Laureanda in Storia
dell’Arte presso l’Università degli Studi di Roma Tre, Silvia Squillante è una
delle persone più autocritiche, precise, meticolose, diligenti e perfezioniste
che io conosca.
Pertanto, dato che la
mia rubrica vuole analizzare giovani talenti che con le loro idee ed i loro
ragionamenti vogliono rivoluzionare l’Italia di oggi, non posso esulare
dall’intervistare una futura storica dell’arte davvero talentuosa.
Analizzando le sue idee,
sono sicuro, si riuscirà ad estrapolare il suo valore ed il suo
eclettismo, mai lasciato a se stesso, sempre supportato da curiosità e voglia
di sapere.
D: Silvia, solitamente
pongo la domanda sul rapporto intervistato – territorio d’origine e di
residenza a metà dell’intervista. Con te preferisco iniziare da questa,
sapendoti molto legata alla tua Liguria.
Il fil rouge che
unisce questa e le altre interviste è la domanda sul rapporto con il
territorio.
Sono del parere che il
territorio formi, motivi, educhi e plasmi in qualche modo alcuni lati del
carattere di una persona. Quanto ha inciso sul tuo essere, la terra in cui sei
nato e hai vissuto? Qual è il rapporto che vivi con il paese in cui risiedi?
R: Dunque, credo
di dover doppiamente ringraziare la mia Liguria per un motivo semplice: si è
fatta odiare a tal punto da farmi decidere che era giunto il momento di
prendere, fare le valigie e partire il più lontano possibile, e allo stesso
tempo si è fatta amare così tanto da rendere ogni paragone con qualsiasi altro
posto io visitassi (almeno in Italia) assolutamente vano. Lei, per me, vinceva
sempre!
È strano perché da
quando mi sono trasferita a Roma ho conosciuto ragazzi e ragazze provenienti
per lo più dal sud del Paese e, soprattutto durante i primi anni,
confrontandomi con loro sentivo che avevano un campanilismo spiazzante, a volte
quasi assurdo ai miei occhi, facendomi sentire una “traditrice” nei confronti
della mia terra. Sentivo dire “appena presa la laurea tornerò a casa mia,
perché qui non si vive bene come la!” oppure “quando torno a casa appena passo
il confine della mia terra sento l’odore nell’aria, la riconoscerei a occhi
chiusi!”, più tutta una serie di frasi che mi lasciavano a metà strada fra lo
sconcerto e lo spavento (ma che cavolo di individui ho conosciuto?!).
Nonostante ciò questo tipo di incontri mi facevano riflettere: perché io non
provavo queste sensazioni? Perché non sarei mai e poi mai tornata a vivere in
Liguria, io che non sono andata a studiare a Genova perché 100 km di distanza
da Imperia mi sembravano troppo pochi?
Non conosco il
dialetto ligure (lo capisco abbastanza, ma parlarlo è un’altra storia), non
conosco approfonditamente la storia e le caratteristiche della mia città, se
incontro le persone per strada non capita quasi mai di salutare visi noti, non
per maleducazione, ma perché davvero non li conosco (e non stiamo parlando di
una metropoli … Imperia ha 42.325 residenti!), insomma da questo punto di
vista rispecchio benissimo l’indole del ligure medio: mi faccio i cazzi miei!
Fosse finita così
sarebbe la storia di un amore mai nato, e invece no, la svolta c’è stata,
eccome! Per le ricerche riguardanti la tesi triennale in “storia e
conservazione del patrimonio artistico” sentivo di dover fare qualcosa che sottolineasse
il legame con il mio paese. Ricordo ancora quando ne parlai con la mia
relatrice, si mise subito a cercare su internet un argomento riguardante
Imperia potenzialmente interessante per una tesi … Dopo circa cinque minuti mi
guardò e mi disse: “No, su Imperia non c’è nulla!” (bastava che me lo chiedesse
e le avrei detto le stesse parole prima di iniziare la sua ricerca..). Così mi
dedicai ad una tesi riguardante i rapporti artistici fra Fiandre e Genova, che
alla fine del 1500 iniziava ad essere il centro del Mediterraneo ed il porto
del Nord Europa. Era scattata la scintilla dell’amore! Non mi ero mai resa
conto fino a quel momento di quanto fosse bella la Liguria, la sua storia, i
suoi paesaggi, il suo mare (che secondo me, non c’è niente da fare, è il più
bello d’Italia, acqua fresca anche ad Agosto, un colore blu profondo e fondale
sabbioso … che meraviglia!), il suo cibo, la sua entroterra, i suoi porti, la
sua gente (che anche se ha tanti difetti, sono pur sempre le caratteristiche
tipiche di un ligure, lo rendono diverso e quindi speciale!).
Lasciando da parte
tutti le critiche che si potrebbero fare riguardo al fatto che la nostra terra
non venga assolutamente “sfruttata” per dare svago e possibilità ai giovani,
che non vengano proposte iniziative nuove di grossa portata, che moltissime
persone non sappiano assolutamente cosa voglia dire trattare con i turisti per
farli tornare a casa con il sorriso e la contentezza di aver scelto noi
piuttosto che un’altra regione (potrei scrivere un libro riguardo questo
punto!), ecc.. è bene focalizzarsi sulle cose davvero belle, e metto la mia
parola sul fatto che ci siano in abbondanza e che varrebbe la pena vederle o
provarle in prima persona!
D: A Roma sei riuscita
a trovare qualche lavoretto più o meno di spessore nell’ambito presso cui ti
stai formando. Lavori con i bambini, occasionalmente, accompagnandoli come
guida turistica nelle loro gite e sei assistente di sala presso i Musei
Capitolini. Cosa ti è stato possibile trarre, facendo un resoconto ad oggi, di
positivo e di negativo da questa esperienza?
R: Sono davvero
contenta di essere sempre stata in grado di trovare qualche lavoro, più o meno
aderente ai miei studi, che mi abbia dato la possibilità di aiutare in primo
luogo i miei genitori con le spese che hanno dovuto affrontare in questi anni
per mantenermi in una delle città più care d’Italia. Non solo i costi delle
tasse universitarie e dei libri necessari per i corsi sono alti, ma gli affitti
soprattutto hanno raggiunto nel corso degli anni dei livelli impressionanti. È
chiaro che senza di loro non sarei mai potuta rimanere qui, quindi la prima
necessità è stata trovare qualche lavoro per contribuire ai loro sforzi.
Chiaramente oltre a questa motivazione c’è stata anche la necessità di entrare
gradualmente nel mondo del lavoro, di acquisire una professionalità in vari
ambiti che altrimenti non avrei potuto avere se non in una grande città d’arte
com’è Roma.
D: Una volta ti
accolsi a discutere con me circa il mio articolo su Svirgolettate, inerente
alla denuncia dei musei a rischio chiusura in Italia, di cui riporto il link
(Musei
a rischio di chiusura nel Bel Paese), poi per gli impegni di entrambi, il
tutto è passato in secondo piano. Cosa pensi a riguardo della mancanza di
personale adeguato nei musei italiani?
R: Sono d’accordissimo
sul fatto che in molti siti italiani la scarsità, se non l’assenza, di
personale sia deleterio all’immagine che il Paese mostra agli occhi dei turisti
stranieri. Molti luoghi d’arte sono letteralmente abbandonati a se stessi,
senza nessun tipo di controllo o di manutenzione a causa dell’assenza di fondi
da impiegare in questo settore. Questo è un duro colpo per chi ama l’arte e non
solo. Sono sicura che vedere Pompei crollare a pezzi faccia male a tutti. Ma in
molti casi, vivendo la situazione “da dentro” (nel mio caso ho avuto la fortuna
di lavorare nel museo più antico del mondo, i Musei Capitolini) mi sono resa
conto di quanti soldi vengano letteralmente buttati via per stipendiare persone
che non solo non possiedono una qualifica adeguata, ma che in molti casi non
svolgono il loro lavoro in modo professionale. Moltissimi dei miei colleghi
hanno avuto la fortuna di entrare all’interno di questo circuito quando ancora
il Museo era in crescita e c’era una forte necessità di personale. Da quel
momento, come spesso accade in Italia, hanno iniziato a dare per scontato che
quell’impiego e quello stipendio erano qualcosa di dovuto, indipendentemente
dallo zelo con cui vi si dedicassero. Questo atteggiamento, purtroppo, lo
ritrovo quotidianamente e nonostante il periodo di forte crisi lavorativa che
stiamo vivendo non vedo alcuno sforzo da parte di molti (non tutti per
fortuna!) per dimostrare di meritare la mansione per cui sono stati assunti
anni fa. È per questo motivo che, in alcuni casi, un taglio del personale
sarebbe auspicabile, per far si che gli impiegati all’interno degli ambiti
museali si rendano conto che nulla è ormai scontato, che nulla è dovuto, e che
lo stipendio che si è portato a casa alla fine del mese è frutto di sforzi e di
un vero lavoro.
D: Ami metterti in gioco,
sperimentare, conoscere. Per chi non ti conosce sei una piacevole scoperta, per
chi ti conosce sei un esempio da seguire per ambire all’eccellenza. A
dimostrazione di quanto dico, la scelta di argomentare una tesi in arte
contemporanea, nonostante la tua predilezione per l’arte moderna.
A detta di ciò, per il
tuo futuro ti auspichi di perseguire la tua specializzazione verso un filone
più moderno o più contemporaneo?
R: Purtroppo mi trovo
a rispondere a queste domande in un periodo di mia personale crisi interiore.
Mi spiego meglio.
Non vorrei essere
estremamente pessimista riguardo le possibilità lavorative del futuro, ma
cercando di essere realista non credo di poter avere la possibilità di
continuare all’interno di questo ambito. L’arte è ormai da tempo sinonimo di
mercato e di affari, quindi per entrare in questo settore come artista o come
critico c’è bisogno di avere prima di tutto delle conoscenze “importanti” e, in
secondo luogo ma non meno importante, una forte capacità di persuasione nei
confronti di chi detiene la scena (detto in parole povere bisogna leccare il
culo a parecchia gente!). Credo non solo di non rientrare all’interno di queste
due categorie, ma anche se mi sforzassi di plasmare il mio carattere secondo
questo modello il risultato sarebbe fallimentare, non sarei convincente credo.
Quello che mi auspico
per il mio futuro è di trovare un qualsiasi lavoro onesto che mi faccia tornare
la sera a casa soddisfatta di me stessa, con il sorriso sulle labbra e che mi
dia la possibilità di creare una famiglia.
Ho deciso ormai
parecchi anni fa che avrei studiato storia dell’arte perché è la mia passione,
perché mi fa viaggiare con l’immaginazione e mi lascia a bocca aperta ogni
volta. Ma ero consapevole che, forse, non sarebbe diventato il mio mestiere.
Quello che mi sono sempre ripetuta è “Preferisco essere una cassiera del
supermercato che conosce Caravaggio o Pollock piuttosto che no”, e quindi mi
sono impegnata con passione e con diligenza nei miei studi, ma senza un secondo
fine. Nel caso contrario sarebbe stato come sostenere che uno studente sceglie
di seguire medicina per avere in futuro un grosso stipendio piuttosto che per
salvare delle vite umane. Sarò una sognatrice, ma per me questo discorso non ha
nessun senso.
Con ciò non voglio
dire che ho abbandonato completamente la volontà di lavorare nel mondo
dell’arte, anzi me lo auguro di cuore, sarebbe una realizzazione personale
grandissima! E, se ne avessi la possibilità, in questo momento non saprei
davvero a quale specializzazione dedicarmi: la mia passione è l’arte moderna,
però scopro ogni giorno di più cose interessantissime dell’arte contemporanea,
in particolare gli anni ’60 in Italia.
D: Ultima domanda, la
dedico all’arte. Cos’è per te l’arte?
C’è un’opera d’arte o
un artista che preferisci tra tutti?
R: E’ una domanda dove
potrei dire tutto e niente allo stesso tempo. Troppo difficile cercare di dare
un’unica definizione …
Secondo me l’arte è da
sempre l’espressione più bella dell’intelligenza umana, la parte migliore
dell’uomo, la creatività e la passione unite nello stesso risultato.
Non ho un’opera
preferita, è questo il mio problema purtroppo, mi piace tutto ciò che presenta
qualche particolarità che la distingue dalle altre. Però confesso che al Museo
del Prado, davanti alla Crocifissione di Rogier van der Weyden mi è
scesa una lacrima …