La nascita di Atena dalla testa di Zeus, Kylix
attico a figure nere, 550 a.C., British Museum, Londra |
Tra tutti gli dei
presenti sull’Olimpo, Atena / Minerva è la dea che rappresenta più di tutti le
virtù positive appartenenti all’uomo. Già l'oracolo sulla sua nascita, peraltro, preannunciava la sua fama e la sua autorevolezza, poiché questo previde che suo padre Zeus avrebbe generato prima una figlia,
poi un figlio, che sarebbero divenuti più importanti di lui. Ragion per cui
preso a paura, il dio del cielo divorò Metis, che aveva ingravidato, che però
non morì ma divenne un tutt’uno col potente dio: a gestazione completa, Zeus
preso da un forte e lacerante mal di testa, chiese ad Efesto di spaccargli la
testa in due con un’ascia; da questa quindi uscì vittoriosa Atena, dea
della guerra, ma anche della sapienza, delle arti e del commercio e dell'industria.
Atena Giustiniani, I sec. d.C., marmo, Musei Vaticani, Roma |
Un kylix attico a figure
nere del V secolo a.C. custodito al British, ben testimonia la validità del
mito: sul bordo del vaso infatti è visibile l’aneddoto della nascita di Atena,
per cui Efesto, sulla destra, con in mano un’ascia a doppia lama, assiste alla
nascita della dea dalla candida pelle, già vestita di armi ed egida, che
fuoriesce dalla testa di Zeus, seduto sul trono, riconoscibile per via della
saetta impugnata nella mano sinistra.
Molto amata da tutti i
greci, in particolar modo dagli ateniesi, la cui città per l’appunto prende il
nome proprio dalla divinità, la dea Atena è da sempre stata rappresentata nelle
statue greche che la raffiguravano, come una donna fiera e impostata, dallo
sguardo austero e dignitoso; solitamente provvista dei suoi elementi d’appartenenza:
l’egida di pelle di capra, l’elmo, la lancia e in talune occasioni una piccola
Nike – la vittoria.
L’Atena Giustiniani
presente ai Musei Vaticani a Roma, è proprio una copia romana del I secolo
d.C., di una classica statua greca del V sec. a.C., probabilmente scolpita dall’artista
attico Fidia, lo stesso resosi celebre nella scultura delle statue e dei decori dell’Acropoli ateniese: avvolta in
un folto peplo finemente spiegazzato, la dea tiene nella mano sinistra la
lancia e porta con fierezza l’elmo da guerriera ornato ad arte. Sul petto l’egida
di pelle caprina che la caratterizzava, con su incisa la maschera di Medusa. Ai
piedi della statua un serpente ricorda il re Erittonio, suo figlio secondo la
mitologia: questo aveva sembianze di un uomo serpente, e fortemente volle l’introduzione
del culto della dea ad Atene.
La stessa impostazione
si riscontra per l’appunto nella Minerva del I sec. d.C. ritrovata sulla Via
Appia a Roma ed attualmente custodita al Museo Nacional de Arte Decorativo di
Buenos Aires, più rigida rispetto all’Atena Giustiniani, avendo i piedi molto
ravvicinati in una posizione molto più statica, come rivela il panneggio che
non si apre a nessun tipo di pieghe o non rivela movimenti.
A tal punto quindi si
rivela un unicum, l’assemblaggio che ne è fuoriuscito nel corso del XVIII
secolo, tra pezzi appartenenti ad una scultura marmorea di epoca adrianea
raffigurante la dea Minerva, e pezzi appartenenti ad un’altra scultura in onice
e agata dorata dello stesso periodo: la Minerva d’Orsay sita al Louvre infatti,
è ciò che ne deriva della sovrapposizione tra la testa e gli arti marmorei di
un’originaria dea Minerva dall’elegante e sobrio elmo da guerriera, e la veste
colorata composta di blocchi di pietre semipreziose: nonostante l’accozzaglia
degli elementi assemblati, la statua da vita ad un formidabile gioco di colori
e di riflessi luminosi, accentuati dalla particolare levigatezza del peplo.
Minerva, I sec. D.C., marmo, Museo Nacional de Arte decorativo, Buenos Aires |
Minerva d’Orsay, I sec – XVIII sec., onice, agata, marmo, Musèe du Louvre, Parigi |
Tetradracma ateniese con civetta di Atena, V sec. a.C. |
Piccolo e sfizioso
particolare è dato infine dalla civetta tenuta sul palmo della mano sinistra
piuttosto che la Nike; l’animale tanto caro alla dea, è il simbolo della sua
saggezza in terra, impersonando zoomorfologicamente la filosofia, poichè l’attaccamento
dei grandi occhioni al becco, ricorda la lettera greca φ con cui appunto inizia
la parola. Tra le civette legate alla dea, configura quella coniata sul
tetradracma ateniese del V secolo a.C., attualmente riprodotto anche sulla
moneta greca da un euro.
Negli anni dell’Umanesimo
e del Rinascimento, dopo un millennio di intriso di forte religiosità
cristiana, in cui l’iconografia profana era stata quasi del tutto accantonata,
la raffigurazione degli dei dell’Olimpo torna in auge. Sandro Botticelli è uno
dei primi artisti che, nel pieno del clima filologico della Firenze medicea,
dedica le sue tele agli dei delle civiltà classiche. Anche Minerva toccò le
attenzioni dell’artista, che la dipinse in una tela del 1483, raffigurandola
come Pallade, uno dei tanti aggettivi appartenenti alla figura della dea.
S. Botticelli, Pallade che doma il centauro, 1482, tempera su tela, Galleria degli Uffizi, Firenze |
Nel dipinto degli
Uffizi, la dea è raffigurata come una donna piacente e delicata avvolta in
ramoscelli di ulivo; una figura angelicata dalla pelle candida, i capelli
lunghi e fluenti, e le vesti leggiadre e svolazzanti secondo un taglio tipico
rinascimentale.
Ferma in uno sguardo
di dolcezza e serenità, tiene un centauro per una ciocca di capelli in maniera
altamente delicata, che dimostra sottomissione alla dea non facendo alcun
minimo sforzo per districarsi da quella imposizione allegorica, laddove Pallade
raffigurerebbe simbolicamente la razionalità e la saggezza, che predominano
sull’istinto e sulla bestialità, rappresentate dal centauro.
Anche il Veronese più
di mezzo secolo più tardi, nell’affresco di Palazzo Balbi a Venezia, rappresenterà
la dea nel pieno delle sue virtù umanistiche. Infatti nell’affresco un tempo
appartenente al Palazzo de Soranzi di Castelfranco Veneto, staccato in seguito
all’abbattimento dell’edificio agli inizi del XIX secolo, viene rappresentata
la dea della saggezza e della ragione, accompagnata dalle personificazioni della Geometria e dell’Aritmetica, che a lei
si aggrappa. Interessante è notare come l’armatura e le armi appartenenti alla
dea rispecchino il gusto del tempo, in quanto alla lancia si sostituisce la
spada ed all’elmo greco si sostituisce un copricapo da parata.
P. Veronese, Minerva fra la Geometria e l’Aritmetica, 1551, affresco, Palazzo Balbi, Venezia |
A. Van der Tempel, Minerva incorona la ragazza di
Leiden,
1650, olio su tela, Stedelijk Museum de Lakenhal, Leiden
|
Esattamente un secolo
dopo, Abraham Van den Tempel riprese la figura della dea, per insignirla di un
messaggio politico sociale. Essendo questa la protettrice delle arti, dell’industria
e del commercio infatti, il pittore la raffigurò come protagonista dell’Incoronazione
di una ragazza di Leiden, al cospetto della personificazione della città, che
alle spalle delle due donne, tiene in mano lo stendardo, come commissionatogli
dai governatori della Lakenhal, che volevano per il loro palazzo pubblico, esempi
visivi del buon governo da loro attuato.
S. Vouet, Ritratto di
Anna d’Austria come Minerva, 1645,
olio su tela, Ermitage Museum, San
Pietroburgo
|
Un esempio encomiabile
e lodevole, quello legato alla dea greco-romana, vergine per scelta, dedita
alle arti e servizievole verso la sua famiglia, che in più di un’occasione è
stato preso in considerazione da nobildonne e madame come figura a cui ambire.
Simone Vouet nel 1645 ritrae per esempio Anna d’Austria come Minerva, dove la
regina francese, che foggia un abito legato da una cintola la cui fibbia
riproduce la maschera della Medusa, è collocata in un’ambientazione classica
composta da are, colonne ed edifici fregiati. Ai suoi piedi quindi, la civetta
di Atena e l’elmo da guerriera; su di lei invece amorini giocano e allestiscono
festoni vegetali.
Ma Minerva non è solo
una dea dedita alla guerra, al commercio, all’industria ed alle arti; è anche
una donna consapevole della sua bellezza; la stessa infatti ambì ad essere
considerata la più bella dell’Olimpo quando si disputò il titolo con Venere e
Giunone. Goltzius e Lavinia Fontana nei loro dipinti mettono in evidenza
soprattutto questo lato della dea; un lato più narcisista e vezzoso, che la vede
protagonista di siparietti di nudità integrale.
Ma se Goltzius nella
sua tavola dell’Franz Hals Museum lascia nello sguardo della dea una rimanenza
di quella fierezza tipica del suo essere, appoggiata peraltro dall’elmo in testa,
dalla lancia tenuta in mano e dal braccio sinistro poggiato sullo scudo, Lavinia
Fontana abbandona la dea alla sua seducente femminilità, mentre viene ritratta
intenta a scegliere un abito da indossare; sul pavimento, riposti, trovano
luogo lo scudo, l’elmetto e l’armatura.
H. Goltzius, Minerva, 1611, olio su tavola, Franz Hals Museum, Harleem |
L. Fontana, Minerva in atto di abbigliarsi,
1613, olio su tela, Galleria Borghese, Roma |
Anche Rubens ritrae
Minerva negli stessi atteggiamenti seducenti e vezzosi della Fontana, in una
tela in cui questi atteggiamenti avevano una finalità specifica: farsi
scegliere da Paride quale la dea più bella dell’Olimpo. Il mito racconta
infatti che al matrimonio di Teti e Peleo, Eris la dea della discordia che non
fu invitata, lanciò ai piedi di Minerva, Giunone e Venere, un pomo d’oro con su
scritto “Alla più bella”.
P. Rubens, Il giudizio
di Paride, 1632,
olio su tavola, National Gallery, Londra
|
Per non fare litigare
quindi le tre dee, Giove decise che a scegliere fosse il più bello degli
uomini, per l’appunto Paride. Il ragazzo però, dopo aver ascoltato i doni
offertigli dalle dee – Giunone gli offrì poteri e ricchezze illimitate; Minerva
l’imbattibilità e il potere; Venere l’amore della donna più bella della Terra –
scelse l’ultima, dando il via alla Guerra di Troia ed inimicandosi le altre
due.
La tela di Rubens
ritrae quindi la scena in cui Paride accompagnato da Mercurio, tra le tre donne
sceglie Venere, ritratta accompagnata dal piccolo Amore; mentre Giunone con il
pavone e Minerva denudata della sua armatura e del suo scudo con la maschera di
Medusa,rimangono lì ad assistere.
Un dipinto dai connotati
mitologici, esempio di una tematica ripresa da diversi artisti nel racconto
delle imprese della dea.
J. Jordaens, Cadmo e Minerva, 1636, olio su tela, Museo del Prado, Madrid |
Il pittore Jordaens
per esempio, nella sua opera pittorica del 1636 custodita al Prado, racconta l’episodio
in cui Cadmo viene assistito dalla dea Minerva durante la battaglia civile
degli sparti. Infatti il mito racconta che Cadmo fratello di Europa, nonostante
avesse lo scopo di cercare sua sorella rapita, dedicò le sue energie a fondare
la città di Tebe come preannunziatogli da un oracolo, laddove la vacca che
avrebbe dovuto inseguire si fosse fermata.
Una volta accaduto
ciò, egli decise di sacrificare l’animale ad Atena, ma mentre era intento sul
da farsi, i suoi uomini furono uccisi da un dragone che faceva da custode alla
sorgente alla quale si erano avvicinati per abbeverarsi. Sicché una volta che Cadmo
ebbe ucciso la bestia per vendicare i suoi uomini, la dea per riconoscenza del
sacrificio fatto in suo onore, gli consigliò di seppellire i denti del dragone perché
da lì sarebbe nato il suo nuovo esercito: una volta nati gli sparti, questi,
estremamente bellicosi, si fronteggiarono tra loro, sino a che non ne rimasero
solo cinque. Questi assieme a Cadmo, fondarono la città di Tebe e diedero inizio alla sua stirpe.
La tela di Jordaens
ritrae Minerva che indica a Cadmo gli sparti intenti a lottare tra loro,
spiegandogli quanto sarebbe poi accaduto. Dietro i due protagonisti si snoda il
dragone che sembra avere le sembianze di un cane dal corpo serpentinato, mentre
il territorio arcadico e le vesti, rimandano la scena alla Grecia classica,
scena tradita però dalle armature e dalle spade moderne.
J. M. Nattier, Perseo e
Fineo, 1718, Musèe du Beaux Arts, Tours
|
Jean Marc Nattier
raccontò invece nella sua tela del Musèe du Beaux Arts di Tours, l’aneddoto
riguardante Minerva che protegge Perseo da Fineo. Il mito narra che, Cefeo, re
di Etiopia, avendo sposato la Nereide Cassiopea, ebbe da questa una figlia,
Andromeda. Ma avendo Cassiopea asserito di essere la Nereide più bella, offese
Poseidone che aveva sposato un’altra Nereide, che, per vendicare l’onta, inviò
nel regno di Cefeo un dragone, che sarebbe andato via solo dopo aver ottenuto
Andromeda in pasto.
Fu in quest’occasione
che Perseo liberò Andromeda dalle grinfie del dragone, uccidendolo, e chiese in
sposa Andromeda, dando il via alle nozze dopo il consenso di Cefeo. Ma il
fratello del re, Fineo, interruppe il convivio nuziale pretendendo Andromeda
quale sua sposa, secondo una vecchia promessa fattagli dal fratello. Per cui a
Perseo non restò che uccidere Fineo ed i suoi uomini, mostrando loro la testa
di Medusa e rendendoli di pietra, sotto lo sguardo austero di Minerva.
L. Giordano, Minerva e Aracne, 1695, olio su
tela, Monasterio di San Lorenzo, El Escorial |
Una Minerva magnanima
e protettrice quella raccontata da Nattier, che non è quella arcigna e nefasta
protagonista del mito di Aracne, secondo cui la ragazza, tessitrice mirabile e
talentuosa, osò sfidare la dea delle arti tessili in un duello. Nonostante
vinse la sfida tessendo gli amori degli dei in modo talmente impeccabile, che
la stessa dea dovette tacitamente ammettere di essere stata sconfitta, si vide
tramutare in un ragno, per l’affronto che aveva osato rivolgere alla dea. La
tela di Luca Giordano del 1695 vede una Minerva volante, sprigionante un aura
luminosa, gettare le proprie ire verso la sconvolta Aracne, dalle cui mani
iniziano a sprigionarsi le ragnatele, triste monito di quanto sta per accadere.
Un tema che riscontrò
fortuna, oltre a quello appena citato del mito di Aracne, che prima di Giordano
era stato affrontato da altri artisti come il Veronese o Francesco del Cossa, fu
quello del bivio di Ercole. Pompeo Batoni, nella sua tela alla Galleria Sabauda di Torino, affronta il
tema che vedeva Ercole indeciso all’idea di lasciarsi andare ai piaceri della
vita piuttosto che perseverare nell’onorare le virtù.
Nell’olio su tela del
1751, Ercole è seduto, con sguardo perso, su un muretto che dà ad un albero di
ulivo, accompagnato da due donne, che tentano di convincerlo a proseguire le
strade da loro professate: a destra, una dolcissima Venere gli porge una rosa,
sperando così che l’uomo si lasci andare a lei e quindi ai piaceri della vita;
a sinistra, Minerva di spalle, indica al semidio il sentiero da seguire, un
sentiero irto di virtù, riuscendo nella sua impresa di convincimento.
P. Batoni, Ercole al bivio, 1751, olio su tela, Galleria Sabauda, Torino |
J. Stella, Minerva e le Muse, 1645, olio su tela, Musèe du Louvre, Parigi |
Oltre al racconto
degli aneddoti mitologici legati alla dea, gli artisti nel corso dei secoli
hanno raccontato nelle loro opere, anche il rapporto della dea con i componenti
della sua famiglia, in particolar modo con Marte; un rapporto non sempre facile
e idilliaco, anzi, soprattutto nei confronti del fratello, spesso di natura conflittuale.
Per cui, se artisti
del calibro di Jacques Stella, raccontano di incontri eleganti ed armoniosi,
come per l’appunto quello tra Minerva e le nove muse, dipinto nella sua tela
del 1645, in cui la dea di tutte le arti interloquisce con le singole
protettrici di ognuna di esse, le tele
di Rubens o di David trattano episodi connotati da una tensione particolare,
avendo come protagonisti i due dei della guerra: Minerva e Marte.
La differenza tra le
due divinità è data proprio dai loro comportamenti e dalla loro intemperanza:
Minerva è sì dea della guerra, ma è per la pace, agisce con saggezza e cerca
sempre le soluzioni più benevoli per il popolo; Marte invece onora il suo
compito di dio della guerra, essendo irascibile, battagliero e vendicatore.
Questa differenza comportamentale si evince perfettamente nell’opera di Rubens
in cui Minerva allontana Marte dalla Pace: la dea lo fa in modo chiaro e
deciso, senza disturbare minimamente la Pace, intenta a far felici animali,
bambini, satiri e fanciulle, dimostrando una forza inaspettata che sorprende
anche lo stesso Marte, nonché la Guerra, dietro di lui.
P. Rubens, Minerva allontana Marte dalla Pace, 1630, olio su tela, National Gallery, Londra |
J. L. David, Lotta tra Marte e Minerva, 1771, Musèe du Louvre, Parigi |
Anche David nel suo
Combattimento tra Marte e Minerva illustra la vittoria della dea sul dio, illustrandola
come un angelo profano dai candidi abiti, in contrapposizione al dio dagli
abiti di rosso acceso, quasi a voler indicare nella prima la personificazione
del bene, e nel secondo quello del male. La tela neoclassica, per quanto
presenti ancora evidenti elementi rococò, è tutto uno svolazzamento di veli ed
un tripudio di azioni, movimento e teatralità, in una composizione tipica del
David dei primi anni d’attività.
E a seguire Joseph
Blonder Merry nel 1822 dipinse la Disputa tra Minerva e Nettuno, aneddoto che
racconta la nascita della città di Atene, ambita dai due dei. Secondo il mito
infatti, entrambe le divinità chiesero a Zeus che fosse consacrata a loro una
regione della Grecia, nello specifico l’Attica, per cui questo decise di far
sfidare i due dei: chi dei due avesse donato alla regione il regalo più bello,
avrebbe vinto la contesa.
Detto ciò, Nettuno con
il suo tridente toccò la terra, facendo uscire da essa il cavallo, un animale
che si sarebbe dimostrato fido aiutante dell’uomo; Minerva invece conficcò la
sua lancia nel terreno, facendone scaturire un albero d’ulivo. Cercrope quindi,
chiamato a giudicare il regalo più utile, consegnò la vittoria alla dea, dato
che l’albero produceva un frutto dal quale si poteva ricavare un alimento necessario
alla sopravvivenza dell’uomo.
J. B. Merry, Disputa tra Atena e Nettuno, 1822, Musèe du Louvre, Parigi |
G. Klimt, Pallade Atena, 1898, olio su tavola, Wien Museum, Vienna. |
Ovviamente nella tela
sono ben riconoscibili tutti i componenti presenti durante la disputa: Mercurio
col suo bastone d’Esculapio, Apollo con la sua lira e la sua corona di raggi di
sole, Giunone e Giove regina e re degli dei, Marte col suo scudo e la
bellissima Venere. In primo piano invece prendono posto le due divinità coi
loro doni per l’Attica: Nettuno in sella al suo cavallo e Atena con il suo
alberello d’ulivo, che vincendo la sfida, si vide chiamare la sua capitale in
suo onore.
A chiudere questo
excursus artistico riguardante la dea Minerva, Klimt, con la sua tavola della
Pallade Atena del 1898, sita al Wien Museum. La tela raffigura la dea della
guerra, delle arti, del commercio, dell’industria e della saggezza nella sua
austerità e nel suo splendore, brillando di luce propria con l’elmo il
giavellotto e l’armatura dorati, sulla cui ultima è raffigurata la meravigliosa
testa di Medusa. Lo sguardo è androgino, freddo e imponente, dignitoso come
quello della dea, mentre tra le mani tiene la Nike, a simboleggiare la sua
attitudine a dimostrarsi sempre una vincitrice.
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