Il viaggio in Marocco, che l’artista affrontò
con sua moglie Amelie nel 1912, apre una seconda fase dell'arte matissiana.
Matisse non aveva scelto il Marocco a caso: il
paese che si affaccia sull’Oceano Atlantico, si prestava molto a quella che era
l’esigenza dell’artista di riscoprire nuovi paesaggi e soprattutto una nuova
luce, meno violenta di quella nordica di Colliure, dove aveva soggiornato per
qualche tempo.
L’esperienza in Marocco si rivelò
positiva per Matisse. Egli rimase da subito affascinato dalla vegetazione e
dalla luce. Particolarmente suggestivo ai suoi occhi fu l’effetto luminoso che
si creava durante l’evaporazione dell’acqua sulla terra bagnata, a causa del
sole rovente che batteva su di essa.
Tra le prime esperienze legate al
paesaggio, ascrivibili al periodo marocchino, ritroviamo lo studio della pianta
d’acanto, che egli aveva già affrontato in accademia, ma mai dal vivo. Proprio
l’acanto, assieme alle pervinche ed alla palma, da vita ad uno pseudo trittico,
il Trittico
del giardino marocchino,
opera destinata ad uno dei suoi committenti, il magnate russo Morosov, che gli
aveva tempo addietro commissionato due paesaggi.
Le forme de Gli acanti, Le pervinche e La palma, riconducono a La
Gioia di vivere nella stesura del colore in campiture larghe e
nell’utilizzo di colori alquanto vivi per la vegetazione. La gamma cromatica
della tavolozza si rinnova in questo periodo, lasciando spazio a nuove tonalità
di verde più o meno acceso, colore protagonista dei paesaggi marocchini
raffiguranti la vegetazione locale.
Elemento saldo rimane la
concezione della composizione, che vede il dislocarsi delle piante su diversi
piani, resi indefiniti dal modo di rappresentare foglie, tronchi e rami
sovrapposti tra loro.
L’iconografia dei pesci rossi in
Matisse diventa l’emblema del periodo parigino post marocchino. Egli
sperimenterà nel corso del 1912 ed oltre, nel suo atelier di Issy les
Moulineaux, un nuovo modo di rappresentare gli spazi, dipingendo nature morte i
cui interni interni presentano pesci rossi in bocce di vetro, piante o vasi di
fiori e all’occorrenza sculture.
Nella tela Pesci rossi e scultura,
la luce del vaso vitreo cilindrico, è resa in maniera innaturale attraverso tre
strisce bianche verticali sfumate di vermiglione, il colore dei pesci. L’imboccatura
del vaso, è chiaramente parallela al pelo d’acqua, a simboleggiare una parvenza
di prospettiva, che però non vien più resa nella dislocazione dei pesci e della
luce riflessa. La scultura grigia poggiata sul piano rende bene la profondità,
creando tridimensionalità, a differenza della bidimensionalità mostrata in
altre opere dipinte prima del viaggio in Marocco, come Interno con melanzane. Ancora,
confrontando i dipinti pre-marocchini e quelli post-marocchini, è riscontrabile
un nuovo modo di comporre nature morte non più utilizzando stoffe decorate, ma
cilindri di vetro con pesci rossi e quella vegetazione osservata e studiata in
Marocco.
Qui, vi ritrova la luce e i caldi colori africani,
che danno nuovo impulso al suo senso cromatico e decorativo. Ma a
differenza di quanto fatto nel viaggio precedente, il suo interesse si rivolge
questa volta, allo studio della figura umana. Il Riffiano
in piedi appartiene a questo momento: Matisse lo ritrae in due pose, in
piedi e seduto.
Il 21
novembre 1912 scrive alla figlia Marguerite: "Oggi ho iniziato una tela
della stessa dimensione di Pesci rossi
di Stchukin. E' ritratto un riffano, un tipo di bandito splendido e selvaggio
come uno sciacallo. Spero che proceda bene, dato che l'inizio è buono".
L'intenzione
del pittore non è quella di dipingere un tipo esotico in un contesto
orientalista, (per quanto questo si rivela un buon esercizio di rinnovo del
modo di rappresentare la figura umana), ma quello tendere a creare una figura
ieratica, simile a quanto osservato nelle icone bizantine e russe durante il
viaggio in Russia del 1911.
Trasforma
così il dato reale, che gli serve soltanto come spunto tematico, in un'immagine
ieratica, fuori dal tempo, realizzata con colori puri e brillanti, pennellate
dense e corpose di matrice fauve e un disegno piatto.
Successivamente,
a causa della Prima Guerra Mondiale, anche l'arte di Matisse parve assumere una
piega più malinconica, carica di quel dolore che in vario modo coinvolse molti
artisti in quel periodo.
Allo scoppio della guerra infatti Matisse
cercò di arruolarsi insieme agli amici Camoin e Puy, ma la sua richiesta venne rifiutata e così il
pittore si trasferì con la famiglia prima a Tolosa, poi a Collioure, dove
ritrovò alcuni amici fauves e conobbe Juan Gris, l'artista madrileno che aveva
contribuito con Braque e Picasso alla nascita del Cubismo.
Questa
corrente artistica influenzò non poco Matisse che nel corso della guerra, fu
spinto dalla volontà di rinnovare la sua pittura, sperimentare nuove tecniche
ed affinare ed approfondire lo studio di soggetti già esaminati in passato, in
primis la figura umana. Questi incontri influiscono sulla pittura di quegli
anni, che sembra ulteriormente appiattirsi in forme sempre più geometriche e
sintetiche, come dimostra Testa
bianca e rosa, un ritratto della figlia Marguerite, sintetico, quasi
astratto, dipinto a Parigi nello studio di Quai Saint-Michel nell'autunno 1914,
in cui assieme al rosa, colore predominante è il nero, colore che da qualche
tempo compare nella tavolozza dell’artista.
Gli anni della guerra furono anni
particolarmente tristi per Matisse, che sentiva addosso il peso di non aver
potuto partecipare attivamente alla guerra combattendo al fronte. Lontano dalla
famiglia, dopo un attento studio ed un interessamento al cubismo di Juan Gris e
Pablo Picasso, che si tramutò nella creazione di opere più o meno schematiche
in cui prevale la geometrizzazione delle forme e l' uso di
colori più scuri dominati dal verde, dal grigio e dal nero talmente carico al
punto che, paradossalmente conferisce alle tele una particolare luce vibrante,
il pittore si dedicò alla stesura di opere che avevano per soggetto Lorette, la
modella italiana con cui intraprese una collaborazione artistica a partire dal
1916.
Egli, che fino ad allora aveva ritratto
nelle sue tele quasi sempre sua moglie Amelie e sua figlia Marguerite, poiché
riscontrava in loro quell’affetto e quel feeling che gli permetteva di poter
dipingere in armonia e senza turbamenti, iniziò a considerare Lorette la sua
musa ispiratrice.
L’incontro con Lorette si rivelò
per l’artista decisamente positivo. Matisse infatti, durante gli anni della
guerra vive un periodo di grande smarrimento: è alla spasmodica ricerca di sé
stesso e quindi di un nuovo stile e di una nuova personalità: il fauvismo da
lui inventato, il cubismo a cui si era avvicinato e che aveva sperimentato, la
passione per Van Gogh, sono momenti nei quali ormai non si riconosce più. Vuole
ritornare all’ordine ma non trova la via e il modo né il modello di ordine. E
quindi è proprio in questi mesi di grandi turbamenti, che tra la modella
italiana e quello che è già considerato un grande artista di fama europea
inizia un rapporto di lavoro incerto e perfino traumatico, ma che pian piano,
raggiunge e consegue livelli di armonizzazione e di compenetrazione così
profondi e determinanti.
Ed infatti man mano che i mesi
passano il cromatismo fragoroso e violento del periodo fauve e le vecchie
interpretazioni cubiste e impressioniste lasciano lo spazio a quelle nuove
impostazioni dolci e armoniose, che diverranno poi la personalità e l’arte di Matisse
negli anni a seguire: la cultura degli interni, la idealizzazione della figura
della donna, il cromatismo ricco e splendente dal quale le figure e le nature
morte scaturiscono come scolpite, vario e sempre cangiante, la luce e la
luminosità.
Al biennio 1915-1917 è riconducibile lo studio dell’iconografia delle
odalische e delle figure marocchine. Matisse che vive i drammi della guerra,
riprende a raffigurare ciò che egli aveva osservato anni prima in Marocco,
quasi al fine di voler trasferire i ricordi positivi di una terra tanto amata e
di colori vissuti sulla pelle nella quotidianità dilaniata dalla guerra. Ancora
vivo è il ricordo della cultura marocchina, talmente vivo che egli rappresenta
momenti di quotidianità dei marocchini, come in I marocchini del 1915-16,
tela in cui il pittore procede attraverso i contrasti di colori scuri, nero in
testa, e colori chiari.
Al 1917, poco prima della sua partenza per Nizza, è ascrivibile il rinnovato
interesse per il paesaggio. La tela in cui viene trasportato un nuovo modo di
rendere la luminosità del paesaggio raffigurato è Colpo di sole. Lo studio
della luminosità trova una svolta in questo dipinto. Matisse, che fino ad
allora aveva sperimentato un nuovo modo di dipingere, avvicinandosi di molto al
cubismo seppur mai prendendone parte e avendo analizzato in passato il
divisionismo ed il postimpressionismo a contatto con Signac, arriva ora alla
tesi per cui non è possibile conciliare l’impressionismo, in cui è analizzata
la resa della luce, ed il cubismo, senza ricadere nell’astrazione completa. La
via giusta per una resa ottimale della luce è perseguire la tradizione luminista
di Jean Baptiste Camille Corot. Testimonianza del perseguimento di questa via è
anche L’albero presso il laghetto di Trivaux.
Il dipinto, un olio su tela opera di Henri Matisse, raffigura un paesaggio lagunare, nello specifico un albero che si affaccia sul laghetto Trivaux, situato nel parco Bois de Meudon, a circa due miglia dalla casa di Matisse sulla Route de Clamart. Questo lavoro viene ricondotto ad un arco di tempo che va dagli ultimi mesi del 1916 alla prima metà del 1917, periodo in cui il pittore riprende l’interesse per il tema del paesaggio.
La composizione del paesaggio si svolge su più piani indefiniti tra
loro. Sul lato destro della tela si erge il tronco dell’albero, che non trova
il suo basamento nel terreno ma vede nascoste le radici da un cespuglio in
primo piano. Interessante è notare il gioco di contrasto tra il tronco, (che svetta
imponente per poi dividersi in diversi rami sinuosi), che presenta
diverse gradazioni di marrone e il resto del quadro, che presenta tonalità di
verdi nel fogliame che cade fluente dai rami, di grigi che rendono l’effetto di
una luce soffusa e nebbiosa e di azzurri, tutte cromie derivanti dal suo
periodo marocchino. Non è facile decifrare il distacco tra la vegetazione e il
laghetto, perché quasi la flora si confonde in esso.
Henri Matisse, Albero presso il laghetto Trivaux, 1916-17, Tate Gallery, New York. |
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