venerdì 1 febbraio 2013

Questioni di prospettiva


Quando ero piccolo, ero appassionato di geografia. Beh si, è strano sentir una cosa del genere e non mi stupisco se la cosa vi abbia creato un attimo di smarrimento: insomma, ammettiamolo, quanti bambini di sette anni conoscete, che girovagano per caso con un atlante di geografia sotto braccio dal mattino alla sera? Ed in effetti solitamente gli altri bambini avevano le loro macchinine Burago e i loro soldatini di piombo schierati in trincea pronti a puntare il fucile, mentre io avevo il mio libro di geografia, che a pensarci bene non era neanche un atlante, tomo nero rilegato in cartone duro, parte di un’enciclopedia comprata dai miei genitori, novelli sposi, nei primi anni Ottanta.
Ricordo ancora bene quel tomo. Nella sua monocromia così tetra, spiccava un quadrato rosso fuoco, quel rosso che presto contraddistinsi con la passione che infervorava in me ogni volta che leggevo una pagina in più. Non c’erano colori, non c’erano immagini grandi che ti permettevano di volare con la fantasia, di esplorare a quell’età le “unknowed lands” che hanno ispirato Salgari e Verne nei loro racconti mozzafiato; ogni pagina iniziava con un piccolo schema rappresentativo: stato, capitale, popolazione, moneta, densità di abitanti per chilometro quadrato. Densità di abitanti per chilometro quadrato? Ah, quante volte mi son chiesto che caspita fosse la densità. Ma nel dubbio, ne acquisivo lo stesso i dati.
Non sono arrogante ma assolutamente veritiero se vi svelo che conoscevo ogni particolarità di quel volume. Chiunque poteva chiedermi qualunque stato, io prontamente avrei stilato l’agognata, difficile da memorizzare, tabella dei dati.
Solitamente con mia mamma giocavo a riconoscere le capitali. Era un gioco che mi piaceva. Al tempo non conoscevo il termine NERD, ma di certo se qualcuno m’avesse permesso di inglobarlo nel mio lessico, l’avrei di sicuro utilizzato frequentemente e soprattutto per descrivermi. Ma rimaniamo sul tema: amavo riconoscere le capitali; farmene vanto. Ero egocentrico sin da allora!
Strattonando la gonna di mia mamma, che se ci penso ancora mi chiedo com’è che fosse così alta, ora che la guardo abbassando il mio sguardo ad incontrare il suo, le chiedevo timidamente eppur insistentemente di ascoltarmi, di chiedermi tutto ciò che volesse da quel tomo.
Quanti di voi a sette anni sapevano che la capitale dell’ Afghanistan è Kabul? Quanti di voi sapevano a sette anni come si scrive Afghanistan? Ma soprattutto quanti di voi a sette anni sapevano dell’esistenza di questo paese così lontano per cultura, tempo e spazio da noi? Beh, io si. Io lo sapevo, io avevo studiato il tomo!
E via con l’Irlanda e l’Islanda, l’URSS e la Repubblica Democratica Tedesca e la Repubblica Federale Tedesca, l’Iran e l’Iraq, la Bulgaria. Ad un certo punto mamma non era neanche più stupita che conoscessi a menadito tutto il tomo di geografia. Credo abbia pensato che se avessi imparato così bene anche il tomo di Medicina 1 e Medicina 2 avrebbe fatto tredici. Ma così non è stato.
Eppure c’è un pensiero così dolce e ingenuo che mi coglie nei momenti più vari e che ultimamente in modo nettamente preponderante è tornato alla luce, quando un mio amico mi ha chiesto se sapremmo sopravvivere senza Internet.
Quel tomo non aveva segreti per me, tutto capivo, era nitido, chiaro, elegantemente semplice. Solo un particolare mi dannava l’esistenza. Ah, quanto tempo speso a dedurne la soluzione.
Quando sfogliavo il mio libro, che adesso mi chiedo che fine abbia fatto, mi soffermavo sempre sullo stato dell’Angola, in Africa. Rivolgevo lo sguardo alla tabella e notavo la sua collocazione. In un riquadro 3x3cm volta per volta, veniva riportata una cartina in miniatura del continente nel quale era collocato lo stato considerato. L’Angola configurava sul versante occidentale del continente africano, bagnato dall’Oceano Atlantico. Eppur, una foto di Luanda, la sua capitale, raffigurava le coste della città inondate dal mare che versava da est ad ovest. Come era possibile che sulla cartina l’Angola fosse bagnata ad ovest e nella foto, Luanda fosse bagnata ad est?
Sono sicuro che ogni volta non ci spendevo più di mezz’ora a pensarci su. Però se dopo vent’anni ricordo ancora la diatriba interiore, evidentemente la cosa deve avermi tormentato molto.
Il mio troppo orgoglio e la decisamente troppa consapevolezza di me non mi permisero mai di far l’umile passo di chiedere a mia mamma. Chissà per quanti anni mi son perso in astruse spiegazioni infondate e profondo sconforto. Ero Einstein davanti alla sua formula della teoria della relatività. Prima o poi avrei trovato la soluzione.
Quando ormai non ci pensavo più e relegai  nel cassettino dell’oblio quel forte tormento, ricordo che una mattina, percorrendo la solita strada in discesa che conduceva a scuola, notai una cupola gigantesca in lontananza. Riconobbi quella cupola, apparteneva al duomo di Cerignola, paese confinante con Canosa.
Cerignola è a nord, pensai d’istinto. Sulla cartina della Puglia è riportato così. E allora perché io sto scendendo e la vedo a sud?
Andai a scuola. A quei tempi rimanevo a scuola sino alla cinque di pomeriggio. Avevo visto quella cupola alle otto di mattina e fino alle cinque del pomeriggio non avevo fatto altro che pensare a lei, alla sua imponenza ed al fatto che fosse situata a sud piuttosto che a nord, come riportato dalla cartina.
Suono della campanella, ero di scatto a casa. Feci le scale a tre alla volta, prima di allora non ci ero mai riuscito. Avevo fretta di chiedere a mamma quello che non le avevo mai chiesto prima. Non esistevano più la pienezza di sé e la fierezza, non era più la maestra il punto cardinale del mio sapere, quello di cui avevo bisogno, la risposta, la poteva avere solo lei, la mia mamma.
Non è detto che ciò che tu vedi in discesa sia necessariamente a sud. La chiesa è a nord, e tu da casa verso scuola ti muovi da sud verso nord, anche se scendendo la collina ti sembra di fare il contrario. E’ questione di vedere le cose sotto una prospettiva diversa. Lo capirai col tempo.
A quel tempo carpii le parole di mia madre come oro colato. Ma ancora non capivo. Dopo qualche anno, mi ritrovai quel tomo tra le mani. Con un sorriso beffardo e malinconico constatai che non ricordavo più nulla di tutto ciò di cui mi facevo vanto. Ero diventato ordinario. Ma ripresi la foto di Luanda e capii le parole di mia madre. Avevo sempre visto quella foto da un punto di vista diverso. L’avevo sempre immaginata e inseguita da sud verso nord, così come avevo sempre immaginato il mio percorso da casa a scuola.
Semplicemente dovevo rendermi conto che per ogni percorso che va da sud verso nord, ce n’è uno medesimo e contrario che va da nord a sud. Questione di prospettiva. 
E’ questione di vedere le cose sotto una prospettiva diversa. E l’avrei capito col tempo. O forse, ancora non l’ho mai capito del tutto. 


Con questa piccola storiellina, inizio a creare il mio blog, sperando di poterci apportare la stessa curiosità e la stessa voglia di rendere speciali argomenti ordinari, che ho sempre serbato e dimostrato. L'importante è sempre capire sotto quale prospettiva vediamo le cose e chiarirlo a noi stessi, perché non sempre c'è qualcuno che ha torto e qualcun'altro che ha ragione; a volte analizzando diversi punti di vista, analizzando le cose da una diversa prospettiva, la via da perseguire può diventare quella giusta. 



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