giovedì 1 gennaio 2015

Gli dei delle civiltà classiche nella storia dell'arte: ARES / MARTE

Se Atena / Minerva è la divinità che impersona più di tutti le virtù appartenenti all’uomo, sicuramente Ares / Marte  è quella che raccoglie sotto di sé la maggior parte delle qualità negative facenti parte del vivere quotidiano dell’essere umano. Dio maschile della guerra (quella femminile è per l’appunto Minerva), Marte infatti è da sempre contraddistinto nel suo modo di essere e di fare come un guerriero irascibile, presuntuoso, arrogante, attaccabrighe.

Ares Ludovisi (copia di un originale greco
di Lisippo o Scopa), 200 a.C., marmo,
Palazzo Altemps, Roma
Questo perché il più violento degli dei, è la divinità che personifica gli aspetti più brutali e devastanti della guerra; gli stessi uomini diffidavano di lui e dei suoi consigli, ben sapendo che nulla di buono potesse derivare dalla sua persona.
Sul piano artistico, per quanto il dio non fu molto venerato proprio per questi motivi, nelle occasioni in cui accadeva, questo veniva rappresentato come un uomo aitante, muscoloso e forzuto,  spesso – ma non necessariamente – provvisto di armatura, elmo, scudo ed armi.

Un esempio meraviglioso di scultura classica è l’Ares Ludovisi, statua marmorea custodita in Palazzo Altemps a Roma, copia romana del I sec. a.C., di un originale greco attribuibile agli scultori Scopa o Lisippo del 320 a.C.: lo storico Winkelmann la giudicò nel XVIII secolo la raffigurazione di Marte più bella dell’antichità e non a torto; concentrato in un atteggiamento pensoso, il Marte scoperto nel 1622 e restaurato dal Bernini – il quale apportò la piccola scultura dell’amorino sulla gamba sinistra – siede su una roccia, completamente nudo, in modo tale però da coprire le sue gambe tenendo il ginocchio sinistro piegato e sorretto dalle mani, e la gamba destra leggermente distesa. Il suo armamentario quindi, va a creare volumi in modo elegante su tutta la scultura: l’elmo fa da poggiapiedi al dio, la spada tenuta per le mani, taglia in due orizzontalmente la scultura, lo scudo tondo sul versante destro crea un gioco di forme molto armonico.

Molto più pomposo ed altisonante risulta invece il Marte in marmo del I sec. d.C., sito ai Musei Capitolini di Roma, ritrovato nel Foro di Nerva nel XVI secolo e facente parte della collezione dei Capitolini dal 1740: ritenuto sin alla gran parte del XVIII secolo come una raffigurazione di Pirro, re dell’Epiro, per via degli elefanti che scandivano le frange dell’abito, il Marte in questione appare fiero e magnifico nella sua armatura tipica romana, elegante e preciso nei ricci che compongono barba e capigliatura secondo lo stile tipico imperiale di epoca adrianea.

Modelli che nel corso dei secoli, ritrovano riscontri negli artisti soprattutto rinascimentali e neoclassici: nel primo caso si può prendere in esame il Marte che Jacopo Sansovino scolpì presso il Palazzo Ducale di Venezia nel 1566: una figura muscolosa ed anatomicamente proporzionata, nel quale la virilità del dio è ben visibile nella tensione muscolare scolpita negli arti della statua marmorea. Anche gli elementi iconografici appartenenti al dio sono ben chiari: lo scudo poggiato al polpaccio dell’uomo e l’elegante elmo da parata.

Marte, I sec. d.C., marmo,
Musei Capitolini, Roma
J. Sansovino, Marte, 1566,
marmo, Palazzo Ducale, Venezia

A. Canova, Napoleone come 
Marte pacificatore, 1802 – 1806, 
marmo, Apsley House, Londra
Nel secondo caso, l’esempio più significativo è dato dal Napoleone come Marte Pacificatore, scultura di Antonio Canova del 1802 – 1806, sito attualmente presso l’Apsley House a Londra.
In questo caso la riconduzione al dio è più simbolica che iconografica, volendo lo scultore raffigurare l’imperatore francese nel suo ruolo di conduttore di pace: una scultura non riuscita su due lati; se da un verso infatti, come anzidetto, è contrastante consegnare alla figura di Marte il ruolo di pacificatore, per cui automaticamente l’associazione viene a rendersi poco credibile, dall’altro fu lo stesso Napoleone a non gradire la statua, che lo ritraeva nudo e con un fisico che non rispecchiava quello reale.

Anche sul piano pittorico, il dio è stato rappresentato in modo fiero e imponente, laddove ritratto meramente nel suo ruolo di dio della guerra devastante e distruttrice: ne danno un caro esempio Bartholomeus Spranger e Diego Velazquez a distanza di mezzo secolo l’uno dall’altro.
Ma se il Marte dio della guerra di Velazquez è un dio assiso e pensoso, rilucente nel suo elmo d’oro e catturato in un momento di pace e quotidianità ad armi riposte sul pavimento, il Marte sul campo di battaglia di Spranger è invincibile, mitologico e potente, ritratto con il volto di profilo mentre guarda alla vittoria e con il corpo frontale, preciso e scolpito secondo uno stile manieristico ormai ben consolidato da decenni.

D. Velazquez, Marte dio della guerra,
1638, olio su tela,
Museo del Prado, Madrid
B. Spranger, Marte sul campo
di battaglia, 1580, olio su tela,
Kunshistorisches Museum, Vienna

W. Beyer, Marte e Minerva, 1780, 
marmo, Castello di Schonbrunn, Vienna 
Sul piano mitologico anche Ares / Marte come tutti gli dei ha un vissuto denso di aneddoti ed eventi, fatto di rapporti familiari per alcuni lati difficili, per altri addirittura amorosi.
Con la sua sorellastra Atena / Minerva non ebbe in linea di massima rapporti pacifici ed amichevoli, essendo le due divinità in contrasto tra loro e subendo il primo la predominanza della seconda, più astuta, saggia e benevola: il gruppo scultoreo in marmo del 1780, scolpito da Wilhelm Beyer, attualmente al Castello di Schonbrunn di Vienna, lascia trasparire questo rapporto di antipatia tra i due dei, catturati nel momento in cui Minerva blocca con un polso l’avventatezza di Marte, intento a sguainare la spada.

Suvèe è indubbiamente più teatrale di Beyer, ma d’altronde la scelta di dipingere il rapporto tra i due piuttosto che scolpirlo, aiuta nella resa: nel pieno del clima rococò neoclassico, la Minerva della tela del Musèe des Beaux Art di Lille è sospesa in volo, fluttuante nei veli della sua veste, mentre è intenta a scagliare la sua lancia verso Marte, in tenuta da soldato, sconfitto e terribilmente irritato dalla cosa da stringere entrambi i pugni e lasciarsi andare in uno sguardo di rancore profondo.

J. B. Suvee, Lotta tra Marte e Minerva, 1771, olio su tela, Musèe des Beaux Art, Lille

P. Rubens, Venere disarma Marte, 1610, olio
su tela, J. Paul Getty Museum, Los Angeles
Sicuramente è Afrodite / Venere però la dea con cui Marte è più in sintonia, essendo questa l’unica divinità capace di farlo capitolare. È errato credere, come è uso comune, che Marte fosse il compagno di Venere, perché la donna era sposata a Efesto / Vulcano nonostante scegliesse lui per le sue avventure erotiche in quanto più aitante e prestante del marito, avendo su di lui un potere non indifferente.

Il modo ammaliante della dea di sedurre Marte, di fargli perdere la testa con le sue moine e la sua avvenenza, sono testimoniate in molte opere, una tra tutte la tela di Rubens al Paul Getty Museum di Los Angeles: nella Venere che disarma Marte, la dea coperta solo da un leggerissimo velo, mentre fissa l’uomo inducendo questo ad abbandonarsi totalmente a lei, gli sfila l’elmo, aiutata dagli amorini che pensano a togliere spada e scudo dalle mani del dio guerriero.

Marte e Venere, I sec. d.C., affresco,
(staccato dallacasa di Venere di Pompei),
Museo Archeologico Nazionale, Napoli
La liaison è stata narrata sin dall’antichità dagli aedi e dai letterati greci e romani, e dagli stessi fu raffigurata già in molte suppellettili, mosaici e affreschi dell’epoca – si veda ad esempio l’affresco della Marte e Venere della Casa di Venere di Pompei, sito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli -  ma è nei secoli centrali dell’arte moderna che il ritratto dei due amanti trova fortuna iconografica, trovandosi a simboleggiare l’allegoria dell’amore per eccellenza.

Opere di carattere erotico piuttosto che platonico; dipinti che raccontano le tresche delle due divinità piuttosto che la loro scoperta da parte del marito di lei: la produzione sul tema è abbondante e variegata. Paris Bordon nella sua tela custodita al Kunsthistorische Museum dà, per esempio, un’ottima interpretazione del tema che vede Marte e Venere incoronati dalla Vittoria: nel dipinto ambientato in pieno Rinascimento, il dio della guerra, nella sua bronzea armatura lucente, si lascia andare all’amore per la dea, di cui incrocia gli sguardi; il tutto è suggellato dall’incoronazione con corone di alloro da parte della dea della Vittoria, a simboleggiare l’amore che porta la pace.

P. Bordon, Marte e Venere incoronati dalla Vittoria, 1560, Kunsthistorische Museum, Vienna 

Padovanino, Marte gioca a scacchi con Venere, 
1630, olio su tela, Landesmuseum, Oldenburg 
Quasi in tutte le opere di questo periodo Marte viene raffigurato come un cavaliere provvisto di armatura medievale; come da buon stile rinascimentale, manieristico e barocco, per cui nella maggior parte dei casi gli aneddoti storici e mitologici vedevano una loro collocazione spazio temporale nel periodo coevo agli artisti.
Lo fa anche il Padovanino, nonostante il suo dipinto racconti un semplice momento quotidiano tra i due dei, che giocano a scacchi assistiti da Cupido, che è sì figlio di lei, ma anche la personificazione dell’amore, il sentimento che caratterizza il tono dell’opera. Una tela curiosa per via della presenza di una scimmia in primo piano, in cui una furba Venere agghindata solo di un seducente filo di perle che le attraversa il corpo, accarezza il dio, coperto di armatura dalle rifiniture dorate ed elmo fastoso con tanto di lunga coda pelliccia bianca, per farlo deconcentrare dalla partita.

M. Raimondi, Marte e Venere (Copia
del XVIII sec. di un’incisione de’I modi)
Il tema erotico amoroso però è probabilmente quello più trattato dagli artisti medievali, affascinati dal carattere provocatorio e peccaminoso del tema: Giulio Romano, Agostino Carracci, Goltzius ne lasciano testimonianze abbastanza evidenti; Marcantonio Raimondi, ne’ I modi, lo trattò in maniera anche abbastanza palese, si veda giustappunto l’incisione (copia del XVIII sec.) che ha come protagonisti proprio le due divinità durante un amplesso.

Guercino nel suo dipinto Marte Venere e Cupido, ne dà una versione più soft, ritraendo il dio nel momento in cui, scostando il tendaggio del letto a baldacchino, scopre Venere coperta solo di un manto, che gli lascia vedere le sue nudità. Il Marte del Guercino quindi ne rimane sorpreso, affascinato dalla donna che sta insegnando al piccolo Cupido a scoccare le frecce: e proprio dall’unione dell’Amore di Cupido e della Guerra di Marte, prende vita Armonia.

Guercino, Marte Venere e Amore, 1634, olio su tela, Galleria Estense, Modena

Veronese, Marte che spoglia Venere,
1580, olio su tela, National Gallery
 of Scotland, Edimburgo
E continuando, il Veronese tocca un tasto piccante del tema amoroso legato al dio, raffigurando nella sua tela della National Gallery, il momento intimo in cui, vestito della sua armatura bronzea, Marte spoglia Venere del suo abito decorato, mentre questa è intenta a guardare Cupido che gioca con un cagnolino, che probabilmente non è lì a simboleggiare la fedeltà, come da iconografia, visto quel che è in procinto di accadere.

Rapporti amorosi clandestini, intrisi di passione ed erotismo, che culminano con la scoperta di Efesto / Vulcano, del tradimento in atto. Joachim Wtewael nel suo olio su rame, racconta proprio dell’episodio mitologico in cui Marte e Venere vengono scoperti da Vulcano:  il mito narra infatti che quando Helios, dio del sole, scoprì che le due divinità si vedevano di nascosto nella camera di Vulcano per consumare il loro amore, lo riferì a questo, che per vendicarsi, non solo li sorprese nel pieno della cosa, ma li avvolse in una speciale rete metallica costruita per imprigionarli avvinghiati com’erano nell’atteggiamento inequivocabile, chiamando tutti gli dei dell’Olimpo ad assistere alla cosa.


J. Wtewael, Marte e Venere
 sorpresi da Vulcano, 1603,
 collezione privata
Due secoli dopo sarà Alexandre Charles Guillemot a dare un’interpretazione più emozionale ai soggetti sorpresi da Vulcano, nella sua tela custodita all’Indianapolis Museum of Art. Tutto nella tela contribuisce ad enfatizzare l’imbarazzo del momento: lo sdegno di Vulcano, che alza un lembo della rete metallica per poter guardare meglio i due protagonisti del tradimento; gli dei sullo sfondo, che senza aprirsi a comportamenti infantili e teatrali – come invece accade nel dipinto di Wtewael – ammirano la scena patetica; la vergogna di Venere, che arrossisce e tenta di nascondersi come può agli sguardi indagatori degli dei, coprendosi il volto coi capelli; l’imbarazzo di Marte, il dio della guerra, l’uomo potente e invincibile, che ad un tratto si rende conto di essere stato vinto proprio dall’amore. 

A. C. Guillemot, Marte e Venere sorpresi da Vulcano, 1827, olio su tela, 
Indianapolis Museum of Art, Indianapolis
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1 commento:

  1. Bellissimo primo post dell'anno!!! Buon 2015 a te e a tutti i tuoi lettori!

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