sabato 26 aprile 2014

Otto Dix e l'orrore della guerra.

O. Dix, Autoritratto con garofano, 1912,
olio su tela, Institute of Arts, Detroit
Uno degli artisti che ricompare spesso nei discorsi con cui mi intrattengo con amici ed altri colleghi storici dell’arte, è il tedesco Otto Dix, tra i miei pittori preferiti perché, come lo definisco io, è stato uno storiografo artistico del suo tempo. Dico questo perché nessuno più di lui ha saputo raccontare la società e nel complesso, la storia del dopoguerra, in maniera nuda e cruda per quello che era, cosa che gli valse in qualche modo, purtroppo, il ritiro dalle scene.

Otto Dix, classe 1891, nato a Gera, in Turingia, fu un artista tedesco formatosi presso la Scuola d’Arte Decorativa di Dresda a partire dal 1910, sino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, dove lui, interventista convinto, partecipò attivamente sui Fronti Occidentale e Orientale. Una presa di posizione politica che mutò a guerra ultimata, quando scosso e traumatizzato dopo quanto vissuto, si professò non solo pacifista, ma addirittura dedicò la sua maturità artistica al racconto della guerra e della vita quotidiana postbellica: una mutazione quella raccontata, non così strana da riscontrare nella letteratura e nell’arte del post I Guerra Mondiale; basti pensare, uno fra tutti al poeta italiano Giuseppe Ungaretti, che interventista prima della Grande Guerra, cambiò la sua visione politica dopo aver vissuto la trincea sul fronte austroungarico, denunciando nelle sue poesie l’orrore della guerra.

O. Dix, Via Praga, 1920, olio su tela, Galerie der Stadt, Stoccarda
Lo stesso orrore fu denunciato quindi da Otto Dix a fine guerra, secondo una visione artistico stilistica molto vicina a quella dell’espressionismo fauvista che era di Matisse, de Vlaminck, Kirchner o Munch, ma meno intriso di soggettività emotiva e più intenso di denuncia sociale sotto uno sguardo più oggettivo possibile: un oggettivismo così glaciale però, che non poteva esulare dal toccare alcune corde di forte espressività; un nuovo espressionismo, di stampo tedesco, definito Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività) dal tema della mostra tenutasi a Mannheim, nel 1925.

E la posizione di Otto Dix a riguardo fu piuttosto dura, considerando l’incisività delle sue opere artistiche: dipinti e acqueforti che si dipartivano in un bivio argomentativo: se da un lato, infatti, forte impatto ebbero i dipinti denuncianti gli orrori della guerra, dall’altro non di meno lo erano quelli denuncianti la società tedesca, lasciata alla deriva di sé stessa dopo l’acclamazione della nuova Repubblica di Weimar.

Un società tedesca divisa tra chi aveva vissuto passivamente la guerra, rimanendo ferma nei suoi prestigi nobiliari e nelle sue ricchezze economiche, e chi l’aveva vissuta attivamente, rimanendo tristemente reciso fisicamente e nell’animo dall’evento: i reduci di guerra, mutilati e ormai impossibilitati a qualunque lavoro, un tempo eroi della patria, adesso feccia della società, rifiuto umano difficile da smaltire.

O. Dix, Il venditore di fiammiferi, 1921, 
olio su tela, Galerie der Stadt, Stoccarda.
Ne sono esempio tre dipinti del biennio 1920 – 1921, che raccontano per l’appunto la triste figura del mutilato di guerra. In Via Praga, olio su tela del 1920, sita alla Galerie der Stadt, nel Kunstmuseum di Stoccarda, la figura centrale del mutilato di guerra, monco di entrambe le gambe e del braccio sinistro, sostituite da rozzi e improbabili protesi lignee, è attorniata da gente che fugge via inorridita, come la donna in gonna rosa, o da fanciulli dall’aspetto così orrendo che neanche Bosch nel Cristo Portacroce avrebbe osato tanto; un reduce ormai impossibilitato a qualunque altra azione che non fosse l’elemosina: un gesto disperato, evidenziabile nello sguardo ormai spento dell’uomo che chiede pietà.


O. Dix, Invalidi di guerra giocano a carte, 1920, 
olio su tela, Neue Nationalgalerie, Berlino.
La stessa consapevolezza che si riscontra ne’ Il venditore di fiammiferi, del 1921, conservato nella stessa galleria, seduto sui marciapiedi di Dresda (il pittore in quegli anni aderì alla Secessione di Dresda con Grosz e Schlichter, fondata nella stessa città, in cui rimase sino al 1922), allontanato ed abilmente schivato dalle persone probabilmente inorridite dalla visione di una realtà tanto sconvolgente e macabra, e disdegnato persino dal cane, che si serve di lui per i suoi bisogni.  E ancora ne’ Invalidi di guerra che giocano a carte, alla Neue Nationalgalerie di Berlino, è interessante notare lo storpiamento fisico al limite dell’inverosimile, relegato alle tre figure sedute al tavolo: nel pieno dell’impeto angosciante che può pervadere lo spettatore, le tre figure giocano divertite a carte, nonostante la privazione di gambe, braccia occhi, mascelle, fantasiosamente sostituite da protesi in legno o ferro, manco fossero cyborg.

O. Dix, Il ritratto di Sylvia Von Harden, 
1926, olio e tempera su tavola, 
Centre George Pompidou, Parigi.
Trasferitosi prima a Dusseldolf sino al 1925, poi dopo un breve soggiorno di due anni a Mannheim e a Berlino, stabilmente a Dresda dal 1927, dato che gli fu affidata una cattedra all’Accademia, Dix non cessò di raffigurare la sua visione del mondo attuale tedesco, concedendo i suoi sforzi verso la borghesia della città: una classe politica ormai nuova, all’avanguardia, come dimostra esserne degna rappresentante la giornalista Sylvia Von Harden, raffigurata dal pittore nel 1926, quale icona di un nuovo arrivismo professionale, esulante da qualunque attaccamento alla bellezza o al vezzo: la Sylvia Von Harden di Otto Dix è una donna affermata, dal pratico monocolo e dal moderno taglio corto di capelli; una donna che fuma e che non disdegna i piaceri della vita, dal cocktail alla sigaretta.

E due anni dopo è la volta del Trittico della Metropoli, un componimento artistico di tre tele, volto a raccontare i fasti ed il degrado della Dresda degli ultimi anni ’20, nella quale convivono i residui dell’orrore della guerra, ed il risentimento di rivalsa e di voglia di concedersi all’irrefrenabile.

Il trittico, una composizione che rimanda alla religiosità delle pale d’altare, probabilmente era stato inteso dal Dix quale suo contrapposto, visto i temi trattati: anche qui infatti, nonostante i colori caldi e l’addolcimento delle figure, il rimando ad una società ormai alla deriva è lampante; le donne si concedono facilmente e i reduci di guerra affollano le strade, pericolose e piene di insidie.

O. Dix, Il trittico della metropoli, 1928, olio su tela, Galerie der Stadt, Stoccarda. 

O. Dix, Suicidio in trincea, 1924, 
acquaforte, Coll.Van de Velde, Anversa.
Oltre che alla società a lui attuale, il ricordo traumatico di Dix si rivelò in alcune sue opere ben mirate, volte a denunciare i ricordi della guerra vissuta dall’artista: di forte impatto è la serie di acqueforti del 1924, conservate nella Collezione Ronny e Jessy Van de Velde ad Anversa; una serie che racconta in una visione macabra e aberrante, quanto accaduto su entrambi i fronti da lui combattuti.

Di forte impatto è Il suicidio in trincea, che raffigura un soldato ormai scheletrico (lo scheletro è il simbolo del male e della morte), morto in seguito alla sua decisione di togliersi la vita, evidentemente shockato da quanto vissuto in prima persona: il fucile impugnato contro di sé, giace ancora lì, con l’imboccatura inserita nell’apparato boccale del milite.

O. Dix, Il bombardamento di Lens, 1924, 
acquaforte, Collezione Van de Velde, Anversa.
Ma altrettanto significative sono le acqueforti che raccontano l’orrore della guerra nei centri urbani, come La guerra durante un attacco di gas ed Il bombardamento di Lens: nel primo disegno, l’effetto di terrore è dato dalla distorsione fisica provocata dalle maschere antigas indossate dai soldati; nel secondo, è dato dallo sguardo atterrito degli abitanti della città francese, che tentano di sfuggire alla distruzione causata dalle bombe scagliate dall’aeroplano. Un terrore che si esplica a pieno nel Trittico sulla guerra del 1929 – 1932; un’apoteosi di morte, sofferenza, strazio e angoscia, tramutati in mucchi di corpi morti, sangue, carne e ossa, come si evince dalla pala centrale; un rimando all’azione bellica cruenta e abominevole, come si evince dalle pale laterali; un inno alla morte, come si deduce dalla predella della pala centrale.

O. Dix, La guerra durante un attacco di gas, 1924,
acquaforte, Collezione Van de Velde, Anversa
O. Dix, Il trittico della Guerra, 1929 – 1932, olio su tela,
 Gemaldegalerie Neue Meister, Dresda. 

Orridi sentimenti, quelli raccontati da Dix, che nientemeno erano stati vissuti da molti tedeschi; gli stessi che avrebbero volentieri evitato di ricordare lo scempio a cui avevano assistito. Motivo per cui non di rado le opere a sfondo di denuncia bellica di Dix furono rifiutate dalla critica e fortemente ostracizzate: caso emblematico fu quello di un dipinto La trincea, comprato da uno dei musei di Colonia nel 1923 e poi restituito perché fonte di aspre critiche da parte dei fruitori.
Lo stesso dipinto andò perduto durante la Seconda Guerra Mondiale, probabilmente arso dai Nazisti che vedevano in Otto Dix un artista degenerato: ipotesi probabile data la definizione concessa al dipinto durante una mostra sull’arte degerata del 1937, per cui fu presentato come “Sabotaggio alla difesa”.

O. Dix, I sette peccati capitali, 1933, 
olio su tela, Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe.
Infatti, lo stesso era stato catalogato come esponente dell’arte degenerata già nel 1933, ed invitato quindi non solo ad abbandonare il suo posto di docente dell’Accademia, ma anche a rinunciare alla sua poetica artistica di denuncia, lasciando che si potesse dedicare a soggetti paesaggistici.
Una poetica che lascia il suo ricordo nella tela dello stesso anno della sua etichetta, I sette peccati capitali; un dipinto denso di allegoria e simbolismo, il cui fine fu quello di denunciare per un’ultima volta la società ormai allo sbaraglio del suo tempo: in primo piano, una strega ravvisabile nell’avarizia, stringe a sé delle banconote; dietro di lei l’accidia, dalle sembianze di uno scheletro privo di cuore e di occhi, sembra costretto a vivere passivamente per l’eternità; a seguire la lussuria, una donna ridicola nella ricerca del piacere, che si tocca il seno, cerca di attrarre con la sua lingua, che forma una vagina gigante, aprendo le ginocchia.

Dietro la lussuria, si fa viva la gola, attraverso la goffaggine di un uomo che ha incastrato per il troppo desiderio di cibo, la sua testa nel pentolone, tanto da divenirne un tutt’uno; ancora, accanto, la superbia, gonfia e tronfia in modo spropositato, così attenta alla pienezza di sé, che ormai dalla sua bocca escono solo escrementi; a destra della superbia quindi, l’ira, le cui fattezze sono quelle di una bestia maledetta, che sbraita e tiene in mano coltelli pronta a scattare.

E infine l’invidioso, in groppa all’avarizia e attorniato da tutti gli altri vizi capitali; un ometto piccolo e raggrinzito su se stesso, che scruta, guarda e pare odiare il mondo che lo circonda, perché lui non è alla stessa altezza: un chiaro riferimento al Fuhrer, uomo che ha desiderato fortemente il potere per poter avere la sua rivincita su quel mondo che lo aveva deriso e denigrato. Come si capisce dai baffetti, che consegnano ad Hitler definitivamente l’identità dell’invidia; baffetti dipinti solo nel 1945 a regime nazista sparito, quasi come se quell’ultima pennellata potesse essere la firma di un romanzo di guerra durato vent’anni, in cui Dix aveva fortemente creduto. 

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10 commenti:

  1. Molto bello, una lezione d'Arte in poche righe. Non conoscevo Dix, grazie di avermi illuminato!

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    1. Grazie mille a voi per il complimento. Devo ammettere che anche se lo conosco da diversi anni, Otto Dix è sempre sorprendente!

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  2. Fantastico... semplice e completo!

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  3. Grazie mille per l'articolo. Mi ha aperto un mondo su Dix in poche semplici righe e mi ha sicuramente aiutato a scegliere su chi fare la mia tesina!

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  4. il tuo articolo è semplicemente perfetto. hai spiegato in poche righe la vera essenza di Otto Dix, di come vede la guerra e di come la vuole rappresentare. superbo. non è facile spiegare Otto Dix , e tu ci sei riuscito perfettamente

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  5. semplicemente meraviglioso questo articolo, appassiona e fa comprendere... Da 10 e lode

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  6. quadri di una potenza incredibile,,,,l' orrore vissuto da quest' uomo si riflette totalmente nelle sue opere,,,un artista viscerale,,,

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  7. Pochi giorni fa RAI STORIA ha trasmesso un' interessante servizio dal titolo "Pittori della Grande Guerra" ed ha dedicato gran parte della trasmissione a Otto Dix e alle sue opere. Speriamo lo ritrasmettano.

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