Il Tintoretto, pittore veneto del XVI secolo, ha sempre affascinato
cultori dell’arte e meno, tanto da aver goduto sino ai giorni nostri di una
strepitosa fortuna critica.
Come ho avuto già modo di ricordare in un altro mio articolo, lavorando alla mia tesi presso l’ACS (Archivio Centrale dello Stato), mi son
imbattuto in un argomento affascinante a dir poco: i restauri del 1914 alle
tele della Cattedrale di Bari.
Probabilmente la stretta connessione che intercorre tra l’interesse
dimostrato verso una materia a me cara e l’amore incondizionato verso la mia
terra, mi ha spinto a ricercare informazioni riguardanti le tele esaminate
durante lo scrutinio cartaceo dei fascicoli.
Forte è stata la sorpresa nel constatare che la tela del Tintoretto,
rappresentante un Miracolo di San Rocco,
è stata riportata all’antico splendore grazie ad un restauro recente del 2010,
effettuato da professori eminenti dell’Università di Bari (tra le quali
configura una mia ex docente, Luigia Sabbatini, professoressa di Diagnostica
Applicata ai Beni Culturali):
Tintoretto, Miracolo di San Rocco, XVI secolo, olio su tela, Pinacoteca Provinciale, Bari |
Tali operazioni, raccolte nel volume Il Tintoretto ritrovato. Storia, arte e restauro, a cura di Clara
Gelao, che ne ha capeggiato i lavori, riconducono ad un modo di intendere il
restauro sicuramente moderno, coadiuvato dall’utilizzo di macchine specifiche.
Un restauro che sicuramente ha goduto dell’ottimo restauro antecedente di cui
si è responsabilizzato Umberto Conti, che tristemente, nella sua perizia del 29
luglio 1914, chiamato a restaurare quella tela insigne che ne sarebbe stata
ancora argomento novantanni anni dopo, scriveva:
“ [… ] Il generale offuscamento e l’ingiallimento antipatico della
pittura, non permettono che in maniera addirittura insufficiente di apprezzare
la bella armonia del potente colorito. La parte centrale in specie, occupata
dalle figure della donna e del giovane giacenti è un garbuglio tenebroso e
indecifrabile, interrotto bruscamente dal bagliore di alcune luci livide in
modo da dare l’impressione di un disgustoso effetto di luna. Per quanto la tela
sia stata alquanto robustamente foderata, il colore minaccia di cadere in
qualche punto, come già è successo lungo gli orli del quadro dentro una fascia
di almeno dieci centimetri di larghezza. Il rosso mantello di San Rocco, per
questa ragione è stato rabberciato alla meglio per mascherare le innumerevoli
mancanze. La testa della donna già ricordata è alterata e contraffatta da
ritocchi evidentissimi; così pure è rifatto l’angolo destro del cielo. Non così
evidenti sono i ritocchi (che pur si scoprono dopo un attento e minuzioso
esame) seminati in tutto il resto del quadro, perché il colore è ricoperto da
uno spesso strato di cera che ha dato alla pittura una superficie levigata come
un mobile, in contrasto con la tecnica rude e terribilmente avventata del
Maestro.
Di più, ogni parte è cosparsa di un’infinità di piccoli grumi di cera
che producono uno sgradevole effetto, pari a quello che fan le macchie del
vaiuolo su di un ben volto.
L’essere ricorsi all’espediente fraudolento della cera è spiegato dal
bisogno che certo fu da altri sentito di mascherare la sgranatura di colore;
perché infatti (come da alcuni saggi da me eseguiti) la trama sgranata della
tela è affiorata leggermente alla superficie del colore.
Converrà perciò assicurare e rifermare il colore; toglier via con
estrema precauzione tutto l’imbratto di cera e di altre materie offuscanti la
vasta tela; rendersi soltanto allora conto dei danni che effettivamente il
dipinto ha subito in altri tempi, quando il colore naturale sarà tornato alla
luce e quindi applicare quei rimedi che l’opportunità e il grande rispetto
all’opera insigne ci suggeriranno.”
Il restauro ovviamente fu lodato dalla critica del tempo, che aveva un’ottima
considerazione del restauratore tanto da affidargli operazioni di dipinti siti
in periferia, nonostante la sua residenza fiorentina.
E sicuramente è grazie al suo apporto se la tela è giunta alle mani
dell’ottimo staff tecnico dell’Università di Bari che ha saputo rinnovarne la
freschezza.
Ma quindi mi chiedo: se non mi fosse capitato tra le mani il carteggio
inerente a questo restauro, qualcuno prima o poi avrebbe mai saputo rendere
giustizia ad un restauratore, mai citato, dimenticato, che ha contribuito alla
storia della tela del Tintoretto, senza mai prenderne il merito?
Tutti i giornali elogiano i restauratori che hanno operato nel 2010,
senza menzionare mai quel personaggio umile che si è prodigato affinché la tela
continuasse a vivere. E questo mi fa pensare: mi fa riflettere sull'ignoranza (l'atto ad ignorare) dell'utilità di una ricerca approfondita, mi fa rivalutare l'importanza della ricerca meticolosa delle fonti, ma sopratutto, mi da la conferma del fatto che forse, di tante
storie affascinanti, noi non ne conosciamo, idolatriamo e studiamo che solo la
punta, come di un iceberg in mare aperto.
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