Cercando di aggiornare
con costanza la rubrica della pagina facebook di Svirgolettate, Un'opera dell'arte al giorno, - un contenitore che vuole provare a far da saltimbanco tra un’epoca
e l’altra attraverso dipinti significativi e non per forza rinomati, - per il
dipinto della data 22 settembre ho pensato di riproporre qualcosa che
ricordasse l’autunno, coi suoi colori tiepidi, con il suo ricordo ai defunti,
con il suo altalenante clima piovoso e freddo, mite e soleggiato.
A. Bocklin, Paesaggio di campagna, 1857, olio su tela, Alte Nationalgalerie, Berlino. |
Per cui, scavando nei
meandri della memoria, cercando di individuare un artista che avesse degnamente
saputo raffigurare gli elementi che cercavo, mi sono ricordato di un
meraviglioso Arnold Bocklin, artista che avevo affrontato per l’esame di Storia
delle Arti Applicate; un pittore operante nella seconda metà dell’Ottocento,
ascrivibile al periodo a cavallo tra gli ultimi strascichi di neoclassicismo e
le prive avvisaglie di Art Nouveau, passando per una fase romantica di forte
effetto.
Nato nel 1827 e morto
nel 1901, Bocklin visse quindi gli anni d’oro dell’Impero Tedesco: un periodo
attraversato da una consapevolezza di stampo nazionalistico applicabile alla letteratura,
così come alle arti. Ma l’artista svizzero fu una figura rappresentativa della
storia dell'arte non solo in Germania, bensì anche in Italia, avendo
vissuto parte della sua vita anche in Toscana.
Fu proprio l’Italia
infatti a trascinarlo verso la pittura di stampo romantico, essendo egli
inizialmente un paesaggista, talentuoso ma non geniale: già in questo primo
passaggio, che sfocerà negli ultimi due decenni dell’Ottocento in Art Nouveau, la
sua pittura si arricchisce di originalità, rivelando elementi mitologici tipici delle due
correnti.
Una pittura molto
vicina per alcuni aspetti a quella del Fussli de L'incubo, dove creature
oniriche si perdono tra architetture classiche, dove i simbolismi e le
allegorie si nascondono dietro animali, raffigurazioni antropomorfe ed oggetti,
dove è presente molto spesso un richiamo ossessivo alla morte; una pittura che
aveva avuto modo di sperimentare già all’Accademia di Dusseldorf dove si
iscrisse nel 1845, divenendo allievo di Johann Wilhelm Schirmer, pittore famoso
per i suoi dipinti con soggetti mitologici.
Proprio a questo tipo
di pittura appartiene l’opera L’isola dei morti, commissionata all’autore
nell’aprile del 1880 dalla contessa Marie von Oriola di Budesheim. La nobile tedesca
in quell’occasione, chiese all’artista, allora vagante tra la Germania e
Firenze, una rappresentazione pittorica della della vita dopo la morte.
A. Bocklin, L'Isola dei morti (II versione), 1880, olio su tavola, Metropolitan Museum, New York |
Un soggetto non facile
da interpretare, ma in pieno clima artistico del tempo; per cui a Bocklin non
bastò che guardarsi attorno e prendere spunto dalla vita – e dalla morte – che lo
circondava.
Il quadro infatti, che
raffigura una barca che si accosta ad un monumentale scoglio che affiora dalle
acque, ospitante cipressi altissimi e ripide pareti di pietra, pare prendere
spunto per l’isola, dal Cimitero degli Inglesi a Firenze, nelle
cui vicinanze sorgeva lo studio di Bocklin, dove furono dipinte le prime tre
versioni.
Ovviamente non è certa
l’appartenenza del modello al cimitero: il modello per l'isolotto roccioso è ancor
oggi fonte di dibattito fra i critici d'arte, poiché secondo qualcuno Bocklin
avrebbe viaggiato per il mediterraneo sino a scoprire Pontikonissi, piccola
isola vicino Corfù, custode di una cappella in mezzo a un boschetto di cipressi;
secondo altri critici, Bocklin avrebbe semplicemente preso spunto dai faraglioni
di Capri o addirittura dal castello aragonese di Ischia.
A. Bocklin, L'Isola dei morti (V versione), 1886, olio su tavola, Museum der Bildenden Kunste, Lipsia. |
L’opera d’arte
presentata alla contessa, fu subito oggetto di fortuna critica, riscontrando le
lodi della committente in primis e dei critici a seguire; persino nel mondo
artistico letterario il dipinto colpì le attenzioni di grandi figure come
Freud, D’Annunzio – che fece istallare alberi di cipresso nel Vittoriale – Dalì
e De Chirico, che prese spunto anche da L’isola dei Morti per individuare
alcuni punti fermi della sua angosciante e silente pittura metafisica.
A. Bocklin, L'Isola dei morti (IV versione), 1884, olio su rame, distrutto a Berlino durante la Seconda Guerra Mondiale. |
Tale grandissimo
successo spinse allora un Bocklin entusiasta e motivato a dipingerne altre
versioni: la seconda è praticamente per cromia e composizione, identica
alla prima; la terza, dipinta nel 1883 e data alla signora Tina Schoen-Renz
di Worms in Germania, la quarta, dipinta nel 1886 e la quinta, commissionata sempre nel 1886 dal Museum der bildenden
Künste di Lipsia, videro invece uno schiarimento del colore, che relegava
ai quadri un’atmosfera di pace, quiete e serenità, maggiori alle prime due
versioni.
E di queste, mentre la
quarta, appartenendo al ricco collezionista d'arte Heinrich Thyssen-Bornemisza, che
la appese nella sede della Berliner Bank, scomparve sotto i bombardamenti di Berlino,
per cui del dipinto ne rimane solo una fotografia in bianco e nero, la terza
versione è senza dubbio quella più conosciuta e ambita dai critici.
A. Bocklin, L'Isola dei morti (III versione), 1883, olio su tavola, Alte Nationalgalerie, Berlino. |
L’idea iniziale del
Furer infatti era quella di inserire il dipinto tra le opere degne di essere
custodite nel museo dell’arte del Reich, a guerra finita.
Si racconta
addirittura che nel 1938, in visita a Firenze, Hitler si fosse soffermato ad
ammirare i cipressi sopra piazzale Michelangelo, per poi esclamare: “Adesso
capisco Bocklin!”.
Un amore, quello di
Hitler per Bocklin, che sfociava quindi non di rado nell’ufficialità: un
esempio tra tutti è la foto ufficiale che ritrae nel 1939, Hitler insieme al
suo ministro degli esteri von Ribbentrop e al ministro degli esteri sovietico
Molotov, subito dopo la firma del patto di non aggressione russo-tedesco del
1939, nello studio del dittatore, dove si vede appesa al muro proprio la
terza versione del quadro di Bocklin.
Hitler con von Ribbentrop e Molotov durante la firma per il patto di non aggressione del 1939. Dietro Hitler, si nota il quadro di A. Bocklin. |
Fu un generale russo a staccarla dalla parete e a portarla a Mosca, dove rimase
sino al 1979, quando i tedeschi la ricomprarono grazie a delicate trattative
diplomatiche, per esporlo al Museo d’Arte Moderna di Berlino, dove ancor
oggi turisti da tutti il mondo possono ammirarla, volgendo poi lo sguardo a
poche centinaia di metri più in là, dove sorgeva il bunker del dittatore, che
tanto amava Bocklin.
Nessun commento:
Posta un commento