La storia che vi sto
per raccontare, nasce dal mio amore spropositato per Caravaggio; nello
specifico dalle curiosità di stampo restaurativo, iconografico e aneddotico
legate ad uno dei suoi dipinti più fortunati, conosciuti e meravigliosi della
sua carriera: Giuditta ed Oloferne.
Caravaggio, Giuditta e Oloferne, 1599, olio su tela, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma. |
Il dipinto sito nella
sala che ospita diversi Caravaggio nella Galleria di Arte Antica in Palazzo
Barberini a Roma, non di rado mi ha lasciato bloccato e commosso durante la
contemplazione: la Giuditta appare fiera di sé e così tenace, da tirare per i
capelli il grande Oloferne e staccarne la testa con un colpo deciso di spada,
senza mostrare alcun indugio o orrore dinanzi al forte spruzzo di sangue vivo; l’Oloferne,
probabilmente il primo autoritratto del pittore, è teso e spasmodico, colpito
senza preavviso dalla donna con cui ha dormito sino a qualche minuto prima.
Una
spettacolarizzazione studiata e senza dubbio giunta con l’apporto di alcune
incisioni sulla tela, al fine di creare giochi particolari di luce attraverso
ombre e rifrazioni, e dopo alcuni pentimenti dell’artista, dimostrabili da
radiografie sul dipinto: i più importanti sono consecutivi tra loro e
riguardano il braccio teso di Giuditta e la testa di Oloferne, spostata un po’
più in alto rispetto alla prima versione in modo da creare con l’arto dell’eroina
un unico blocco emotivo e drammatico.
G. Reni, Ritratto di Beatrice Cenci, 1600, olio su tela, Galleria Naz. d'Arte Antica, Roma. |
Per quanto Beatrice
Cenci non sia così conosciuta come Fillide Melandroni, Lena Antognetti o
Annuccia Bianchini, protagoniste indiscusse della vita amorosa ed artistica del
pittore, negli ultimi anni del XVI secolo la vicenda legata ad essa, nonché la
sua figura, condizionarono molto il vissuto di Caravaggio, che assistette anche
alla sua decapitazione.
La giovane donna
infatti, allora 22enne e raffigurata anche da Guido Reni nel celebre Ritratto custodito nella stessa galleria,
si era resa colpevole assieme ai suoi fratelli Giacomo e Bernardo, alla
matrigna Lucrezia, al maniscalco Marzio de Fioran ed al castellano Olimpio
Calvetti, di parricidio nei confronti di Francesco Cenci, tesoriere dello Stato
Pontificio, uomo sodomita, violento e avaro che l’aveva fatta rinchiudere nella
Rocca di Petrella Salto, così da evitarle le nozze e pagare la dote.
Percossa brutalmente e
seviziata, per ben due volte la fanciulla tentò di placare le sofferenze
attentando alla vita del padre: la prima volta si cercò di sopprimerlo con il veleno,
la seconda con un'imboscata di briganti locali. Ma il terzo tentativo
fu quello decisivo: Francesco, dapprima stordito dall'oppio miscelato ad una
bevanda servitagli da Giacomo, fu poi assalito nel sonno in cui era
piombato.
Rocca di Petrella Salto |
Ma l’importanza
che girava attorno al nome di Francesco Cenci, non permise che la sua morte
chiudesse senza strascichi il periodo di terrore e violenza che aveva creato:
indagini portarono all’individuazione di tutti i colpevoli. Olimpio, riuscito a
fuggire, fu raggiunto da un sicario pagato dai Cenci ed ucciso prima che
potesse parlare; Marzio morì in seguito alle ferite mortali subite sotto
tortura; Giacomo fu condannato a squartamento e le due donne alla
decapitazione. Solo il giovane Bernardo per la sua giovane età ebbe salva la
vita, ma fu condannato ad assistere all’esecuzione in piazza dei suoi familiari
ed ancora alla condanna dei remi perpetui nelle galere pontificie.
A. Gentileschi, Giuditta e Oloferne, 1620, olio su tela, Galleria degli Uffizi, Firenze. |
Tra i presenti,
appunto, anche Caravaggio insieme con il pittore Orazio
Gentileschi e la figlioletta, anch'essa futura pittrice, Artemisia.
La stessa che avrebbe
riproposto il tema iconografico della Giuditta ed Oloferne toccato vent’anni
prima dal pittore; conferendo all’eroina, l’identiche fisicità, dignità, fierezza
e senso di sacrificio del dipinto di Caravaggio.
Probabilmente, come
sostengono diversi critici tra cui Roberto Longhi, una Giuditta così sadica sarebbe
la trasposizione dell’odio della Gentileschi verso Agostino Tassi, che l’aveva stuprata. O
probabilmente, come avrei ragione di credere io, tale crudità era semplicemente lo strascico di
un ricordo infantile legato all’esecuzione di quella fanciulla, morta
ingiustamente per essersi tutelata dalle angherie di suo padre, vista con gli
stessi occhi che erano stati di quel Caravaggio, che le sostava accanto.
il ritratto fatto da Reni mi ha molto affascinato. Direi più della famosissima Gioconda di Leonardo.......
RispondiEliminaTi capisco...
EliminaLei rappresenta il dolore la forza della tenerezza e della resistenza delle donne da troppo troppo tempo abusate sfruttate e sottomesse che alla fine trovano pur nell' incubo dell' orrore che le circonda un moto di giusta ribellione...lasciando una se pur grave testimonianza che questi artisti ci hanno tramandato e trasmesso ...visivamente a futura memoria sperando presto di poter andare oltre a questi continui orrori e delitti verso le donne e tutti quelli considerati più deboli e subalterni e quindi facili da sovverchiare. Buona serata dì25 nov.'21 S. L.
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