi a causa di un cappello
nero piumato, rende l’ardente desiderio
individuabile nell’ingenuità della giovane donna col mazzolino di fiori.
È il
bello dell’amore mercenario e ribelle. È il bello della consapevolezza e della
fierezza, dell’individualità della donna che si fa strada in un mondo fatto di
uomini per uomini.
E allora la spregiudicatezza delle modelle di Schiele, con le loro gambe divaricate, non sono più motivo di tabù: i loro sguardi inducono al tradimento ed al peccato, raccontano la voglia di descriversi nella loro totalità.
Così anche ne Les Deimeselles d'Avignon di Picasso, dove le cinque prostitute, quasi derubate della loro privacy negli sparti lavorativi in una sorta di istantanea fotografica, rivelano il non detto attraverso la propensione a rendere caratteriali pose e posizioni professionali.
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E. Schiele, Wally Neuzil in le calze nere, 1913, acquerello, collezione privata. |
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P. Picasso, Les deimoselles d'Avignon, 1907, olio su tela, MoMA, New York. |