domenica 17 marzo 2013

Midnight in Paris. Una recensione atipica


Raramente mi do alle critiche cinematografiche, non essendo particolarmente cinefilo; tenterò di apportarne una qui, spero la prima di tante altre, delineando un profilo il più possibile completo del film Midnight in Paris, strettamente correlato a quella che è la mia ragione di vita, ossia l’arte, ed in generale alle tematiche trattate nel mio blog.

Locandina di Midnight in Paris
Nel complesso il giudizio a riguardo del film, è decisamente positivo: la pellicola che nel 2012 si è guadagnata ben 4 nomination ai premi Oscar, tra cui miglior film e miglior regia, vincendo il premio per la migliore sceneggiatura originale, risente sin dalle prime inquadrature di un genio del calibro di Woody Allen. Un attento studio ai luoghi conosciuti e meno di Parigi, le viuzze e la Tour Eiffel, i bistrot e l’Arco di Trionfo, connota il talento di un regista, quale l’Allen, che pur essendo di classico stampo americano, si trasforma in francese.
E questa propensione è ben visibile non solo nell’attenzione apportata alle inquadrature, ma durante lo svolgimento del film, anche a quella apportata alle musiche, che riconducono all’atmosfera parigina, ai costumi ed ogni sorta di minimo particolare presente. Soprattutto nella ricostruzione perfettamente fedele degli Anni ruggenti parigini vissuti dagli scrittori francesi nel primo dopoguerra, che ben si fondevano con una nuova visione espressionista ed empirica dell’arte e con una nuova rivitalizzazione della società. 

La trama è alquanto insolita e particolare: Gil, uno scrittore americano di sceneggiature Hollywoodiane, che risente particolarmente della nostalgia verso un periodo storico mai vissuto quale gli anni Venti a Parigi, cimentato nella stesura di un nuovo romanzo che tratta di un venditore di antiquariato e che vive una storia d’amore con Inez, che forse d’amore non è, per cinque notti di seguito si ritrova a vivere gli anni sempre sognati, a braccetto di grandi personalità della letteratura e dell’arte di quegli anni. Attraverso la conoscenza dei coniugi Fitzgerald, di Hemingway e di Gertrude Stain, capirà che quello che vuole non è sposare Inez, ma vivere felicemente a Parigi, dove poter allenare il suo estro artistico.

Panorama di Parigi, città in cui è ambientato il film

 Nelle cinque notti vissute da Gil, diverse personalità che hanno caratterizzato la Parigi degli anni Venti rapportano a lui.
La prima è Zelda Fitzgerald, biondina tutto pepe quale effettivamente era, volubile, lunatica, vogliosa di divertirsi e sempre alla costante ricerca dell’interesse che avrebbe caratterizzato la sua persona. La somiglianza tra l’attrice Alison Pill e la Fitgerald ventenne c’è tutta, una somiglianza non solo fisica, ma decisamente caratteriale.
Woody Allen non lascia niente al caso, studia la figura della Fitzgerald in modo meticoloso; guarda alla competitività con il consorte Francis Scott, guarda al poco polso della donna forse ancora adolescente nel definire la sua collocazione artistica in bilico tra danza, arte e scrittura, guarda alla psiche nel tentato suicidio nella Senna (sarà vero?) preludio senza dubbio dei suoi ultimi anni in una casa di cura, dove morirà affetta da schizofrenia, in un incendio divampato nel 1948. 
Ed allo stesso modo analizza Francis Scott, innamorato della sua Zelda, tanto da concederle tutto. 
Forse nella delineazione del carattere di Mr. Fitzgerald, Allen attribuisce a questo un freno di derivazione sentimentale, che probabilmente il vero Fitzgerald ribelle, libertino e scandaloso non aveva. Ma si sa, l’amore induce al dubbio e allora ci stava tutto che nell’intimità col suo amico Hemingway, il Fitzgerald potesse essere reticente a mollare Zelda ad un altro uomo. In fondo della coppia era lui quello più responsabile.

Zelda e Francis Scott Fitzgerald interpretati da Alison Pill e Tom Hiddleston 

Senza dubbio, Ernest Hemingway invece, viene descritto come quello che è oggi, ma non come quello che era ieri. Ricordiamo che il suo primo romanzo pubblicato è del 1923, e che nel 1920 (ancora non conosceva Gertrude Stein, ma vabbé, concediamo ad Allen questa piccola inesattezza per esigenza di scenografia) lui era solo un ex commilitone ribelle che aveva vissuto gli orrori della guerra ed era in perenne viaggio alla ricerca di se stesso. Prometteva bene senza dubbio, ma non era così acclamato come si suol credere nel film. Va bene l’eclettismo e la verve dimostrata dall’attore, ma il rischio che il personaggio rappresentato diventi una mera macchietta è decisamente alto!

Il protagonista Gil con Ernest Emingway e Gertrude Stein, interpretati da Owen Wilson, Corey Stoll e Kathy Bates

Il crocevia di ogni evento, resta il Salone di Gertrude Stein, personaggio poco conosciuto eppure fondamentale per la fortuna critica di Picasso, Matisse, Hemingway ed artisti e scrittori degli anni ruggenti.
Che Katy Bathes fosse un premio Oscar è cosa indiscutibile, soprattutto dopo la riconferma di come ha impersonato una figura poliedrica, attenta alle innovazioni e moderna come quella di Gertrude Stein. Nel film traspare l’aspetto materno di una donna che accoglieva le giovani promesse mondiali; che non accoglieva però solo la loro arte ed il loro genio ma anche i loro problemi, le loro insicurezze. E col suo fare quieto e fermo allo stesso tempo, sapeva regalare quel consiglio necessario ad infondere l’eccellenza nei suoi amici artisti.

Gertrude Stein (Kathy Bates) nel suo studio di Parigi

Nel complesso la storia è trita e ritrita.
Originale per alcuni aspetti, sposando modernità e tempi d’oro dell’arte; meno in altri, tipo nella delineazione di un personaggio standard quale la modella Adriana, compagna che fu di Braque, Modigliani, Picasso, poi Hemingway ed infine Gil, la trama riesce a coinvolgere lo spettatore senza mai annoiarlo, facendo presa sia sui caratteri più sentimentalisti, sia su quelli che preferiscono un racconto fedelmente storico.

Gil e la modella Adriana (Marion Cotillard) in una scena del film

Un racconto che fedelmente storico non è, perché salta dagli anni venti agli anni trenta, presentando personalità che non potevano esistere insieme: Dalì nel 1920 ha sedici anni, quello che si presenta agli occhi di Gil è un Dalì maturo, un Dalì 30enne che conosce Man Ray, un Dalì maturo a tal punto che può giocarsi la carta del Surrealismo.
E per chi volesse credere che Gil viaggi di sera in sera per un decennio, che se ne riguardi perché Adriana rimane la stessa, Hemingway rimane lo stesso, Gertrude Stein rimane la stessa.

Man Ray e Salvador Dalì interpretati da Tom Cordier e Adrien Brody 
 Concludo la mia recensione quindi, affermando che encomiabile è l’idea di insegnare un po’ di storia dell’arte e di letteratura ai profani in materia, che il film è originale, carino ed emozionante da coinvolgere l’intero pubblico in modo tale che non possa aver alcun tipo di dubbio a riguardo.
Cosa che però non può dirsi per un buon storico dell’arte. 

4 commenti:

  1. Posso aggiungere "Grazie a Dio Gil non sposa Inez"??? , no perchè alcuni personaggi saranno (per me sono) sicuramente delle macchiette, ma lei è venuta perfetta in quanto rompi coglioni! ;-) Bravo Dario!!

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  2. La moglie che nessuno mai vorrebbe!

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  3. Se ti firmassi, potrei rispondere :)

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