“Il
vincitore del 63esimo Festival di Sanremo è Marco Mengoni!”.
Così
si conclude un festival forse perfetto se non per l’ultima, sopraccitata
affermazione.
Beh
si, decisamente la vittoria di Marco Mengoni con la sua canzone L’essenziale è stata una salvezza,
ragionando sulle probabilità che potessero vincere i Modà (classificati terzi)
con la canzone Se si potesse non morire,
motivetto trito e ritrito che di sanremese ha tutto, dal testo mieloso alla
musica sdolcinata, che preferiresti accendere una motosega pur di ricreare un
rumore più gradevole.
Mengoni
segue una scia che si riconferma da ormai troppi anni (vedi questo articolo):
anche quest’anno il Festival della canzone italiana è stato vinto da un
partecipante di talent show, per quanto bisogna ammettere che il televoto è
valso solo per il 50% del giudizio ultimo che ha decretato la sua vittoria (25% dai
voti delle serate antecedenti alla finale e 25% dei voti giunti durante la
finale); l’altro 50% è stato composto dai voti della giuria tecnica.
La
canzone indubbiamente merita nonostante il testo e l'arrangiamento non siano né nuovi né originali:
vi dirò, ho dovuto attendere l’esecuzione post vittoria per capire che dicesse
“bene” e non “pene” quando cantava “Beati loro poi, se scambiano le offese con il bene”. Anche
se bisogna ammettere che la frase aveva senso in entrambe le versioni.
Per un festival che si è rivelato innovativo, - dalla conduzione
della coppia Littizzetto – Fazio, alle tematiche affrontate, alla scenografia, -
forse era però auspicabile che a vincere fosse un complesso che nonostante
ripercorresse la cresta dell’onda da anni, si è sempre rivelato originale,
innovativo e strabiliante nella composizione delle sue musiche, mai scontate e
mai populiste.
Elio e le Storie Tese, si sono presentati sul palco già dalla
prima serata, travestiti di teste gigantesche e atteggiamento sornione, - nell’ultima
addirittura sono ingrassati magicamente di almeno 50 kg, perfetti nelle loro
pance spropositate e nei doppi menti burrosi - ridicolizzando forse tra le
righe, tutti quei cantanti che hanno prestato un’attenzione particolare più al
look che alla canzone con cui si son esibiti e rendendo meno monotona e noiosa la loro esibizione.
Questa, con La
canzone mononota, si è rivelata una vera e propria performance: Elio ha
scimmiottato sul palco durante tutta la canzone, inglobando nella sua
performance il pubblico e l’orchestra, con la quale si è persino accordato su
una lunga pausa, e usando lo spazio intorno a sé come meglio gli poteva essere
utile: ha persino trovato il tempo durante l’esibizione di riuscire a prendere
un caffè seduto al classico tavolino da bar.
Con il loro atteggiamento, Elio e le Storie Tese, ci riconfermano
ancora una volta la loro propensione a non prendersi mai sul serio nello stesso
tempo in cui dimostrano professionalità. Un insegnamento che va avanti da 17
anni, quando portarono sullo stesso palco La
terra dei cachi.
Allora la canzone non fu
capita, anche se ha goduto negli anni di grande fortuna critica. Un piccolo
salto in avanti c’è stato con La canzone
mononota, che è valso al complesso un ottimo secondo posto, (merito della
spinta data dalla giuria tecnica), nonché il premio della critica dedicato a Mia Martini; ma il connubio primo posto Mengoni - secondo
posto Elio e le Storie tese, dimostra ancora una volta che l’Italia non è del tutto pronta ad accettare novità così
eclatanti e destabilizzanti, soprattutto se riguardano un contest come quello
del Festival della canzone italiana, che è sempre cresciuto nei luoghi comuni
della famiglia riunita davanti alla tv e della canzone che per esser definita coerente
con la kermesse deve contenere una certa struttura classica data da motivo
orecchiabile e testo romantico.
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