venerdì 30 agosto 2013

Quando una scelta fa la differenza: il caso Bresca e il caso Gimenez in ambito di restauro

Indagare per la mia tesi, sulle misure conservative ed i restauri effettuati alle tavole ed alle tele delle istituzioni museali ed ecclesiastiche italiane, ha sicuramente sviluppato in me una coscienza, probabilmente sino ad allora non sviluppata a tal punto da inquadrare i fenomeni di rischio legati ad un affidamento improprio di determinati lavori.

Giotto, Cappella degli Scrovegni,
1300 - 1306, affreschi, Padova
Penso per esempio alla figura di Filippo Fiscali, che negli ultimi anni dell’800, nella sua attività di restauratore, - ruolo che ricoprì in Emilia e nei centri minori dell’Italia centrale, - trasportò diverse pale e foderò diverse tele di artisti validi quali Del Cossa e Pietro Lorenzetti, Perugino e Pier della Francesca, rendendosi però altresì responsabile di alcuni restauri poco fortunati, come nel caso dell'Ultima cena del Garofalo alla Pinacoteca nazionale di Ferrara, che gli costò l’esclusione da ogni commissione ministeriale.

O in ambito di restauri a pitture parietali, a Guglielmo Botti, pupillo di Giovanni Battista Cavalcaselle che, nonostante non avesse mai mostrato sul campo grandi doti durante il suo operato,  si rese nel 1872, responsabile di restauri mal eseguiti sugli affreschi di Giotto nella Cappella Scrovegni, fermando le pitture con chiodi di ferro anziché di ottone o rame. 

Lettera del sign. G. B Bresca al
Ministro dell'Istruzione.
 
Tale coscienza di cui vi parlavo, si esplica all’atto pratico, quando mi ritrovo ad analizzare documenti che rivelano una cauta attenzione del Ministero – ieri come oggi, ieri più di oggi (?) – circa i procedimenti da attuare ai diversi restauri, le innovazioni tecniche da omologare ufficialmente alle già testate, la credibilità da porre nei confronti di sedicenti appassionati in materia che puntualmente si propongono di portare a termine lavori per i quali non sono preparati professionalmente.
 E a dimostrazione di ciò, trova luogo anche l’istanza del professor G.N. Bresca, del 1916, nativo di Alessandria.

Professore, di cui non risultano collaborazioni con le Sovrintendenze o contributi tecnici nell’ambito del restauro, ma di cui sappiamo non essere un chimico, né un restauratore, scrisse in tale data all’allora Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Corrado Ricci, per denunciare una sua scoperta con il chiaro intento di rivenderla allo Stato.

Questo personaggio emblematico, premettendo nella sua missiva, come le tele soffrissero gli agenti atmosferici, dal caldo al freddo, dall’umidità alla secchezza, espose quindi all’illustre Direttore storico dell’arte e primo Sovrintendente d’Italia, di aver creato “un preparato di quattro elementi, per preservare i dipinti dalla inevitabile rovina.. senza toccare l’opera dell’artista”.

Detto ciò, il professor Bresca chiarì che non era disposto a svelare i componenti della pozione segreta, ma specificò che, avendo egli settantadue anni, l’avrebbe lasciata una volta venuto a mancare; intanto disponeva nella stessa lettera, che un kg della sostanza da lui creata veniva a costare 5 lire al Kg. Questa sembrò essere una forma di tutela nei suoi confronti, poiché a seguire chiariva che si sarebbe messo a disposizione dello Stato, concedendo le sue prestazioni o su stipendio mensile o su applicazione della sostanza per metro quadro.

Ovviamente la risposta della Direzione Generale non tardò ad arrivare: Ricci, conosciuto come una personalità abbastanza sanguigna e appassionata, seppe rispondere con diplomazia al professore suddetto, non senza però far trapelare dalle sue parole una vena di polemica mista a derisione; qui spiegò come non fosse possibile al Ministero sottoporre i quadri appartenenti al patrimonio artistico dello Stato, ad uno speciale trattamento mediante un preparato di cui si ignoravano gli elementi costituitivi.

Con la lettera a seguire, il Bresca chiarì in diversi punti quindi, che il pericolo non si veniva a creare poiché il principio consisteva nell’isolamento del tergo della tela; che la soluzione consisteva in massima parte di cera, da spalmarsi appunto sul tergo.
Ma la Direzione Generale ancora una volta non tenne conto della nuova specifica e la storia fu archiviata.

Questo aneddoto ben rivela una particolare attenzione alle conseguenze drammatiche che possono seguire a scelte avventate e non ponderate, al fine di una completa tutela e preservazione del bene in atto. Purtroppo però, tali lungimiranze non sempre sono agli occhi di chi ha potere decisionale.

La restauratrice Cecilia Gimenez.
Mi riferisco, tra i tanti casi, a quanto accaduto all'affresco Ecce Homo, un'opera del pittore spagnolo Elías García Martínez (1858-1934), situata nel Santuario de Misericordia della città spagnola di Borja. Magari ai più l’affresco citato non riconduce a niente, eppure questa pittura parietale di non inestimabile valore, è stata al centro dell’attenzione mediatica mondiale, perché deturpata dal pessimo restauro della ultraottantenne pittrice amatoriale Cecilia Gimenez.

Accadde infatti nell'agosto 2012, che la parrocchiana, senza esperienza né qualifica alcuna in restauro, con il lasciapassare del parroco, prendesse l'iniziativa di mettere mani all'affresco, alterando cromia e disegno del volto del Cristo raffigurato, tanto da renderlo alla stregua di un disegno naif o infantile.

Confronto tra il prima ed il dopo dell'affresco restaurato.
La notizia allora fece il giro del mondo; l’affresco di Elias Garcìa Martinez da quel momento gode di una fortuna critica senza pari, per quanto traslata ad una visione negativa dell’opera a causa del restauro incredibilmente orrendo.

Insomma, questi due aneddoti ci dimostrano che spesso le scelte di un momento possono cambiare nel loro piccolo, - così come nel loro grande – la storia dell’arte mondiale. Probabilmente se Bresca avesse avuto modo di metter mani alle opere dello Stato, ad oggi avremmo una soluzione a base di cera, utilizzata in ogni museo mondiale, o forse non avremmo più alcun dipinto sito nelle gallerie italiane; così come allo stesso modo sicuramente ancor oggi avremmo potuto godere dell’affresco dell’Ecce Homo di Borja, sempre che avessimo saputo di cosa si trattasse.  

2 commenti:

  1. Come scrivi giustamente, si tratta di "critica negativa". Ma ciò che trovo inconcepibile è come sia stato possibile permettere e far continuare un simile restauro. Nemmeno un po' di autocritica da parte di parroco e "restauratrice"? Non si sono resi conto di aggiungere scempio a scempio?

    E poi non era meglio avere un anonimato di un affresco comunque gradevole al posto di una popolarità di un qualcosa di orrendo?

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  2. Per onestà intellettuale devo ammettere che ho preferito omettere la notizia nel dettaglio, per lasciare spazio a considerazioni di natura critica, essendo reperibile, comunque, la notizia su internet.
    Dico questo perché la restauratrice è stata immediatamente fermata nell'esatto momento in cui fedeli e critici hanno potuto monitorare i lavori dopo un primo - già catastrofico - approccio della Gimenez.
    Questo ovviamente non giustifica il fatto che la stessa ed il parroco non abbiano in qualche modo fatto autocritica durante l'operazione, ma terrei in considerazione fattori come la buona fede di un parroco che si è visto ricevere una candidatura volontaria e gratuita per un restauro da parte di una pittrice, nonché la convinzione di un'artista che in tutta la vita non ha fatto altro.
    Il risultato di tali avventate decisioni è presto detto: la tua riflessione ultima dimostra la conseguenza di tale scempio.
    Il punto è che come ho ragionato nella svirgolettata, la giusta risposta non è da individuarsi in una delle due opzioni, ma nella scelta più ovvia da fare: affidare i lavori a chi di competenza, attraverso le istituzioni adibite a farlo, come Sovrintendenze, ministeri e amministrazioni comunali, provinciali e regionali.
    Nel caso specifico, ormai è inutile piangere sul latte versato. La mia speranza è che il restauro non presenti danni irreversibili e sia rimovibile, per dare spazio ad un ritocco ad arte.
    Così facendo avremmo non solo un ottimo affresco restaurato, ma anche un nuovo punto di riferimento per lo studio della storia dell'arte ottocentesca spagnola.

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