A
mio parere i primi anni del ‘900 sono tra i più affascinanti mai vissuti; gli
anni che un qualunque storico dell’arte contemporaneista desidererebbe vivere
probabilmente, perché no, quasi allo stesso modo del protagonista del film di
Woody Allen, Midnight in Paris.
Non
poche volte mi sono soffermato a raccontare di artisti e mecenati di quegli
anni che strutturano le basi di quella che sarà l’arte contemporanea vista come arte di concetto: dalla figura della critica Gertrude Stein, a quella di
artisti più noti come Maurice Utrillo, Alfons Mucha e Henri Matisse o meno noti come il pittore
polacco Stefan Sknilski, morto anonimo e ricordato da me quale il vero ultimo dei bohèmien.
O. Kokoschka, Pietà, 1909, litografia, MoMA, New York |
È
proprio in questi anni che quindi si plasma un diverso modo di vedere l’arte e
il soggetto raffigurato; secondo quella che è l’interpretazione personale dell’artista
e non la mera copia dal reale tipica dei secoli antecedenti: un esempio tra
tutti è riscontrabile in uno struggente quanto macabro manifesto in pieno clima
Art Nouveau, ad opera di Oskar Kokoschka.
Artista
e drammaturgo austriaco fu uno degli esponenti principali della secessione austriaca,
assieme a figure di spicco come Gustave Klimt ed Adolf Loos.
Dedicatosi
in una prima fase della sua vita agli studi di grafica pubblicitaria secondo
quelle che erano le richieste del mercato di allora, per poi passare nel 1908
alle prime sperimentazioni di pittura ad olio, nel 1909 si dimostrò abile
drammaturgo, eseguendo presso la Wiener Werkstätte, la prima rappresentazione
del suo dramma Assassino speranza delle donne.
Dramma
accompagnato da un manifesto, probabilmente il più riconosciuto di quelli
kokoschkiani, realizzato due anni prima,
intitolato Pietà.
Pietà (Vesperbild) di Roettgen, 1360, pittura su legno, Rheinischen Landesmuseum, Bonn. |
La
Pietà di Kokoschka infatti vede sì una donna che sostiene sulle proprie gambe un
uomo, ma è ben lontana da quella che è la
visione dolce e desolante della ben nota statua del Michelangelo in San Pietro: il manifesto è la rappresentazione macabra di una donna dai tratti ben definiti, gli
occhi piccoli e incavati e gli zigomi altamente pronunciati che quasi fanno di
lei un uomo, che in veste di assassina, dilania il corpo nudo ed ormai
deformato di un uomo.
Il
preludio questo manifesto, di quello che viene considerato dalla critica, il
primo grande esempio di teatro espressionista, che delinea e rifinisce il
rapporto uomo-donna secondo la visione del Kokoschka dei primi del Novecento,
dove l’eterna lotta tra uomo e donna può concludersi solo con l’assassinio
simbolico della donna da parte dell’uomo: solo così la donna sarà liberata e
redenta dalle catene dell’amore che lo legano all’uomo. La libertà della donna
altro non può essere che la morte.
Michelangelo, Pietà, 1497 - 1499, marmo, Basilica di S. Pietro, Città del Vaticano. |
E
qui la donna morendo, lascia cadere una fiaccola che si spegne con lei, mentre
addita l’uomo come il demone, il creatore di tutti i mali, che intanto fugge
uccidendo chiunque incontrasse sul suo cammino verso la vita.
Un
carattere quello dei personaggi quindi che non si discosta affatto dal
manifesto ideato due anni prima. Scrisse Kokoschka infatti in quell’occasione,
quasi a delineare il dualismo uomo – vita / donna - morte: “L’uomo è rosso
sangue, il colore della vita, ma egli è morto sulle ginocchia di una donna che
è bianca, il colore della morte”.
Bella l'ultima frase. Complimenti, davvero un gran bel post!!!
RispondiEliminaGrazie mille Ale e Fra, mi fa sempre piacere notare che le svirgolettate riscontrano l'interesse dei lettori. D'altronde potete ben capirmi, quando leggo gli articoli del vostro blog A destra e a manca, il ruolo si inverte. :)
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