Da sempre sono
affascinato dalle artiste che hanno operato nei secoli dei secoli. E la
frequenza con cui scrivo svirgolettate che hanno per oggetto la conoscenza di
queste donne che non di rado mostrano schemi anticonvenzionali nel loro
operato, lo dimostra: vedi gli articoli su Artemisia Gentileschi, Vanessa Bell, Pamela Bianco, Seraphine Louis de Senlis, Marina Abramovic o la piccola Aelita Andre.
R. Carriera, Autoritratto con il ritratto della sorella, 1715, pastello su carta, Galleria degli Uffizi, Firenze. |
Sulla scia di questo
interesse, durante le mie curiose ricerche su internet, cercando di capire gli
studi della professoressa Bernardina Sani, docente di Storia dell’arte moderna
presso la facoltà di Lettere dell’Università di Siena, mi sono imbattuto nella
studiatissima da lei, figura della pittrice settecentesca Rosalba Carriera.
Avevo avuto già modo
di conoscere l’artista, studiando per un esame sulle arti del Settecento, tenuto
dall’insuperabile in materia, professoressa Liliana Barroero, docente di
Critica d’arte presso la facoltà di Lettere di Roma Tre; già allora mi aveva
affascinato la tenacia di questa pittrice che abbattendo tutti gli schemi
impostale dalla società veneziana, che voleva riconoscere nelle donne un
esempio di civetteria e servilismo, si impose alla stregua dei migliori artisti
del tempo.
Nata a Venezia nel
1673, Rosalba era figlia di una famiglia di stampo borghese: il padre Andrea
esercitava una carica nell'Ufficio di Cancelliere nei territori della
Repubblica Serenissima, la madre Alba Foresti, era una talentuosa merlettaia.
R. Carriera, Ritratto di Barbara Camparini, 1740 ca, pastello su carta, Gemaldegalerie, Dresda. |
La fortuna di vivere
un ambiente che da un lato le permetteva di conoscere l’etichetta ed affinare i
rapporti diplomatici con la società e dall’altro la inducevano a valutare con
occhio più attento e critico, l’arte di stampo artigianale, portarono Rosalba, assieme
alle sorelle Giovanna e Angela, a ricevere un'educazione non solo completa per
l'epoca, ma speciale: le tre, studiarono la letteratura e la poesia, le lingue,
le arti ed impararono a suonare il violino, come si confaceva nelle migliori
famiglie della Repubblica di Venezia.
Proprio grazie a
questa fusione di privilegi, Rosalba, col benestare della famiglia che ne
riconobbe il suo talento, si accaparrò un apprendistato presso il pittore
Giuseppe Diamantini, nome altisonante dell’epoca; successivamente operò nella
bottega di un’altra figura ben nota nel settore, Antonio Balestra.
Da qui, la sua
completa formazione di pittrice, la indusse a sperimentare una nuova pittura
incentrata sulla realizzazione di miniature a tema galante su osso e avorio,
per tabacchiere, gioiellerie e scrigni di ogni tipo; l’avorio fu un’innovazione nella pittura di
miniature, così ben riuscita che le relegò notorietà a livello nazionale ed
europeo, poiché il supporto osseo levigato, lasciava trasparire quella
lucentezza particolare della vaporosità del Settecento, che ben si fondeva al
tratto veloce tipico della sua pittura di stampo veneziano.
R. Carriera, Ederly Lady, 1740, pastello su carta, Gallerie dell'Accademia, Venezia. |
Ma, tipico degli
artisti più validi e geniali, sempre alla costante sfida con loro stessi alla
ricerca di idee innovative, agli inizi del Settecento Rosalba Carriera si iniziò
a concentrare sulla produzione di ritratti (la sua specializzazione) su carta con
la tecnica del pastello, una tecnica che ben delineava i fattori estetici del
nascente gusto Rococò, con le sue ciprie, le sue candide derma ed i nei simbolo
di contrasto tra una pelle pura ed un minuscolo peccato voluttuoso.
L’esser donna
probabilmente fu la fortuna della pittrice che proponeva i suoi ritratti,
poiché da donna, sapeva scrutare l’animo della persona che aveva di fronte,
facendone trasparire l’astuzia e l’arguzia o la diplomazia di quel politico, la
furbizia o la celata civetteria di quella moglie o compagna dell’alto
funzionario.
R. Carriera, Ritratto di Luigi XV, 1720, pastello su carta, Gemaldegalerie, Dresda. |
E a seguire, furono
proprio re, politici e principi stranieri a consacrare la fama dell’esecutrice,
come il Duca di Newcastle, o il giovanissimo Luigi XV, - ritratto durante il
suo viaggio a Parigi nel 1720 – che la fece conoscere alla corte francese, così
da indurla ed essere nominata membro dell’Académie Royale; e ancora le
principesse Benedetta, Anna ed Enrichetta d’Este, ed il re Augusto III di
Polonia, fan della pittrice tanto da raccogliere nel suo palazzo a Dresda
centinaia di ritratti della Carriera.
R. Carriera, Autoritratto, 1746, pastello su carta, Gallerie dell'Accademia, Venezia. |
Senza dubbio però, la
serie che merita più attenzioni è quella dedicata agli autoritratti, che
possono addirittura fungere come una sorta di biografia raccontata attraverso
la modifica del viso e delle espressioni: dalla giovinezza alla vecchiaia, in
un arco di tempo che attraversa quasi 37 anni di operato, il volto di Rosalba
si modifica, conosce le primordiali gioie dei successi e la tarda tristezza nel
vedersi appassire lentamente, senza mai aver provato quell’amore che ti
sconvolge i piani e ti fa mollare tutto ciò in cui credi per seguirlo.
L’ultimo autoritratto
è datato al 1746, intitolato La tragedia. Qui Rosalba si racconta attraverso
il volto molto invecchiato di una settantatreenne, triste e desolata, che quasi
è consapevole dell’annullamento che le procurerà l’intervento alla cornea, a
cui decise di sottoporsi proprio in quei momenti. Un annullamento, la cecità
totale, che fu il più indegno finale alla sua meravigliosa carriera.
Rosalba Carriera, di
nome e di fatto.
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