sabato 27 dicembre 2014

Gli dei delle civiltà classiche nella storia dell'arte: ATENA / MINERVA

La nascita di Atena dalla testa di Zeus, Kylix attico
 a figure nere, 550 a.C., British Museum, Londra
Tra tutti gli dei presenti sull’Olimpo, Atena / Minerva è la dea che rappresenta più di tutti le virtù positive appartenenti all’uomo. Già l'oracolo sulla sua nascita, peraltro, preannunciava la sua fama e la sua autorevolezza, poiché questo previde che suo padre Zeus avrebbe generato prima una figlia, poi un figlio, che sarebbero divenuti più importanti di lui. Ragion per cui preso a paura, il dio del cielo divorò Metis, che aveva ingravidato, che però non morì ma divenne un tutt’uno col potente dio: a gestazione completa, Zeus preso da un forte e lacerante mal di testa, chiese ad Efesto di spaccargli la testa in due con un’ascia; da questa quindi uscì vittoriosa Atena, dea della guerra, ma anche della sapienza, delle arti e del commercio e dell'industria.

Atena Giustiniani, I sec. d.C.,
marmo, Musei Vaticani, Roma
Un kylix attico a figure nere del V secolo a.C. custodito al British, ben testimonia la validità del mito: sul bordo del vaso infatti è visibile l’aneddoto della nascita di Atena, per cui Efesto, sulla destra, con in mano un’ascia a doppia lama, assiste alla nascita della dea dalla candida pelle, già vestita di armi ed egida, che fuoriesce dalla testa di Zeus, seduto sul trono, riconoscibile per via della saetta impugnata nella mano sinistra.

Molto amata da tutti i greci, in particolar modo dagli ateniesi, la cui città per l’appunto prende il nome proprio dalla divinità, la dea Atena è da sempre stata rappresentata nelle statue greche che la raffiguravano, come una donna fiera e impostata, dallo sguardo austero e dignitoso; solitamente provvista dei suoi elementi d’appartenenza: l’egida di pelle di capra, l’elmo, la lancia e in talune occasioni una piccola Nike – la vittoria.

L’Atena Giustiniani presente ai Musei Vaticani a Roma, è proprio una copia romana del I secolo d.C., di una classica statua greca del V sec. a.C., probabilmente scolpita dall’artista attico Fidia, lo stesso resosi celebre nella scultura delle statue e  dei decori dell’Acropoli ateniese: avvolta in un folto peplo finemente spiegazzato, la dea tiene nella mano sinistra la lancia e porta con fierezza l’elmo da guerriera ornato ad arte. Sul petto l’egida di pelle caprina che la caratterizzava, con su incisa la maschera di Medusa. Ai piedi della statua un serpente ricorda il re Erittonio, suo figlio secondo la mitologia: questo aveva sembianze di un uomo serpente, e fortemente volle l’introduzione del culto della dea ad Atene.   

La stessa impostazione si riscontra per l’appunto nella Minerva del I sec. d.C. ritrovata sulla Via Appia a Roma ed attualmente custodita al Museo Nacional de Arte Decorativo di Buenos Aires, più rigida rispetto all’Atena Giustiniani, avendo i piedi molto ravvicinati in una posizione molto più statica, come rivela il panneggio che non si apre a nessun tipo di pieghe o non rivela movimenti.

A tal punto quindi si rivela un unicum, l’assemblaggio che ne è fuoriuscito nel corso del XVIII secolo, tra pezzi appartenenti ad una scultura marmorea di epoca adrianea raffigurante la dea Minerva, e pezzi appartenenti ad un’altra scultura in onice e agata dorata dello stesso periodo: la Minerva d’Orsay sita al Louvre infatti, è ciò che ne deriva della sovrapposizione tra la testa e gli arti marmorei di un’originaria dea Minerva dall’elegante e sobrio elmo da guerriera, e la veste colorata composta di blocchi di pietre semipreziose: nonostante l’accozzaglia degli elementi assemblati, la statua da vita ad un formidabile gioco di colori e di riflessi luminosi, accentuati dalla particolare levigatezza del peplo.

Minerva, I sec. D.C., marmo, Museo Nacional
de Arte decorativo, Buenos Aires
Minerva d’Orsay, I sec – XVIII sec.,
 onice, agata, marmo,
Musèe du Louvre, Parigi
Tetradracma ateniese con civetta di Atena, V sec. a.C.
Piccolo e sfizioso particolare è dato infine dalla civetta tenuta sul palmo della mano sinistra piuttosto che la Nike; l’animale tanto caro alla dea, è il simbolo della sua saggezza in terra, impersonando zoomorfologicamente la filosofia, poichè l’attaccamento dei grandi occhioni al becco, ricorda la lettera greca φ con cui appunto inizia la parola. Tra le civette legate alla dea, configura quella coniata sul tetradracma ateniese del V secolo a.C., attualmente riprodotto anche sulla moneta greca da un euro.

Negli anni dell’Umanesimo e del Rinascimento, dopo un millennio di intriso di forte religiosità cristiana, in cui l’iconografia profana era stata quasi del tutto accantonata, la raffigurazione degli dei dell’Olimpo torna in auge. Sandro Botticelli è uno dei primi artisti che, nel pieno del clima filologico della Firenze medicea, dedica le sue tele agli dei delle civiltà classiche. Anche Minerva toccò le attenzioni dell’artista, che la dipinse in una tela del 1483, raffigurandola come Pallade, uno dei tanti aggettivi appartenenti alla figura della dea.

S. Botticelli, Pallade che doma il centauro, 1482,
 tempera su tela, Galleria degli Uffizi, Firenze
Nel dipinto degli Uffizi, la dea è raffigurata come una donna piacente e delicata avvolta in ramoscelli di ulivo; una figura angelicata dalla pelle candida, i capelli lunghi e fluenti, e le vesti leggiadre e svolazzanti secondo un taglio tipico rinascimentale.
Ferma in uno sguardo di dolcezza e serenità, tiene un centauro per una ciocca di capelli in maniera altamente delicata, che dimostra sottomissione alla dea non facendo alcun minimo sforzo per districarsi da quella imposizione allegorica, laddove Pallade raffigurerebbe simbolicamente la razionalità e la saggezza, che predominano sull’istinto e sulla bestialità, rappresentate dal centauro.

Anche il Veronese più di mezzo secolo più tardi, nell’affresco di Palazzo Balbi a Venezia, rappresenterà la dea nel pieno delle sue virtù umanistiche. Infatti nell’affresco un tempo appartenente al Palazzo de Soranzi di Castelfranco Veneto, staccato in seguito all’abbattimento dell’edificio agli inizi del XIX secolo, viene rappresentata la dea della saggezza e della ragione, accompagnata dalle personificazioni  della Geometria e dell’Aritmetica, che a lei si aggrappa. Interessante è notare come l’armatura e le armi appartenenti alla dea rispecchino il gusto del tempo, in quanto alla lancia si sostituisce la spada ed all’elmo greco si sostituisce un copricapo da parata.

P. Veronese, Minerva fra la Geometria e l’Aritmetica, 1551, affresco, Palazzo Balbi, Venezia

A. Van der  Tempel, Minerva incorona la ragazza di Leiden, 
1650, olio su tela, Stedelijk Museum de Lakenhal, Leiden
Esattamente un secolo dopo, Abraham Van den Tempel riprese la figura della dea, per insignirla di un messaggio politico sociale. Essendo questa la protettrice delle arti, dell’industria e del commercio infatti, il pittore la raffigurò come protagonista dell’Incoronazione di una ragazza di Leiden, al cospetto della personificazione della città, che alle spalle delle due donne, tiene in mano lo stendardo, come commissionatogli dai governatori della Lakenhal, che volevano per il loro palazzo pubblico, esempi visivi del buon governo da loro attuato.

S. Vouet, Ritratto di Anna d’Austria come Minerva, 1645,
 olio su tela, Ermitage Museum, San Pietroburgo
Un esempio encomiabile e lodevole, quello legato alla dea greco-romana, vergine per scelta, dedita alle arti e servizievole verso la sua famiglia, che in più di un’occasione è stato preso in considerazione da nobildonne e madame come figura a cui ambire. Simone Vouet nel 1645 ritrae per esempio Anna d’Austria come Minerva, dove la regina francese, che foggia un abito legato da una cintola la cui fibbia riproduce la maschera della Medusa, è collocata in un’ambientazione classica composta da are, colonne ed edifici fregiati. Ai suoi piedi quindi, la civetta di Atena e l’elmo da guerriera; su di lei invece amorini giocano e allestiscono festoni vegetali.

Ma Minerva non è solo una dea dedita alla guerra, al commercio, all’industria ed alle arti; è anche una donna consapevole della sua bellezza; la stessa infatti ambì ad essere considerata la più bella dell’Olimpo quando si disputò il titolo con Venere e Giunone. Goltzius e Lavinia Fontana nei loro dipinti mettono in evidenza soprattutto questo lato della dea; un lato più narcisista e vezzoso, che la vede protagonista di siparietti di nudità integrale.

Ma se Goltzius nella sua tavola dell’Franz Hals Museum lascia nello sguardo della dea una rimanenza di quella fierezza tipica del suo essere, appoggiata peraltro dall’elmo in testa, dalla lancia tenuta in mano e dal braccio sinistro poggiato sullo scudo, Lavinia Fontana abbandona la dea alla sua seducente femminilità, mentre viene ritratta intenta a scegliere un abito da indossare; sul pavimento, riposti, trovano luogo lo scudo, l’elmetto e l’armatura.  

H. Goltzius, Minerva, 1611, olio su
tavola, Franz Hals Museum, Harleem
L. Fontana, Minerva in atto di abbigliarsi, 1613,
olio su tela, Galleria Borghese, Roma

Anche Rubens ritrae Minerva negli stessi atteggiamenti seducenti e vezzosi della Fontana, in una tela in cui questi atteggiamenti avevano una finalità specifica: farsi scegliere da Paride quale la dea più bella dell’Olimpo. Il mito racconta infatti che al matrimonio di Teti e Peleo, Eris la dea della discordia che non fu invitata, lanciò ai piedi di Minerva, Giunone e Venere, un pomo d’oro con su scritto “Alla più bella”.

P. Rubens, Il giudizio di Paride, 1632, 
olio su tavola, National Gallery, Londra
Per non fare litigare quindi le tre dee, Giove decise che a scegliere fosse il più bello degli uomini, per l’appunto Paride. Il ragazzo però, dopo aver ascoltato i doni offertigli dalle dee – Giunone gli offrì poteri e ricchezze illimitate; Minerva l’imbattibilità e il potere; Venere l’amore della donna più bella della Terra – scelse l’ultima, dando il via alla Guerra di Troia ed inimicandosi le altre due.

La tela di Rubens ritrae quindi la scena in cui Paride accompagnato da Mercurio, tra le tre donne sceglie Venere, ritratta accompagnata dal piccolo Amore; mentre Giunone con il pavone e Minerva denudata della sua armatura e del suo scudo con la maschera di Medusa,rimangono lì ad assistere.
Un dipinto dai connotati mitologici, esempio di una tematica ripresa da diversi artisti nel racconto delle imprese della dea.

J. Jordaens, Cadmo e Minerva, 1636, olio su tela, Museo del Prado, Madrid
Il pittore Jordaens per esempio, nella sua opera pittorica del 1636 custodita al Prado, racconta l’episodio in cui Cadmo viene assistito dalla dea Minerva durante la battaglia civile degli sparti. Infatti il mito racconta che Cadmo fratello di Europa, nonostante avesse lo scopo di cercare sua sorella rapita, dedicò le sue energie a fondare la città di Tebe come preannunziatogli da un oracolo, laddove la vacca che avrebbe dovuto inseguire si fosse fermata.

Una volta accaduto ciò, egli decise di sacrificare l’animale ad Atena, ma mentre era intento sul da farsi, i suoi uomini furono uccisi da un dragone che faceva da custode alla sorgente alla quale si erano avvicinati per abbeverarsi. Sicché una volta che Cadmo ebbe ucciso la bestia per vendicare i suoi uomini, la dea per riconoscenza del sacrificio fatto in suo onore, gli consigliò di seppellire i denti del dragone perché da lì sarebbe nato il suo nuovo esercito: una volta nati gli sparti, questi, estremamente bellicosi, si fronteggiarono tra loro, sino a che non ne rimasero solo cinque. Questi assieme a Cadmo, fondarono la città di Tebe e diedero inizio alla sua stirpe.

La tela di Jordaens ritrae Minerva che indica a Cadmo gli sparti intenti a lottare tra loro, spiegandogli quanto sarebbe poi accaduto. Dietro i due protagonisti si snoda il dragone che sembra avere le sembianze di un cane dal corpo serpentinato, mentre il territorio arcadico e le vesti, rimandano la scena alla Grecia classica, scena tradita però dalle armature e dalle spade moderne.

J. M. Nattier, Perseo e Fineo, 1718, Musèe du Beaux Arts, Tours
Jean Marc Nattier raccontò invece nella sua tela del Musèe du Beaux Arts di Tours, l’aneddoto riguardante Minerva che protegge Perseo da Fineo. Il mito narra che, Cefeo, re di Etiopia, avendo sposato la Nereide Cassiopea, ebbe da questa una figlia, Andromeda. Ma avendo Cassiopea asserito di essere la Nereide più bella, offese Poseidone che aveva sposato un’altra Nereide, che, per vendicare l’onta, inviò nel regno di Cefeo un dragone, che sarebbe andato via solo dopo aver ottenuto Andromeda in pasto.

Fu in quest’occasione che Perseo liberò Andromeda dalle grinfie del dragone, uccidendolo, e chiese in sposa Andromeda, dando il via alle nozze dopo il consenso di Cefeo. Ma il fratello del re, Fineo, interruppe il convivio nuziale pretendendo Andromeda quale sua sposa, secondo una vecchia promessa fattagli dal fratello. Per cui a Perseo non restò che uccidere Fineo ed i suoi uomini, mostrando loro la testa di Medusa e rendendoli di pietra, sotto lo sguardo austero di Minerva.  

L. Giordano, Minerva e Aracne, 1695, olio su tela,
Monasterio di San Lorenzo, El Escorial
Una Minerva magnanima e protettrice quella raccontata da Nattier, che non è quella arcigna e nefasta protagonista del mito di Aracne, secondo cui la ragazza, tessitrice mirabile e talentuosa, osò sfidare la dea delle arti tessili in un duello. Nonostante vinse la sfida tessendo gli amori degli dei in modo talmente impeccabile, che la stessa dea dovette tacitamente ammettere di essere stata sconfitta, si vide tramutare in un ragno, per l’affronto che aveva osato rivolgere alla dea. La tela di Luca Giordano del 1695 vede una Minerva volante, sprigionante un aura luminosa, gettare le proprie ire verso la sconvolta Aracne, dalle cui mani iniziano a sprigionarsi le ragnatele, triste monito di quanto sta per accadere.

Un tema che riscontrò fortuna, oltre a quello appena citato del mito di Aracne, che prima di Giordano era stato affrontato da altri artisti come il Veronese o Francesco del Cossa, fu quello del bivio di Ercole. Pompeo Batoni, nella sua tela  alla Galleria Sabauda di Torino, affronta il tema che vedeva Ercole indeciso all’idea di lasciarsi andare ai piaceri della vita piuttosto che perseverare nell’onorare le virtù.

Nell’olio su tela del 1751, Ercole è seduto, con sguardo perso, su un muretto che dà ad un albero di ulivo, accompagnato da due donne, che tentano di convincerlo a proseguire le strade da loro professate: a destra, una dolcissima Venere gli porge una rosa, sperando così che l’uomo si lasci andare a lei e quindi ai piaceri della vita; a sinistra, Minerva di spalle, indica al semidio il sentiero da seguire, un sentiero irto di virtù, riuscendo nella sua impresa di convincimento.

P. Batoni, Ercole al bivio, 1751, olio su tela, Galleria Sabauda, Torino

J. Stella, Minerva e le Muse, 1645,
olio su tela, Musèe du Louvre, Parigi
Oltre al racconto degli aneddoti mitologici legati alla dea, gli artisti nel corso dei secoli hanno raccontato nelle loro opere, anche il rapporto della dea con i componenti della sua famiglia, in particolar modo con Marte; un rapporto non sempre facile e idilliaco, anzi, soprattutto nei confronti del fratello, spesso di natura conflittuale.
Per cui, se artisti del calibro di Jacques Stella, raccontano di incontri eleganti ed armoniosi, come per l’appunto quello tra Minerva e le nove muse, dipinto nella sua tela del 1645, in cui la dea di tutte le arti interloquisce con le singole protettrici di ognuna di esse,  le tele di Rubens o di David trattano episodi connotati da una tensione particolare, avendo come protagonisti i due dei della guerra: Minerva e Marte.

La differenza tra le due divinità è data proprio dai loro comportamenti e dalla loro intemperanza: Minerva è sì dea della guerra, ma è per la pace, agisce con saggezza e cerca sempre le soluzioni più benevoli per il popolo; Marte invece onora il suo compito di dio della guerra, essendo irascibile, battagliero e vendicatore. Questa differenza comportamentale si evince perfettamente nell’opera di Rubens in cui Minerva allontana Marte dalla Pace: la dea lo fa in modo chiaro e deciso, senza disturbare minimamente la Pace, intenta a far felici animali, bambini, satiri e fanciulle, dimostrando una forza inaspettata che sorprende anche lo stesso Marte, nonché la Guerra, dietro di lui.

P. Rubens, Minerva allontana Marte dalla Pace, 1630, olio su tela, National Gallery, Londra

J. L. David, Lotta tra Marte e Minerva, 1771, Musèe du Louvre, Parigi
Anche David nel suo Combattimento tra Marte e Minerva illustra la vittoria della dea sul dio, illustrandola come un angelo profano dai candidi abiti, in contrapposizione al dio dagli abiti di rosso acceso, quasi a voler indicare nella prima la personificazione del bene, e nel secondo quello del male. La tela neoclassica, per quanto presenti ancora evidenti elementi rococò, è tutto uno svolazzamento di veli ed un tripudio di azioni, movimento e teatralità, in una composizione tipica del David dei primi anni d’attività.

E a seguire Joseph Blonder Merry nel 1822 dipinse la Disputa tra Minerva e Nettuno, aneddoto che racconta la nascita della città di Atene, ambita dai due dei. Secondo il mito infatti, entrambe le divinità chiesero a Zeus che fosse consacrata a loro una regione della Grecia, nello specifico l’Attica, per cui questo decise di far sfidare i due dei: chi dei due avesse donato alla regione il regalo più bello, avrebbe vinto la contesa.

Detto ciò, Nettuno con il suo tridente toccò la terra, facendo uscire da essa il cavallo, un animale che si sarebbe dimostrato fido aiutante dell’uomo; Minerva invece conficcò la sua lancia nel terreno, facendone scaturire un albero d’ulivo. Cercrope quindi, chiamato a giudicare il regalo più utile, consegnò la vittoria alla dea, dato che l’albero produceva un frutto dal quale si poteva ricavare un alimento necessario alla sopravvivenza dell’uomo.

J. B. Merry, Disputa tra Atena e Nettuno, 1822, Musèe du Louvre, Parigi

G. Klimt, Pallade Atena, 1898,
olio su tavola, Wien Museum, Vienna.
Ovviamente nella tela sono ben riconoscibili tutti i componenti presenti durante la disputa: Mercurio col suo bastone d’Esculapio, Apollo con la sua lira e la sua corona di raggi di sole, Giunone e Giove regina e re degli dei, Marte col suo scudo e la bellissima Venere. In primo piano invece prendono posto le due divinità coi loro doni per l’Attica: Nettuno in sella al suo cavallo e Atena con il suo alberello d’ulivo, che vincendo la sfida, si vide chiamare la sua capitale in suo onore.

A chiudere questo excursus artistico riguardante la dea Minerva, Klimt, con la sua tavola della Pallade Atena del 1898, sita al Wien Museum. La tela raffigura la dea della guerra, delle arti, del commercio, dell’industria e della saggezza nella sua austerità e nel suo splendore, brillando di luce propria con l’elmo il giavellotto e l’armatura dorati, sulla cui ultima è raffigurata la meravigliosa testa di Medusa. Lo sguardo è androgino, freddo e imponente, dignitoso come quello della dea, mentre tra le mani tiene la Nike, a simboleggiare la sua attitudine a dimostrarsi sempre una vincitrice.  

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2 commenti:

  1. Mi hai preceduto con questo excursus dedicato a quella che ritengo la divinità più significativa del Pantheon greco e ne è uscito un post davvero interessante e ricco, che, fra l'altro, mi ha fatto scoprire la bellissima Minerva d’Orsay!

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  2. Grazie Cristina, mi fa piacere leggere i tuoi complimenti; la stima è condivisa e non vedo l'ora di poter leggere il tuo excursus che sono sicuro sarà preciso e appassionante!

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