sabato 29 novembre 2014

Le bagnanti di Pierre Auguste Renoir: la bellezza che nasce dalla sofferenza

P. A. Renoir, Le bagnanti, 1918 - 1919, olio su tela, Musèe d'Orsay, Parigi. 

Pierre Auguste Renoir intento a dipingere
nel suo studio di Cagnes. 
Quando Pierre Auguste Renoir dipinse questo olio su tela, era ormai allo strenuo delle sue forze: quasi ottantenne, rimasto vedovo durante la guerra, viveva i suoi ultimi giorni trascinandosi dalla sua dimora al suo studio con l'aiuto di una carrozzella e dei suoi familiari. 

"Si lasciava trasportare come fosse un cadavere", scrisse a tal proposito Henri Matisse nel suo "Scritti e pensieri sull'arte", dopo essere stato ricevuto dal sommo artista nella sua tenuta di Les Collettes, a Cagnes, nella primavera del '19. 
Acciaccato, scarno, in più parti bendato e troppo paralizzato dall'artrite per riuscire a tenere un pennello, Renoir visse i suoi ultimi anni solo per dipingere, cosa che faceva ogni giorno attraverso un pennello legato ad una maniglia imbottita e incuneata tra il pollice e l'indice destro.

"Lo si poteva sorreggere abbastanza facilmente con una sola mano", scriveva ancora Matisse circa la sua debolezza, "ma i suoi occhi rivelavano tutta la vita ancora presente in corpo."
Tant'è vero che, assistendo al suo lavoro, lo stesso pittore affermò di Renoir che, vederlo approcciare alla pittura, vederlo rianimarsi nonostante il lacerante dolore che si tramutava in qualche smorfia ed in qualche lamento, era come guardare la morte che prendeva vita. 

"Il dolore è passato, Matisse, ma la bellezza rimane" fu quello che Pier Auguste Renoir affermò candidamente a Matisse con un sorriso radioso per giustificargli la sua ostinazione a dipingere nonostante la sofferenza provocatagli dalla cosa, e ancora in quell'occasione gli confidò che intendeva vivere finché non avesse finito il suo ultimo canto d'amore: Le bagnanti.
E così fu: nel dicembre dello stesso anno, dopo aver terminato il dipinto, il sommo pittore morì, portando con sé quanto ancora di più bello avrebbe potuto creare.

lunedì 24 novembre 2014

Il gioco nella storia dell'arte

Il percorso che ha come soggetto il gioco nel corso della storia dell’arte è da considerarsi un vero e proprio iter di documenti visivi, attestanti  i modi in cui per secoli l’uomo ha impiegato gran parte del suo tempo libero. Attraverso affreschi e dipinti mobili in massima parte infatti, è ben chiara sia l’evoluzione ludica, che quella legata al modo di rappresentarne i suoi aspetti più variegati.

Già nelle civiltà preclassiche abbiamo una corposa testimonianza di quelli che erano i giochi adoperati da adulti e bambini, buona parte derivante da reperti archeologici e raffigurazioni parietali  dell’antico Egitto: mentre i più piccoli si dilettavano nell’utilizzo di bambole e palle di pezza, i più grandi si sfidavano e si allenavano su diversi giochi da tavola, tra cui notevole importanza ricopriva la senet.

Nefertari gioca alla senet, XIX dinastia, affresco, 
Tomba di Nefertari, Valle delle Regine di Luxor
Il gioco della senet era da considerarsi  una sorta di dama a due, che si giocava su di una scacchiera rettangolare di 30 caselle quadrate disposte su tre file parallele. Un gioco molto importante per gli egizi, perché legato alla sfida estrema contro il Destino, che avrebbe deciso le sorti dell’anima di ognuno di loro: in una visione molto mistico - religiosa della cosa infatti, a fine partita se l’anima defunta avesse avuto la meglio, il premio per questa sarebbe stata la vita eterna.

Una raffigurazione del rito ci viene consegnata dall’affresco rinvenuto nell’anticamera della Tomba di Nefertari, nella Valle delle Regine a Luxor, nel quale la regina è intenta a giocare alla senet con l’invisibile Destino. Nella meravigliosa e luminosa pittura parietale, la regina non appare affatto preoccupata dal gioco che ne segnerà le sue sorti, anzi guarda con aria ieratica ed al tempo stesso di sfida il suo avversario, sicura delle sue nobili doti e della fortuna che l’assisterà.

Vaso a figure nere con Achille e Aiace,
530 ca, Museo Gregoriano Etrusco,
Città del Vaticano
Il gioco da tavola si è rivelato essere un passatempo molto amato anche dai greci, come testimoniato da diversi vasi rinvenuti nella penisola. Sicuramente però l’opera d’arte vascolare più interessante da prendere in considerazione per delineare l’importanza che rivestiva il gioco nella patria dei giochi olimpici, è senza dubbio il vaso a figure nere con Achille e Aiace. Seppur di manifattura etrusca infatti, i soggetti del vaso sono i due eroi greci dell’Iliade, sorpresi in un momento di tregua durante la guerra: Achille e Aiace sono qui raffigurati nel bel mezzo del gioco, mentre leggono i punti realizzati dai due, rispettivamente quattro e tre, come specificato dalle iscrizioni presenti nello spazio tra le due sagome.

Il gioco dei dadi, diletto di Achille e Aiace nella raffigurazione vascolare, fu anche uno dei preferiti dal popolo romano, che non di rado si raccoglieva in gruppi per giocarci.
Dall’Osteria della Via di Mercurio di Pompei infatti, proviene un affresco molto caratteristico che ripropone un’accesa partita all’alea, un gioco di dadi e tavola disegnata equivalente al nostro attuale backgammon. Ovviamente, - così come nel caso della senit – anche per l’alea sono stati rinvenuti diversi reperti archeologici riguardanti dadi e tavole da gioco, ma questo affresco rimane un documento imprescindibile a raccontare l’essenza dell’agonismo tra gli sfidanti, supportati alle loro spalle da amici schierati e presi dalla frenesia di vincere.

Giocatori di dadi,  II sec. a.C., affresco, Osteria della Via di Mercurio, Pompei

Bambola di Crepereia
Tryphaen, II sec. d.C, avorio,
Musei Capitolini, Roma
Per i più piccoli invece, così come detto per le civiltà precedenti, andavano di gran moda palle di stoffa e cuoio e bamboline. Solitamente queste erano di stoffa, legno o terracotta, raramente snodabili per via di arti collegati tra loro da perni.
Sicuramente una delle bambole più anatomicamente precise e di qualità, è quella in avorio appartenuta alla giovane Crepereia Tryphaen, rinvenuta nella tomba della ragazza più di un secolo fa e conservata attualmente ai Capitolini. La bambola, gioco di infanzia della ragazza vissuta nel II sec. d.C., ormai in età adulta e probabilmente già sposata e madre al momento della morte, recava con sé un cofanetto contenente gioielli, pettinini, spazzole e specchi in miniatura, la cui chiave era custodita in un anello d’oro al dito di Crepereia, cosa che attesta come solitamente le bambole fossero delle fedeli compagne per le fanciulle, atte a seguirle nella crescita e a non abbandonarle mai.

Ovviamente una volta cresciute, le bambole non erano più però un gioco usuale per le loro padrone, che sicuramente preferivano divertirsi in altro modo durante l’arco della giornata: dalla Villa del Casale a Piazza Armerina, il pavimento musivo di una delle sale risalente al III secolo d.C., rivela alcuni modi di divertirsi tipico delle ragazze d’età imperiale. Tra tutte spiccano le due fanciulle intente a giocare a palla comode nel loro bikini, l’indumento a due pezzi utilizzato dalle donne durante le gare a carattere sportivo.

Mosaico delle dieci ragazze, III sec. d.C., Villa del Casale, Piazza Armerina

Il gioco della pelota, da Las Cantigas
de Santa Maria di Alfonso X,
XIV sec., Escorial, San Lorenzo
Senza dubbio più imbragate le donne che giocano alla pelota, raffigurate nella miniatura dell’opera poetica iberica Las Cantigas de Santa Maria, volute da Alfonso X e custodite presso l’Escorial di San Lorenzo. Come le due fanciulle che giocano a palla nella Villa del Casale di Piazza Armerina, anche le donne che giocano alla pelota sono intente a divertirsi con la palla di pezza, lanciata in aria da una loro compagna munita di una mazza: si potrebbe pensare che questo gioco fosse praticamente un antenato del baseball, da come viene raffigurato.

Giocatore di scacchi, XI sec, mosaico,
Basilica di San Savino, Piacenza
Nella stessa opera del XIV secolo, trova posto anche la raffigurazione del gioco degli scacchi.
Nella miniatura, due signori appaiono intenti a giocare con pezzi e scacchiera all’interno di un palazzo; il primo è in procinto di muovere il Re, mentre il secondo attende paziente il suo turno.
Interessante è notare nell’illustrazione, come la scacchiera sia raffigurata verticalmente nel suo piano d’appoggio, un’imprecisione tipica del disegno medievale pre - prospettivo e pre – volumetrico necessaria a rivelare ogni particolare presente nella scena, come si evince per altro in altre testimonianze precedenti e coeve, una su tutte il Giocatore di scacchi del mosaico pavimentale della Basilica di San Savino a Piacenza.

Il gioco degli scacchi, da Las Cantigas de Santa Maria di Alfonso X, XIV sec., Escorial, San Lorenzo

L. Van Leyden, Il gioco degli scacchi, 1505,
olio su tela, Staatliche Museen, Berlino
A tal punto è simpatico notare come con l’avvento della prospettiva, la diffusione del suo studio, e l’evoluzione del disegno quale copia dal vero, la resa della scacchiera nella raffigurazione di ipotetiche partite, segua visioni più realistiche.
Agli inizi del XVI secolo, il pittore fiammingo Lucas van Leyden, raffigura in modo più armonioso rispetto al passato, la volumetria della scacchiera, adagiandola elegantemente sul tavolo. Se da un lato la prospettiva non è ancora del tutto precisa, dall’altro è lodevole il modo in cui il dipinto documenta la dedizione da un lato e l’impazienza dall’altro, dei due giocatori che si stanno sfidando.

S. Anguissola, Partita a scacchi, 1555,
olio su tela, Museum Narodowe, Poznan
Decisamente più realistico e proporzionato, l’autoritratto di Sofonisba Anguissola, intenta a giocare a scacchi. Nonostante la volumetria del suo profilo si annulli in una visione bidimensionale, tavolo, scacchiera e pezzi sono resi in modo meticoloso ed elegante: la scacchiera appare leggera nel suo spessore molto fino e nell’incavatura interna; i pezzi sono rifiniti nei particolari, nella lucentezza delle loro rotondità e nelle delicate cromie chiare e scure.

Scommessa al gioco dei dadi, sec.XV,
miniatura, Bibl. Riccardiana, Firenze
Oltre agli scacchi, altro gioco molto in voga nel medioevo era quello dei dadi, un gioco vietato in molte contee perché visto come fonte di sperpero di ricchezze e di perdizione. Per quanto però torture e pene capitali severe avrebbero dovuto garantire la messa al bando del suddetto, il gioco dei dadi continuò a svilupparsi nella sua illegalità, come testimoniano diverse miniature e dipinti.
A testimonianza di ciò si guardi la miniatura del XV secolo, della Scommessa al gioco dei dadi, proveniente dal Trattato di aritmetica di Filippo Calandri. Nella miniatura in questione, due uomini sotto un loggione sono intenti a calcolare tutte le combinazioni possibili derivanti dai lanci dei dadi.

Anche Caravaggio, due secoli più tardi, tocca il tema del gioco d’azzardo nella sua tela de’ I bari, custodita in Texas al Kimbell Art Museum di Fort Worth. La scena raffigura due giocatori intenti a disputare una partita dello “zarro”, un gioco d’azzardo bandito nella penisola perché ritenuto pericoloso per via delle risse che ne scaturivano tra i giocatori.
Nel caso di genere, la situazione raffigurata è decisamente interessante, perché attesta in modo accurato e psicologicamente valido, il modus operandi dei bari, per cui uno dei due si proponeva di giocare contro il fanciullo ignaro, mentre l’altro, postatosi dietro di questo, suggeriva al primo le carte possedute dall’ingenuo ragazzino.

Caravaggio, I bari, 1594, olio su tela, Kimbell Art Museum, Fort Worth

G. De La Tour, Giocatori di dadi, 1650,
olio su tela, Teesside Museum, Middlesbrough
Qualche decennio dopo anche Georges de La Tour, ripropone il tema del gioco d’azzardo, nella sua tela Giocatori di dadi, custodita nel Teesside Museum di Middlesbrough. Come nella migliore tradizione caravaggesca, anche qui la componente peculiare del dipinto è data dal gioco creato dalla luce artificiale di una candela che squarcia il buio della notte: la candela d’altronde era particolarmente legata al gioco d’azzardo, perché costando molto, questa veniva puntualmente portata da qualche giocatore che poi la donava al proprietario della dimora che ospitava partite e tornei. Il detto “Il gioco non vale la candela”, deriva infatti dal lamento proveniente dai giocatori che, avendo perso soldi o non avendo guadagnato nulla nel corso della notte, non erano riusciti neanche a racimolare quanto speso per la candela regalata.

J. Steen, Giocatori di birilli,
1663, olio su tela,
National Gallery, Londra
Un ottima descrizione degli scontri tra i giocatori di dadi o di carte, è quindi data da Jan Steen nel suo Argomento in un gioco di carte, olio su tela del 1656, sito allo Staatliche Museen di Berlino.
Il dipinto infatti raffigura la conseguenza derivante da una disputa avvenuta durante il gioco delle carte, tra due uomini, assistiti da persone divertite dalla cosa. Mentre la scena ritrae il dinamismo dei due litiganti, tenuti a freno dagli altri popolani, l’occhio cade irrimediabilmente ai giochi gettati sul tavolo e sul pavimento: alcune carte da poker e un backgammon.
Oltre a questa tipologia, Steen dipinse anche scene ludiche molto più armoniose e tranquille, come Giocatori di birilli davanti ad una locanda, olio su tela del 1663 che ripropone la dolcezza e la serenità di una tipica giornata passata a divertirsi con una boccia e dieci birilli.

J. Steen, L’argomento in un gioco di carte, 1650 ca, olio su tela, Staatliche Museen, Berlino

J. B. S. Chardin, Il castello di carte, 1737,
olio su tela, National Gallery, Washington
La stessa serenità si legge nel dipinto di Jean Baptiste Simon Chardin, che raffigura un ragazzo intento a costruire un Castello di carte. L’olio su tela è importante perché racconta un aspetto della vita quotidiana legato non ad un gioco di carte, ma ad un passatempo ottenuto con l’utilizzo di queste. Le carte infatti, vengono svincolate dal loro compito per essere utilizzate come sottili ed instabili mattoncini di cartoncino, raccogliendo tutta la dedizione del fanciullo che, da perfetto ingegnere, costruisce la sua casetta cercando ogni possibile equilibrio.

J.H.W. Tischbein, Corradino di Svevia e 
Friedrich von Baden aspettano la sentenza, 1785, 
olio su tela, Museo dell’Ermitage, S.Pietroburgo
La dedizione nel gioco tocca anche i protagonisti della tela romantica di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein del 1785, nella quale Corradino di Svevia e Friedrich von Baden aspettano la sentenza che li condannerà alla pena capitale per aver tentato di usurpare il trono di Carlo d’Angiò. Infatti i due principi sembrano quasi più infastiditi di essere stati interrotti durante la loro partita di scacchi, che dal fatto di essere stati condannati a morte come rivelato dal giudice Roberto di Bari.

Anche con l’avvento dell’arte contemporanea il tema del gioco continua ad essere preso in considerazione dagli artisti delle diverse correnti, che talora attraverso di esso, raccontano una nuova poetica ed un nuovo modo di vedere le cose. È il caso de’ I giocatori di carte di Paul Cezanne, olio su tela del 1890, che racconta meglio di tante altre opere il gioco geometrico e cromatico tipico del pittore francese: i corpi dei due uomini intenti a concentrarsi sulle carte nella locanda di paese, sono composti da rettangoli, cilindri e linee spezzate e ricurve; i colori sono vivi e armonizzano l’intera scena.

P. Cezanne, I giocatori di carte, 1890,
olio su tela, Musèe d’Orsay, Parigi
J. Gris, La scacchiera, 1915, olio su tela,
Art Institute of Chicago, Chicago

Da Cezanne prenderanno spunto sia Pablo Picasso che Henri Matisse per i loro stili: il primo darà il via insieme a Juan Gris  al cubismo (nello specifico del tema si veda l’analitica scomposizione de’ La scacchiera del 1915, sita all’Art Institute di Chicago); il secondo creerà le fondamenta per il fauvismo, corrente che fa del colore il mezzo espressivo per eccellenza.
E a tal proposito si veda come Matisse sia riuscito a sposare il suo stile pittorico ed il tema del gioco in due sue opere: La famiglia del pittore e Gioco di bocce.

H. Matisse, La famiglia del pittore, 1911, olio su tela, 
Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
Nel primo del 1911, è chiaro il rimando ai diversi esperimenti di composizione decorativa, dove alle innumerevoli stoffe che decoravano il salone di casa Matisse, si viene a sovrapporre la rappresentazione dei diversi componenti della famiglia del pittore: la moglie Amelie con un vestito color senape fiorato, la figlia Marguerite con un abito lungo nero ed i piccoli Jean e Pierre assorti nel giocare a dama.

Nel secondo del 1915, è evidente la riconduzione stilistica e cromatica alla Danza ed alla Musica, i pannelli custoditi così come il Gioco di bocce, al Museo dell’Ermitage: i colori principali adoperati nella tela sono il verde per il prato, l’azzurro per il cielo, il rosa per i corpi, il rosso per il telo ed il nero per le bocce; tutto è ricondotto ai minimi termini a creare quasi una sorta di atemporalità ed aspazialità del gioco, esistente da sempre ed esistente per sempre.

H. Matisse, Gioco di bocce, 1905, olio su tela, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo

Solo cinque anni più tardi, a Prima Guerra Mondiale finita, un altro esponente dell’Espressionismo ritornerà sul tema del gioco: il tedesco Otto Dix con la sua tela de’ Invalidi di guerra giocano a carte. La tela, custodita alla Neue Nationalgalerie di Berlino, raffigura tre reduci di guerra nei quali è estremamente evidente lo storpiamento fisico al limite dell’inverosimile: eppure nonostante i disagi e gli impedimenti che caratterizzeranno i tre reduci fino alla fine dei loro giorni, le loro espressioni sono tranquille, sorridenti e incentrate sulle carte, a dimostrazione che nonostante ogni avversità che può cogliere l’uomo nel corso della sua vita, il gioco sarà sempre una via per raggiungere momenti di felicità e benessere dell’anima. 

O. Dix, Invalidi di guerra giocano a carte, 1920, olio su tela, Neue Nationalgalerie, Berlino

venerdì 21 novembre 2014

NOMINATION PER IL LIEBSTER AWARD

A tutti gli utenti del blog ed ai lettori abituali,
anche il blog Svirgolettate parteciperà al LIEBSTER AWARD: una catena virtuale che ha il fine di diffondere e a far conoscere blog con meno di 200/300 followers. Detto ciò, ammetto che non amo particolarmente le catene di Sant'Antonio, ma trovo che questo giochino sia interessante per conoscere meglio la vita del blogger in questione ed il suo pensiero generale, per cui mi presterò volentieri alla cosa. 
Il regolamento è presto detto: in seguito alla nomination, il blog(ger) nominato deve rispondere ad una intervista prefissata di 10 domande, quindi inserire altre dieci nominations riguardanti blog amici.
Ad ogni modo lo riporto a seguire:

REGOLAMENTO
Regola 1: Postare sul blog l'immagine del premio
Regola 2: Ringraziare il blogger che ti ha nominato.
Regola 3: Raccontare 11 cose di te
Regola 4: Nominare altri 10 blog con meno di 200/300 followers.
Regola 5: Rispondere a 10 domande di chi ti ha nominato.
Regola 6: Proporre 10 domande a cui i nominati dovranno rispondere.

Regola 1: Postare sul blog l'immagine del premio



Regola 2: Ringraziare il blogger che ti ha nominato.

Ringrazio Cristian di Artesplorando, che mi ha nominato per l'Award. Ovviamente la stima ed il rispetto sono reciproci, per cui consiglio di visitare il suo interessante blog, che come il mio tratta di arte, facendolo in modo chiaro e scorrevole. 

Regola 3: Racconta 11 cose di te

01) Colleziono cartoline, che i miei amici mi spediscono da ogni parte del mondo.
02) Sono iper geloso delle mie cose, per cui nessuno può/deve mai toccarle.  
03) Il mio rimpianto più grande è aver soggiornato a Colonia senza aver visitato il Museo Ludwig.
04) Il mio sogno più grande è poter visitare un giorno il MoMA di New York.
05) Sono una persona parecchio polemica, a tratti litigiosa, ma tutti mi vogliono bene. 
06) Ho scritto due romanzi, mai editi, che giacciono nella mia cartella sul PC: forse è meglio così.
07) Quando viaggio amo assaggiare i piatti tipici del luogo: non farlo è come essere rimasti a casa.
08) Ho sette nipotini, tre delle quali nate quest'anno: per questo i miei amici mi soprannominano "lo zio".
09) Sono laureato in Storia dell'Arte, ma col senno di poi, avrei scelto altro. 
10) Non so cantare, o meglio, sono stonatissimo.
11) A pelle, veneti, friulani e calabresi mi stanno sulle palle.  

Regola 4: Nominare altri 10 blog con meno di 200/300 followers

La lista dei blog a cui dare un premio prevede la nomination di 10 di loro. Ma per onestà intellettuale debbo ammettere che al momento sento di voler/poter nominare solo otto blog, perché tra tutti, sono quelli che seguo abitualmente e con cui solitamente interagisco. Ho scelto in base al mio gusto personale ed ai contenuti riscontrati nei suddetti, che spaziano dal carattere formativo di alcuni di loro, a quello satirico e dissacratorio di altri, a quello di denuncia di altri ancora. 

01) BREADCRUMBS  http://ottaviomussari.wordpress.com/
02) IL BLOG DEL PROFESSORE http://stefanocominale.blogspot.it/
03) MUSEANDO @ ROMA http://museandoatroma.blogspot.it/
04) A DESTRA E A MANCA http://adestraeamanca.blogspot.it/
05) SCICCHERIE http://leoman3000.wordpress.com/
06) DICE CHE A ROMA http://diceche.blogspot.it/
07) ATHENAE NOCTUA http://athenaenoctua2013.blogspot.it/
08) LO SGARGABONZI http://sgargabonzi.com/
09) ---------------------------------------------------------------------------
10) ---------------------------------------------------------------------------

Regola 5: Rispondere a 10 domande di chi ti ha nominato.

1) Perché hai aperto il blog?
Il mio blog nasce dall’esigenza di poter raccontare le mie esperienze e i miei pensieri (personali e non) riguardanti il mondo che mi circonda; un mondo che riguarda princi palmente l’arte, ma che spazia con molto interesse anche al cinema, la musica e la televisione. D’altronde debbo ammettere che ho sempre amato scrivere, per cui l’unione di passione ed esigenza, si è tramutata in questo blog poliedrico.

2) Ci parli un po’ delle tue passioni? 
La mia passione primordiale è la storia dell’arte. Un amore che rimarrà solo una passione giustappunto coi tempi che corrono, visto l’assetto lavorativo nell’ambito. Amo anche viaggiare e conoscere il mondo: quando non mi è possibile farlo in prima persona, mi piace visitare gli anfratti della Terra con la Street View di Google Maps e visitare i musei con i Virtual Tour; inoltre colleziono cartoline che tutti i miei amici puntualmente mi inviano durante i loro viaggi, ben sapendo di farmi cosa graditissima. 

3) Quanto pensi che i commenti e le interazioni siano utili per un blogger e in che modo?
I commenti, le interazioni, i dibattiti, sono utili per un blogger solo quando hanno una base critica costruttiva. A volte mi è capitato nel mio blog di ricevere commenti sterili a qualche mio articolo dal tema delicato (la poetica di Bukowski piuttosto che la chiacchierata mostra bufala “Ojo del culo” di Serralves) che ho comunque lasciato sulla pagina (sono un tipo molto democratico e lascio spazio ad ogni tipo di giudizio nei confronti dei miei articoli) ma non senza averlo screditato dal mio punto di vista. Ad ogni modo mi piace molto confrontarmi con i miei lettori, sia sul blog che sulla pagina Facebook di Svirgolettate, e apprezzo sempre i tantissimi complimenti ricevuti.

4) Di cosa parli nel tuo blog?
Nel mio blog, come dicevo pocanzi, parlo soprattutto di arte. Cerco di farlo con parole chiare in modo che anche il concetto più complesso possa apparire semplice a chi non ha mai approcciato con la critica e la storia dell’arte, soprattutto per quanto ne concerne l’arte contemporanea, che per quanto cronologicamente è la più vicina alle nostre generazioni, concettualmente pare essere la meno capita.

5) Hai creato un rapporto di amicizia con altri blogger? Vi siete mai conosciuti personalmente?
Con alcuni blogger ho un ottimo rapporto di amicizia; si tratta per lo più di amici con cui ho convissuto per anni o che frequento tutt’ora durante il tempo libero. Altri blogger sono stati una piacevole sorpresa: tra tutti Claudia, blogger di Museando @ Roma, con la quale ho instaurato dapprima un rapporto di feeling intellettuale, poi di amicizia una volta conosciutala. Una persona che stimo tantissimo, preparata, colta, intelligente e piena di vita che ha fatto del suo progetto un’ottima carta da giocare.  

6) Come immagini il tuo blog tra due anni? Vorresti vederlo crescere/cambiare e in che modo?
Non so come sarà il mio blog tra due anni. Devo ammettere che quando due anni fa lo fondai, non mi sarei mai aspettato di vederlo crescere in modo così esponenziale, né di ricevere costantemente complimenti dai lettori. Sicuramente quello che mi auspico di fare da qui a due anni sarà concentrarmi sulla pubblicità del mio progetto, dato che mi sono reso conto di averlo fatto conoscere poco sui socialnetworks: ma questo dipende anche un po’ dal mio carattere, non mi piace insistere e “obbligare” la gente a fare qualcosa, per cui non sto lì a spammare il mio blog ovunque e ogni volta che posso. Mi accontento delle letture derivate dalla ricerca sui motori internet, che per ora è sufficiente.

7) La cosa che sai fare meglio?
Questa è una domanda che andrebbe rivolta a chi mi conosce o a chi ha avuto a che fare con me sul piano lavorativo e professionale. Ad ogni modo mi rendo conto che se proprio dovessi dare una risposta, la mia pecca è data dal fatto che amo prendere il comando e decidere per gli altri, il che non è sempre un bene, ma non è neanche sempre un male.

8) Quanto tempo dedichi al tuo blog?
Nei primi tempi riuscivo a scrivere un articolo ogni giorno, complice il mio lavoro presso l’Archivio Centrale di Stato, che di giorno in giorno mi permetteva di scoprire tante notizie interessanti legate all’arte. Negli ultimi mesi scrivo più di rado, dovendo conciliare questa mia passione con il lavoro e con altri impegni; forse però a differenza dei primi tempi adesso scrivo su argomenti che mi colpiscono più del solito.

9) Come nascono i tuoi post?
I miei post nascono soprattutto dalla mia voglia di raccontare le mie considerazioni a riguardo di eventi, mostre o opere d’arte, ma anche dall’esigenza di voler intensificare la documentazione inerente ad argomenti poco trattati su internet o difficili da reperire: un esempio tra tutti è l’articolo su Otto Dix, esponente dell’espressionismo tedesco. Facendo ricerche sul pittore mi sono reso conto che del pittore non vi sono molte fonti corpose su internet e così decisi di scrivere un post che fosse un sunto ma anche una visione storico – critica dell’artista.

10) Un saluto a chi legge?
Saluto i miei lettori abituali e non, sperando di riuscire sempre a soddisfare le curiosità che cercate nell’affidarvi ai miei articoli. Ad ogni modo ricordo che per ogni richiesta o chiarimento, la mia mail è a.d.fiorini@gmail.com


Regola 6: Proporre 10 domande a cui i nominati dovranno rispondere

01) Quali sono i motivi che ti hanno spinto ad aprire il tuo blog?
02) Di cosa tratti nel tuo blog?
03) Chi il lettore ideale del tuo blog?
04) Come valuti la presenza di forti critiche ai tuoi articoli?
05) Il tuo modo di essere nella vita privata rispecchia la tua figura di blogger?
06) Quanto tempo dedichi al tuo blog?
07) Come il tuo blog può contribuire a quanto presente/non presente su internet?
08) Qual è il tuo libro (o se preferisci film) preferito?
09) Quale paese vorresti visitare se ti regalassero un biglietto A/R senza limiti chilometrici?
10) Cosa ti auguri per il tuo blog? 

lunedì 17 novembre 2014

La musica nella storia dell'arte

Arte e Musica nei secoli dei secoli si sono rivelati essere due elementi di un binomio perfetto atto a rivelare le sensazioni, i sentimenti ed il vissuto provati dell’uomo, nei loro lati positivi piuttosto che negativi. Basti pensare che l’importanza assegnata ad entrambe è quasi sempre andata di pari passo sin dagli albori delle civiltà classiche, tant’è vero che è possibile addirittura considerare tre diversi aspetti del binomio Arte – Musica: l’Arte che racconta la Musica e la sua storia; l’Arte che analizza la Musica; l’Arte che supporta la Musica.

Policleto il Giovane, Teatro di Epidauro, 340 a.C., Epidauro
Per intenderci infatti, riferendoci all’ultimo caso, basti pensare agli anfiteatri ed ai teatri greci e romani, dotati di un’ottima acustica al fine di rendere perfette le performance teatrali che ivi si svolgevano, come il Teatro di Epidauro o l’Arena di Verona. Il primo, incastonato in una collina, fu costruito nel IV secolo a.c. sotto la guida dell’architetto Policleto il Giovane e rasenta la perfezione a livello acustico: tutt’oggi gli artisti che si esibiscono nella cavea del monumento non hanno bisogno di usare microfoni, dato che anche il minimo rumore si diffonde nitidamente sino all’ultima fila.

Arena di Verona, I sec. d.C., Verona
Idem per l’Arena di Verona, costruzione romana del I sec. d.C., atta inizialmente ad ospitare spettacoli ludici come la lotta dei gladiatori. Solo nel '900 però, in seguito alla dimostrazione lampante di quanto perfetta fosse l’acustica al suo interno, divenne sede del celebre festival operistico per volere del tenore Giovanni Zenatello ed ancor oggi ospita concerti di ogni genere musicale, per quanto il monumento si presti in modo ottimale per le esecuzioni liriche.

Suonatore di lira, II millennio a.C., marmo,
Museo Nazionale, Atene
Ma come anzidetto, il binomio Arte – Musica oltre a rivelare la prima quale supporto alla seconda, si esplica anche nel racconto della musica attraverso l’arte: nei millenni in cui si è snodata via via la storia dell’arte, diverse opere infatti testimoniano l’evoluzione della musica e degli strumenti musicali nel corso dei secoli, sin dalle prime civiltà mediterranee: esemplari sono statuine e vasi che inneggiano il tema, come il Suonatore di lira proveniente dalle Isole Cicladi o il vaso raffigurante Orfeo che suona la lira.

Nel primo caso, la statuetta di 22 centimetri in marmo proveniente da Keros, è la raffigurazione di un omino che suona la lira: nella schematizzazione geometrica delle forme tipica dell’arte cicladica, dove il corpo del suonatore si viene a costruire nell’assemblaggio di cilindri di diverse dimensioni e nell’abbozzo molto limitato dei tratti fisiognomici, spunta la lira a creare un gioco di linee e di volume; una lira che seppur priva delle sottili corde, ben testimonia l’utilizzo dello strumento.

Lo stesso discorso vale per l’anfora a colonnette rosse e sfondo nero raffigurante Orfeo che suona la lira. L’opera d’arte vascolare proveniente dall’Attica e custodita al Pergamon Museum di Berlino, raffigura il mito di Orfeo, figlio della Musa della poesia epica e del canto Calliope, che con la sua lira riusciva ad ammaliare nemici, aggirare ostacoli e compiere azioni eroiche: rinomato è l’aneddoto legato alla morte dell’amata Euridice ed alla sua discesa negli inferi con il fedele strumento musicale. Un tema, quello di Orfeo, ripreso anche in epoca romana come testimoniato dal pavimento musivo custodito presso il Museo Archeologico di Palermo: l’Orfeo circondato da animali.

Vaso di Orfeo che suona la lira, 430 a.C.,
 terracotta, Pergamon Museum, Berlino
Orfeo circondato da animali, I – II sec. d.C., mosaico
 pavimentale romano, Museo Archeologico, Palermo

Già in età etrusca però l’arte peninsulare aveva approcciato in modo lodevole con il concetto di musica, per cui il pavimento musivo di Palermo non è da considerarsi un tema poi così straordinario: già nel VII sec. a.C., gli affreschi della Necropoli di Tarquinia raccontano gli aspetti ludici del buon vivere etrusco, raffigurando suonatori di flauti e di lire accompagnati da danzatori, che avvolti nelle loro tuniche colorate, si dilettano nell’esecuzione di musiche da intrattenimento. Interessante si rivela la figura del suonatore dell’aulos, il doppio flauto usato da greci, etruschi e romani, perché intento a soffiare nel bocchino: le guance gonfie e arrossate per lo sforzo rivelano un’attenzione ai particolari lodevole; apprezzabile è anche lo studio dinamico sulle dita occupate a coprire e scoprire i fori dell’aulos.

Suonatori di flauto e lira, VII sec. a.C., affresco, Necropoli, Tarquinia. 

Uno strumento che per secoli, addirittura millenni, vede il suo utilizzo prima nelle domus di patrizi, imperatori e matrone, poi nelle regge di principi, marchesi e conti, e ancora nelle corti dei signori medievali: un excursus quello dell’aulos, testimoniato da diversi sculture e dipinti, come la statuina del Suonatore di doppio flauto, sita al Museo di scultura antica Barracco, la Ragazza che suona l’aulos, sul lato sinistro del Trono Ludovisi del VI sec. a.C. ed il suonatore di doppio flauto ritratto nell’affresco dell’Investitura di San Martino, opera di Simone Martini del 1318.

Suonatore di aulos,
VI sec. a.C, calcare,
 Museo scultura antica, Roma
S. Martini, Investitura
di San Martino, 1318, affresco,
Basilica di San Francesco, Assisi
Trono Ludovisi, 
VI sec. a.C., marmo, Museo 
Nazionale Romano, Roma

Oltre ai dipinti ed alle sculture, anche i codici miniati nel medioevo si rivelano un ottimo mezzo per documentare e trasmettere il sapere musicale. Una delle più complete fonti artistico letterarie a riguardo è il codice del XIV secolo, Remède de Fortune del poeta e musicista Guillaume de Machaut, nel quale trovano spazio interessanti e affascinanti miniature raffiguranti suonatori di strumenti musicali di vario genere, tra cui il flagioletto, la citola, l’arpa, la tromba, la viella, il corno, la ribella, il flauto a tre buchi, i naccheroni, la cornamusa ed il tamburo.

Guillaume de Macaut, Remede de fortune, sec. IV., codice miniato

Cantigas de Santa Maria
Altro codice interessante è il Cantigas de Santa Maria, opera letteraria cortese del XIV secolo, commissionata da Alfonso X re di Castiglia e Leòn, custodito nel Monastero dell'Escorial, a San Lorenzo, in Spagna, che si apre a quarantuno miniature che illustrano suonatori che si dilettano in strumenti a percussioni, a fiato, ad arco ed a corda. Tra le diverse illustrazioni di musici di liuti, viole e flauti, compare l’unica raffigurante un tamburo a calice, chiamato darabukka o darbuka, l’equivalente di quello che attualmente viene definito bongo africano: i due musici nella miniatura, seduti ad un trono, sono intenti a suonare un piccolo flauto ed a suonare il darabukka, sorretto sul fianco da una piccola cordicella.


Cantigas Santa Maria, XIII sec, miniatura,
Monastero dell’Escorial, San Lorenzo
Cantigas Santa Maria, XIII sec, miniatura,
Monastero dell’Escorial, San Lorenzo

Quanto descritto fa della miniatura un ottimo documento artistico, perché di rado nella storia dell’arte il tamburo è stato protagonista di dipinti o sculture; tra le poche testimonianze della raffigurazione dello strumento musicale però, trova luogo l’affresco della Danza delle donzelle nel giardino dell’amore che Andrea di Bonaiuto dipinse nel cappellone di Santa Maria Novella a Firenze, nel 1318.

A. di Bonaiuto, Danza delle donzelle nel giardino d'amore, 1365, affresco, Santa Maria Novella, Firenze

Maestro Matteo, Portico della Gloria, 1168 – 1188,
pietra, Cattedrale Santiago di Compostela
Parlando di Arte e Musica nel Medioevo, non si può non tener conto della religiosità che tal volta accomuna le opere d’arte che trattano il tema in questione: i portali delle cattedrali romaniche e gotiche, in più occasioni ospitano sculture di santi o angeli muniti di strumenti musicali intenti a suonare e decantare le lodi di Dio, come nel Portale di Sant’Anna a Notre Dame di Parigi o nel Portale della Gloria a Santiago di Compostela, la cui lunetta è composta da santi muniti di strumenti a corda, arpe e flauti che attorniano la figura imponente del Cristo in gloria.

Qualche secolo più tardi Hans Memling, nel 1485 ca, illustra nella sua tavola cinque Angeli Musicanti muniti di diversi strumenti a fiato e a corda: una visione perfetta dell’arte fiamminga che connubia in questo caso l’algidità delle figure alla resa precisa e meticolosa degli strumenti musicali.

H. Memling, Angeli musicanti, 1485, 
Koninkijk Museum, olio su tavola, Anversa.
Anche un altro pittore fiammingo, Hieronymus Bosch relegò un tocco religioso all’idea di musica inserita nel suo Giardino delle delizie, dipinto negli stessi anni degli Angeli Musicanti di Memling, ma a differenza di questo introdusse gli strumenti nella predella del trittico rappresentante l’inferno: il suono prodotto dagli strumenti non è più musica celestiale ma rumore, caos, fastidio; chi la suona è un orrido essere e ciò che ne può derivare non può avere nulla di melodico. A dimostrazione di quest’ultima visione, è notizia diffusa l’esperimento effettuato da Amelia, una blogger americana che dopo aver decifrato il pentagramma, ha suonato al piano quelle note, le ha registrate e le ha messe su YouTube: il risultato è una musica angosciante ed inquietante: qui, il video dell'esecuzione del motivo: https://www.youtube.com/watch?v=qPA4OW2FjFg

H. Bosch, Trittico delle delizie, 1480, olio su tavola, Museo del Prado, Madrid

Caravaggio, Riposo durante fuga in Egitto, 1595, 
olio su tela, Galleria Doria Pamphilj, Roma
Bosch però non è l’unico attento al particolare dello spartito quale messaggio di una più profonda analisi dell’opera: due secoli più tardi Caravaggio farà lo stesso nel suo Riposo durante la fuga in Egitto, del 1595.
Infatti, nello spartito tenuto in mano da Giuseppe durante l’esecuzione dell’angelo con violino e archetto, è stata identificata la partitura di un motivetto del compositore fiammingo Noel Bauldewijn, basato sul testo del Cantico dei Cantici e intitolato "Quam pulchra es".

D’altronde è giustificabile questa precisione nel genio lombardo, considerando che la musica è una componente essenziale nelle sue opere: la versione del Suonatore di liuto custodita al Metropolitan di New York lo conferma, dato che il musicista intento a deliziarsi con il liuto, è attorniato da altri strumenti e da un verginale che riproduce la partitura di un madrigale di Francesco de Layolle intitolato “Lassare il velo”.

Caravaggio, Suonatore di liuto, 1597, olio su tela, Metropolitan Museum, New York

Nel XVII secolo Caravaggio non fu il solo  ad interessarsi alla figura del Suonatore di liuto, per quanto la sua versione risulti indiscutibilmente di qualità rispetto a tante altre, tra cui quella di Bernardo Strozzi al Kunsthistorisches di Vienna, il cui cantante tiene tra le mani un liuto molto lontano dalle rifiniture, dalla lucidità e dalla levigatezza di quello del pittore lombardo. 
Infatti tra gli altri sperimentatori del tema vi fu  Franz Hals, tra i massimi esponenti del Seicento olandese. Il suo Suonatore di liuto è catturato in un momento di felicità derivante dal suono del suo strumento: dal ritratto di evince l’idea di un uomo letteralmente innamorato del suo liuto perfettamente rifinito nella delicatezza delle corde e nel rosone della cassa.

B. Strozzi, Suonatore di liuto, 1630 ca.,
olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna
F. Hals, Giovane suonatore di liuto, 
1625, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

C. Saraceni, Santa Cecilia e l’Angelo, 1610, olio
 su tela, Galleria Nazionale di Arte Antica, Roma
Anche Carlo Saraceni, amico di scorribande di Caravaggio riproduce nella sua Santa Cecilia con l’Angelo, strumenti musicali ben rifiniti e dolcemente modellati, come il grande violone sorretto dall’angelo ed il liuto suonato dalla santa.
Essendo la stessa, protettrice della musica, degli strumentisti e dei cantanti, la scena dell’incontro di Cecilia con l’angelo si tramuta in un vero e proprio concerto, in cui la santa è raggiunta dall’angelo mentre sta accordando un arciliuto, attorniata da spartiti, un’arpa, strumenti a fiato, un flauto ed un violino.

Saltando di circa due secoli, si arriva invece a scrutare nel rapporto Arte – Musica una visione più intimistica del concetto. Ricordando infatti la ritrattistica seicentesca del suonatore di liuto, che pareva posare nel suo splendore durante l’esecuzione, il suonatore ritratto nell’Ottocento è più raccolto nei suoi studi e nel suo mondo: a tal proposito è interessante notare la differenza di atteggiamento di due suonatori di cornamusa, il primo coevo ai pittori analizzati poc’anzi del XVII secolo, il secondo appartenente alla cerchia degli artisti del XIX secolo.

Il Suonatore di cornamusa di Blomaert Abraham, è un uomo ritratto nel pieno della sua esecuzione musicale, conscio della sua bravura: con i suoi occhi scruta il pittore e quasi se ne compiace di essere ritratto assieme al suo strumento. Il Suonatore di cornamusa di Thomas Couture invece, è assorto nella sua musica e non si cura del mondo che lo circonda. I colori caldi della tela contribuiscono a gettare sulla figura una sorta di sacralità; l’ambientazione neutra lo allontana da ogni possibile riferimento spaziale e temporale: esistono solo lui e la musica in quel momento è questo è tutto quello che conta.

B. Abraham, Il suonatore di cornamusa, XVII sec.,
olio su tela, Residenzgalerie, Salisburgo
T. Couture, Il suonatore di cornamusa 1877, olio su tela,
National Gallery of Ireland, Dublino

P. Picasso, Chitarra,
1912,  assemblaggio,
 MoMA, New York
Con l’arrivo del Novecento ovviamente con il concetto di arte viene in qualche modo a modificarsi anche la resa del concetto di musica. Emblematici sono i due artisti “antagonisti” tra loro, Henri Matisse e Pablo Picasso, che rielaborano il mondo della musica secondo le loro visioni artistiche.
Picasso la onora nell’assemblaggio Chitarra del 1912, attualmente sito al MoMA di New York; la cui opera si rivela l’idealizzazione tridimensionale della musica, che acquista consapevolezza attraverso una volumetria, uno spessore ed una forma concreti. La Chitarra di Picasso non è più solo un’opera d’arte rappresentativa di qualcosa, ma diviene essa stessa mezzo per l’esistenza di quella cosa, essendo a tutti gli effetti uno strumento capace di riprodurre suono.  

H. Matisse, La musica, 1910, olio su tela,
Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
Matisse lo fa nel suo dipinto Musica, olio su tela del 1910, custodito all’Ermitage Museum di San Pietroburgo. Il dipinto (propedeutico alla Danza), nelle sue stratosferiche dimensioni è semplice ed essenziale nell’uso di tre semplici colori: il rosso per i corpi dei cinque musici, il verde per il prato, l’azzurro per il cielo. Anche la scena è semplice all’inverosimile: cinque personaggi si dislocano sul prato verde, uno suona il violino, uno un doppio flauto, gli altri tre cantano. Eppure nella semplicità della resa pittorica e del soggetto della tela, si legge la complessità di una visione musicale che si allarga dagli albori del tempo ai tempi moderni (l’aulos ed il violino) nonché la sua completezza (la musica è suono, melodia ma anche voce, secondo la classica filosofia greca che soleva vedere nelle muse Euterpe, Erato e Talia l’esplicazione non solo della teatralità ma anche dell’arte musicale).

P. Klee, Paesaggio alberato ritmico, 1920,
 olio su tela, Collezione privata.
A concludere, la terza considerazione riguardante il binomio Arte – Musica, tocca la sfera analitica: l’Arte infatti soprattutto nell’ultimo secolo, è stata adoperata da diversi artisti per dare un significato visivamente emozionale alla musica, primi fra tutti Paul Klee e Vasilij Kandinskij.
Klee nella sua carriera di artista sviluppò diverse teorie che sposavano arte e musica, una tra queste riguardava l’utilizzo del grafema sul supporto artistico, quale elemento segnico. Esattamente come nel pentagramma ogni grafema ha la sua validità e la sua ragione d’essere, così nella tela vista come pentagramma, ogni segno, ogni grafema trova la sua collocazione: interessante è il dipinto Paesaggio alberato ritmico, dove lo sfondo è visto come un pentagramma idealizzato nel quale trovano luogo note e grafemi musicali in qualità di alberi ed elementi naturali.

A concludere Kandinskij, l’artista che forse meglio di tutti è riconducibile all’analisi della musica nell’arte. Il pittore infatti nel suo scritto De Blaue Reiter, spiega la sua visione dell’arte come elemento strettamente legato alla musica e dà voce alle emozioni apportate da queste due espressioni artistiche, per cui ogni colore usato in un dipinto ha un suo corrispettivo strumento musicale.

Di uno dei suoi dipinti più celeberrimi, la Composizione N°VI, egli scrisse:
“Vedo degli azzurri, dei gialli e dei rossi meravigliosi e vedo un nero più o meno opaco quali colori preponderanti nella tela.
E dovrei sentire dei flauti (l'azzurro), delle trombe (i gialli) e delle tube (i rossi) quindi; poi la pace. Una lunga pace data da misto di nero e grigio. La quiete che calma le trombe e affievolisce i flauti.”

All’attenta lettura della spiegazione della poetica artistica del pittore russo, le linee sinuose della Composizione N°VI ben si tramutano in musica, una musica che si vede. Le corde se smosse creano il suono, e questo lo si può addirittura percepire quasi fosse un suono emesso da antiche orchestre imperiali, fiere nelle loro divise di tutto punto, rigide, morali, ricordo andato di una società che fu, ma che rimane persistente nelle menti nuove fresche d'avanguardia.

Quindi una musica che forse poteva collimare con lo sfarzo dell'Impero Russo e con l'energia delle agitazioni pre-rivoluzionarie, in un epoca di attaccamento alla tradizione e di forte voglia di innovazione. 

V. Kandisnkij, Composizione n°VI, 1913, olio su tela, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
 POST CORRELATI: