La legge N° 364, del lontano 1909, tra i suoi aspetti innovativi in
materia di arte, curava in modo meticoloso la tutela e la conservazione del
bene culturale, - allora connotato come oggetto d’arte - in una fase di
catalogazione delle “cose di interesse storico,
archeologico, paletnologico e artistico”.
Questa
particolare attenzione alla tutela, che nasceva in un clima di forte
considerazione della storia dell’arte quale valore unificante di una terra
ancora disomogenea per storia e cultura, portava i Sovraintendenti delle varie
province a segnalare con fortuita preoccupazione le disdicevoli condizioni in
cui si presentavano le diverse opere d’arte ispezionate durate i sopralluoghi a cui erano tenuti per completare la catalogazione di stampo nazionale.
Se solo
ragionassimo sul fatto che gli Ispettori ed i Sovrintendenti, per la carica che ricoprivano, non ricevevano
contributi sproporzionati a quelli del lavoratore medio dei primi decenni del
Novecento, è ancor più encomiabile e degna di
stima la passione vera e sincera che li spingeva a segnalare, puntualmente, beni che necessitavano di essere restaurati, conservati o tutelati.
A tal proposito, un documento
della Sovrintendenza delle province di Parma, Piacenza, Reggio e Modena,
riporta tra le righe il risentimento del Sovrintendente nel constatare che:
“Il Parroco della Chiesa di San Francesco a Piacenza, usa come sedile nell’orto
un raro capitello romanico in marmo bianco, imposto naturalmente a tutte le
inclemenze del clima emiliano. In chiesa non c’è luogo da collocarlo. Posso
farlo depositare in museo a Piacenza?”
Documento firmato da Laudadeo Testi, con la richiesta di salvaguardare un capitello romanico, dall'incuria di un Parroco, 1916, ACS, Roma. |
Come è ben
deducibile dal documento, la lungimiranza di salvaguardare un bene artistico
dall’aggressione atmosferica, spingeva all’attivismo il suddetto dirigente,
conscio dell’importanza storica artistica dell’oggetto in questione, in
relazione al territorio in cui era sito. Di qui, la richiesta di spostarlo, si,
ma non in un luogo qualunque. In un museo della stessa città.
Rapportando
questa visione dei fatti al mio paese di origine, Canosa di Puglia, (un paese del nord barese, bagnato dal fiume Ofanto), anche se ad un secolo di distanza da quel lontano 1909 in cui
le cose parevano dirigersi verso strade di speranza e consapevolezza, non posso
non considerare come forse la sua amministrazione nel corso di questi cent’anni, abbia peccato dell’assenza di figure consce e acculturate ‘si tanto da capire
la valenza di determinati beni culturali quali le epigrafi, le are ed i capitelli di
origine romana siti nella Villa Comunale.
Proprio nel
luogo di passeggio e svago del paese infatti, sono posizionate nel terriccio
umidiccio ed erboso, epigrafi latine e capitelli di diversi ordini, che si
deteriorano giorno dopo giorno alla pioggia ed al vento invernale, al sole
cocente ed all’umidità estiva.
Servisse
questo abominevole sacrificio ad inculcare nel canosino medio un sentimento di
appartenenza ad un territorio strabordante di arte e cultura, il danno sarebbe
anche giustificabile, ma la presa consapevolezza che i capitelli servano come “contenitore”
della spazzatura (buste di patatine, mozziconi di sigaretta, gomme da masticare)
e le epigrafi come supporto a qualche “Rosa ti amo” scritto con la bomboletta
spray, lasciano poco sperare ad un disciplinamento artistico della popolazione
cittadina.
Allora mi
chiedo. L’amministrazione comunale attuale che fa? Continua a guardare lo scempio dei prodotti
delle nostre maestanze artistiche plurisecolari, così come hanno fatto quelle che si sono susseguite in passato?
Dopo le
erbacce che ricoprono l’Arco di Traiano ed i materassi e le lavatrici gettate
nel caldarium delle Terme Lomuscio, (come ebbi modo di vedere durante una
ricognizione di qualche anno fa per alcuni studi di restauro architettonico), ormai non
credo mi sorprenda più niente.
Forse in realtà, a pensarci bene, qualcosa mi sorprenderebbe e mi darebbe ancora speranza per il futuro delle nuove
generazioni: ossia che, magari, anche un solo bambino per quanto preso dalla frenesia
di scivoli e altalene, riesca a fermarsi un secondo davanti ad uno di quei cartelli arrugginiti al fianco delle opere esibite nella Villa, e provi a leggerne il contenuto, che spiega secoli
d’oro di storia dell’arte, a quanto pare oggi dimenticati e rinnegati.
Reperti archeologici romani nella Villa Comunale di Canosa di Puglia |
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