Il corpo umano nella storia dell’arte ha sempre giocato un ruolo
primario.
Se le prime forme d’arte erano rappresentazioni statuarie della Madre
Terra fecondatrice, donne burrose con sederi e seni prosperosi, con l’evolversi
dell’uomo da individuo appartenente a tribù ad individuo appartenente ad una
società civile basata su regole e leggi, si fa sempre più preponderante
l’importanza della raffigurazione dell’essere umano, prima nelle pitture
murarie delle civiltà primordiali e poi nelle tavole, negli affreschi e nelle
tele dei periodi a seguire.
Nel Novecento però, oltre alla rappresentazione del corpo umano, che
continua ad essere un soggetto onnipresente nelle opere, con l’avvento della
forma d’arte definita performance, è l’uomo stesso a divenire opera d’arte.
Opera d’arte "volatile", termine con cui si indica un bene non
materiale: la performance solitamente non prevede ripetizioni è può essere
custodita, conservata, tramandata solo tramite l’apporto di materiale
multimediale (fotografie, video, tracce audio).
Una performance è data da una serie di azioni compiute in un tempo
indeterminato e in uno spazio non circoscritto, attraverso le quali il
performer, utilizzando a discrezione oggetti o facendosi aiutare da altre
persone, che diventano performer anch’esse, intende lanciare un messaggio.
Senza dubbio una delle performances più significative del XX secolo, appartiene ad un artista tedesco – e la cosa non è casuale, perché la
Germania diventa una delle nazioni in cui è più forte l’apporto di innovazioni
artistiche dal secondo dopoguerra – tal Joseph Beuys.
Per quanto Beuys fosse stato caldamente invitato ad esporre in
America, che lo riconosceva performer ed artista d’eccezione, egli si era
sempre rifiutato, adducendo come motivazione che l’America non avrebbe goduto
della sua figura finché non avrebbe ritirato le sue truppe dal Vietnam.
Nel 1974, finalmente l’epico incontro poteva avvenire; Beuys accettò
di esporre a New York, nella sede della galleria tedesca René Block.
La performance I like America and America likes me cominciò già
all’aeroporto: all’arrivo Beuys si era avvolto per intero in una grande
coperta di feltro e si era fatto trasportare con un’autoambulanza direttamente
nella galleria sita in West Brodway.
Qui, visse per una settimana nello stanzone della galleria insieme ad
un coyote, stabilendo con l’animale un approccio progressivo nel tempo.
J. Beuys, I like America and America likes me, 1974, installazione performativa, Galleria di Renè Block, New York |
Qui si pone la prima domanda: perché approcciare un coyote, avvolto da
una coperta?
Il coyote è il simbolo dell’America; è uno di quei classici animali
che caratterizzano il paese in cui abitano, un po’ come il canguro per
l’Australia. Beyus con la coperta ed un bastone, i mezzi con cui proteggeva il
suo essere dall’aggressione esterna, non necessariamente fisica quanto mentale,
si aggirava circospetto nello spazio alla scoperta di un luogo diverso, di una
nuova dimensione antropologica quale un nuovo paese, con una cultura diversa,
un popolo diverso e regole diverse, misurando il proprio movimento su quello
imprevedibile dell’animale.
La performance si concluse nel momento in cui il coyote e l’artista,
America e Beuys ma anche natura e cultura, stabilirono un contatto. Solo allora
Beuys si liberò della propria copertura, lasciando cadere coperta e bastone. E
a seguire cominciò l’incontro di Beyus con gli artisti americani, coi gruppi
femministi e con gli studenti, attraverso dibattiti e discussioni.
Il significato intrinseco della sua performance, stava proprio in
quello che sarebbe accaduto dopo: permettere che l’arte prendesse parola, che
il popolo ne prendesse coscienza e che la creatività potesse trovare il modo in
cui fluire nella comunicazione sociale.
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