mercoledì 25 settembre 2013

Oskar Kokoschka e la sua idea del conflitto uomo - donna: La Pietà e l'Assassino speranza delle donne

A mio parere i primi anni del ‘900 sono tra i più affascinanti mai vissuti; gli anni che un qualunque storico dell’arte contemporaneista desidererebbe vivere probabilmente, perché no, quasi allo stesso modo del protagonista del film di Woody Allen, Midnight in Paris.

Non poche volte mi sono soffermato a raccontare di artisti e mecenati di quegli anni che strutturano le basi di quella che sarà l’arte contemporanea vista come arte di concetto: dalla figura della critica Gertrude Stein, a quella di artisti più noti come Maurice Utrillo, Alfons Mucha e Henri Matisse o meno noti come il pittore polacco Stefan Sknilski, morto anonimo e ricordato da me quale il vero ultimo dei bohèmien.

O. Kokoschka, Pietà, 1909, litografia, MoMA, New York 
È proprio in questi anni che quindi si plasma un diverso modo di vedere l’arte e il soggetto raffigurato; secondo quella che è l’interpretazione personale dell’artista e non la mera copia dal reale tipica dei secoli antecedenti: un esempio tra tutti è riscontrabile in uno struggente quanto macabro manifesto in pieno clima Art Nouveau, ad opera di Oskar Kokoschka.

Artista e drammaturgo austriaco fu uno degli esponenti principali della secessione austriaca, assieme a figure di spicco come Gustave Klimt ed Adolf Loos.   
Dedicatosi in una prima fase della sua vita agli studi di grafica pubblicitaria secondo quelle che erano le richieste del mercato di allora, per poi passare nel 1908 alle prime sperimentazioni di pittura ad olio, nel 1909 si dimostrò abile drammaturgo, eseguendo presso la Wiener Werkstätte, la prima rappresentazione del suo dramma Assassino speranza delle donne.
Dramma accompagnato da un manifesto, probabilmente il più riconosciuto di quelli kokoschkiani,  realizzato due anni prima, intitolato Pietà

Pietà (Vesperbild) di Roettgen, 1360, pittura su legno,
Rheinischen Landesmuseum, Bonn. 
Iconograficamente il manifesto, ben riconduce alle statuine dipinte in legno, gesso o terracotta, raffiguranti il Vesperbild, parola che significa “immagine del tramonto o del vespro”, e che vedeva sin dagli inizi del Trecento, la rappresentazione della Madonna seduta che sostiene, sulle proprie gambe, il corpo esanime ed irrigidito di Gesù, morto la sera del Venerdì Santo.

La Pietà di Kokoschka infatti vede sì una donna che sostiene sulle proprie gambe un uomo, ma è ben  lontana da quella che è la visione dolce e desolante della ben nota statua del Michelangelo in San Pietro: il manifesto è la rappresentazione macabra di una donna dai tratti ben definiti, gli occhi piccoli e incavati e gli zigomi altamente pronunciati che quasi fanno di lei un uomo, che in veste di assassina, dilania il corpo nudo ed ormai deformato di un uomo.

Il preludio questo manifesto, di quello che viene considerato dalla critica, il primo grande esempio di teatro espressionista, che delinea e rifinisce il rapporto uomo-donna secondo la visione del Kokoschka dei primi del Novecento, dove l’eterna lotta tra uomo e donna può concludersi solo con l’assassinio simbolico della donna da parte dell’uomo: solo così la donna sarà liberata e redenta dalle catene dell’amore che lo legano all’uomo. La libertà della donna altro non può essere che la morte.

Michelangelo, Pietà, 1497 - 1499, marmo,
Basilica di S. Pietro, Città del Vaticano. 
Un pensiero, questo, ben visibile nel dramma, che vede un guerriero ed una castellana combattersi sino allo sfinimento finché la seconda non riesce ad avere la meglio sul primo. Ma una volta prigioniero, sarà l’amore verso costui ad indurre la donna a liberare l’uomo, sperando che questo sia spinto a ricambiarle il sentimento; cosa che non accade, anzi, che permette al guerriero di ucciderla con il solo tocco.
E qui la donna morendo, lascia cadere una fiaccola che si spegne con lei, mentre addita l’uomo come il demone, il creatore di tutti i mali, che intanto fugge uccidendo chiunque incontrasse sul suo cammino verso la vita.

Un carattere quello dei personaggi quindi che non si discosta affatto dal manifesto ideato due anni prima. Scrisse Kokoschka infatti in quell’occasione, quasi a delineare il dualismo uomo – vita / donna - morte: “L’uomo è rosso sangue, il colore della vita, ma egli è morto sulle ginocchia di una donna che è bianca, il colore della morte”.

2 commenti:

  1. Bella l'ultima frase. Complimenti, davvero un gran bel post!!!

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    1. Grazie mille Ale e Fra, mi fa sempre piacere notare che le svirgolettate riscontrano l'interesse dei lettori. D'altronde potete ben capirmi, quando leggo gli articoli del vostro blog A destra e a manca, il ruolo si inverte. :)

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