Se Atena / Minerva è
la divinità che impersona più di tutti le virtù appartenenti all’uomo,
sicuramente Ares / Marte è quella che
raccoglie sotto di sé la maggior parte delle qualità negative facenti parte del
vivere quotidiano dell’essere umano. Dio maschile della guerra (quella
femminile è per l’appunto Minerva), Marte infatti è da sempre contraddistinto
nel suo modo di essere e di fare come un guerriero irascibile, presuntuoso,
arrogante, attaccabrighe.
Ares Ludovisi (copia di un originale greco di Lisippo o Scopa), 200 a.C., marmo, Palazzo Altemps, Roma |
Questo perché il più
violento degli dei, è la divinità che personifica gli aspetti più brutali e
devastanti della guerra; gli stessi uomini diffidavano di lui e dei suoi
consigli, ben sapendo che nulla di buono potesse derivare dalla sua persona.
Sul piano artistico,
per quanto il dio non fu molto venerato proprio per questi motivi, nelle
occasioni in cui accadeva, questo veniva rappresentato come un uomo aitante,
muscoloso e forzuto, spesso – ma non
necessariamente – provvisto di armatura, elmo, scudo ed armi.
Un esempio
meraviglioso di scultura classica è l’Ares Ludovisi, statua marmorea custodita
in Palazzo Altemps a Roma, copia romana del I sec. a.C., di un originale greco
attribuibile agli scultori Scopa o Lisippo del 320 a.C.: lo storico Winkelmann la
giudicò nel XVIII secolo la raffigurazione di Marte più bella dell’antichità e
non a torto; concentrato in un atteggiamento pensoso, il Marte scoperto nel
1622 e restaurato dal Bernini – il quale apportò la piccola scultura
dell’amorino sulla gamba sinistra – siede su una roccia, completamente nudo, in
modo tale però da coprire le sue gambe tenendo il ginocchio sinistro piegato e
sorretto dalle mani, e la gamba destra leggermente distesa. Il suo armamentario
quindi, va a creare volumi in modo elegante su tutta la scultura: l’elmo fa da
poggiapiedi al dio, la spada tenuta per le mani, taglia in due orizzontalmente
la scultura, lo scudo tondo sul versante destro crea un gioco di forme molto
armonico.
Molto più pomposo ed
altisonante risulta invece il Marte in marmo del I sec. d.C., sito ai Musei
Capitolini di Roma, ritrovato nel Foro di Nerva nel XVI secolo e facente parte
della collezione dei Capitolini dal 1740: ritenuto sin alla gran parte del
XVIII secolo come una raffigurazione di Pirro, re dell’Epiro, per via degli
elefanti che scandivano le frange dell’abito, il Marte in questione appare fiero
e magnifico nella sua armatura tipica romana, elegante e preciso nei ricci che
compongono barba e capigliatura secondo lo stile tipico imperiale di epoca
adrianea.
Modelli che nel corso
dei secoli, ritrovano riscontri negli artisti soprattutto rinascimentali e
neoclassici: nel primo caso si può prendere in esame il Marte che Jacopo
Sansovino scolpì presso il Palazzo Ducale di Venezia nel 1566: una figura muscolosa
ed anatomicamente proporzionata, nel quale la virilità del dio è ben visibile
nella tensione muscolare scolpita negli arti della statua marmorea. Anche gli
elementi iconografici appartenenti al dio sono ben chiari: lo scudo poggiato al
polpaccio dell’uomo e l’elegante elmo da parata.
Marte, I sec. d.C., marmo, Musei Capitolini, Roma |
J. Sansovino, Marte, 1566, marmo, Palazzo Ducale, Venezia |
A. Canova, Napoleone
come
Marte pacificatore, 1802 – 1806,
marmo, Apsley House, Londra
|
Nel secondo caso,
l’esempio più significativo è dato dal Napoleone come Marte Pacificatore,
scultura di Antonio Canova del 1802 – 1806, sito attualmente presso l’Apsley
House a Londra.
In questo caso la
riconduzione al dio è più simbolica che iconografica, volendo lo scultore
raffigurare l’imperatore francese nel suo ruolo di conduttore di pace: una
scultura non riuscita su due lati; se da un verso infatti, come anzidetto, è
contrastante consegnare alla figura di Marte il ruolo di pacificatore, per cui
automaticamente l’associazione viene a rendersi poco credibile, dall’altro fu
lo stesso Napoleone a non gradire la statua, che lo ritraeva nudo e con un
fisico che non rispecchiava quello reale.
Anche sul piano
pittorico, il dio è stato rappresentato in modo fiero e imponente, laddove
ritratto meramente nel suo ruolo di dio della guerra devastante e distruttrice:
ne danno un caro esempio Bartholomeus Spranger e Diego Velazquez a distanza di
mezzo secolo l’uno dall’altro.
Ma se il Marte dio
della guerra di Velazquez è un dio assiso e pensoso, rilucente nel suo elmo
d’oro e catturato in un momento di pace e quotidianità ad armi riposte sul
pavimento, il Marte sul campo di battaglia di Spranger è invincibile,
mitologico e potente, ritratto con il volto di profilo mentre guarda alla
vittoria e con il corpo frontale, preciso e scolpito secondo uno stile
manieristico ormai ben consolidato da decenni.
D. Velazquez, Marte dio della guerra, 1638, olio su tela, Museo del Prado, Madrid |
B. Spranger, Marte sul campo di battaglia, 1580, olio su tela, Kunshistorisches Museum, Vienna |
W. Beyer, Marte e
Minerva, 1780,
marmo, Castello di Schonbrunn, Vienna
|
Sul piano mitologico
anche Ares / Marte come tutti gli dei ha un vissuto denso di aneddoti ed
eventi, fatto di rapporti familiari per alcuni lati difficili, per altri
addirittura amorosi.
Con la sua sorellastra
Atena / Minerva non ebbe in linea di massima rapporti pacifici ed amichevoli,
essendo le due divinità in contrasto tra loro e subendo il primo la
predominanza della seconda, più astuta, saggia e benevola: il gruppo scultoreo
in marmo del 1780, scolpito da Wilhelm Beyer, attualmente al Castello di
Schonbrunn di Vienna, lascia trasparire questo rapporto di antipatia tra i due
dei, catturati nel momento in cui Minerva blocca con un polso l’avventatezza di
Marte, intento a sguainare la spada.
Suvèe è indubbiamente
più teatrale di Beyer, ma d’altronde la scelta di dipingere il rapporto tra i
due piuttosto che scolpirlo, aiuta nella resa: nel pieno del clima rococò
neoclassico, la Minerva della tela del Musèe des Beaux Art di Lille è sospesa
in volo, fluttuante nei veli della sua veste, mentre è intenta a scagliare la
sua lancia verso Marte, in tenuta da soldato, sconfitto e terribilmente
irritato dalla cosa da stringere entrambi i pugni e lasciarsi andare in uno
sguardo di rancore profondo.
J. B. Suvee, Lotta tra
Marte e Minerva, 1771, olio su tela, Musèe des Beaux Art, Lille
|
P. Rubens, Venere disarma Marte, 1610, olio su tela, J. Paul Getty Museum, Los Angeles |
Sicuramente è Afrodite
/ Venere però la dea con cui Marte è più in sintonia, essendo questa l’unica
divinità capace di farlo capitolare. È errato credere, come è uso comune, che
Marte fosse il compagno di Venere, perché la donna era sposata a Efesto /
Vulcano nonostante scegliesse lui per le sue avventure erotiche in quanto più
aitante e prestante del marito, avendo su di lui un potere non indifferente.
Il modo ammaliante
della dea di sedurre Marte, di fargli perdere la testa con le sue moine e la
sua avvenenza, sono testimoniate in molte opere, una tra tutte la tela di
Rubens al Paul Getty Museum di Los Angeles: nella Venere che disarma Marte, la
dea coperta solo da un leggerissimo velo, mentre fissa l’uomo inducendo questo
ad abbandonarsi totalmente a lei, gli sfila l’elmo, aiutata dagli amorini che
pensano a togliere spada e scudo dalle mani del dio guerriero.
Marte e Venere, I sec. d.C., affresco, (staccato dallacasa di Venere di Pompei), Museo Archeologico Nazionale, Napoli |
La liaison è stata
narrata sin dall’antichità dagli aedi e dai letterati greci e romani, e dagli
stessi fu raffigurata già in molte suppellettili, mosaici e affreschi
dell’epoca – si veda ad esempio l’affresco della Marte e Venere della Casa di
Venere di Pompei, sito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli - ma è nei secoli centrali dell’arte moderna
che il ritratto dei due amanti trova fortuna iconografica, trovandosi a
simboleggiare l’allegoria dell’amore per eccellenza.
Opere di carattere
erotico piuttosto che platonico; dipinti che raccontano le tresche delle due
divinità piuttosto che la loro scoperta da parte del marito di lei: la
produzione sul tema è abbondante e variegata. Paris Bordon nella sua tela
custodita al Kunsthistorische Museum dà, per esempio, un’ottima interpretazione
del tema che vede Marte e Venere incoronati dalla Vittoria: nel dipinto
ambientato in pieno Rinascimento, il dio della guerra, nella sua bronzea
armatura lucente, si lascia andare all’amore per la dea, di cui incrocia gli
sguardi; il tutto è suggellato dall’incoronazione con corone di alloro da parte
della dea della Vittoria, a simboleggiare l’amore che porta la pace.
P. Bordon, Marte e
Venere incoronati dalla Vittoria, 1560, Kunsthistorische Museum, Vienna
|
Padovanino, Marte
gioca a scacchi con Venere,
1630, olio su tela, Landesmuseum, Oldenburg
|
Quasi in tutte le
opere di questo periodo Marte viene raffigurato come un cavaliere provvisto di
armatura medievale; come da buon stile rinascimentale, manieristico e barocco,
per cui nella maggior parte dei casi gli aneddoti storici e mitologici vedevano
una loro collocazione spazio temporale nel periodo coevo agli artisti.
Lo fa anche il Padovanino,
nonostante il suo dipinto racconti un semplice momento quotidiano tra i due dei,
che giocano a scacchi assistiti da Cupido, che è sì figlio di lei, ma anche la personificazione
dell’amore, il sentimento che caratterizza il tono dell’opera. Una tela curiosa
per via della presenza di una scimmia in primo piano, in cui una furba Venere
agghindata solo di un seducente filo di perle che le attraversa il corpo,
accarezza il dio, coperto di armatura dalle rifiniture dorate ed elmo fastoso
con tanto di lunga coda pelliccia bianca, per farlo deconcentrare dalla
partita.
M. Raimondi, Marte e Venere (Copia del XVIII sec. di un’incisione de’I modi) |
Il tema erotico amoroso
però è probabilmente quello più trattato dagli artisti medievali, affascinati
dal carattere provocatorio e peccaminoso del tema: Giulio Romano, Agostino
Carracci, Goltzius ne lasciano testimonianze abbastanza evidenti; Marcantonio
Raimondi, ne’ I modi, lo trattò in maniera anche abbastanza palese, si veda giustappunto
l’incisione (copia del XVIII sec.) che ha come protagonisti proprio le due
divinità durante un amplesso.
Guercino nel suo
dipinto Marte Venere e Cupido, ne dà una versione più soft, ritraendo il dio
nel momento in cui, scostando il tendaggio del letto a baldacchino, scopre Venere
coperta solo di un manto, che gli lascia vedere le sue nudità. Il Marte del
Guercino quindi ne rimane sorpreso, affascinato dalla donna che sta insegnando
al piccolo Cupido a scoccare le frecce: e proprio dall’unione dell’Amore di
Cupido e della Guerra di Marte, prende vita Armonia.
Guercino, Marte Venere e Amore, 1634, olio su tela, Galleria Estense, Modena |
Veronese, Marte che spoglia Venere, 1580, olio su tela, National Gallery of Scotland, Edimburgo |
E continuando, il
Veronese tocca un tasto piccante del tema amoroso legato al dio, raffigurando
nella sua tela della National Gallery, il momento intimo in cui, vestito
della sua armatura bronzea, Marte spoglia Venere del suo abito decorato, mentre
questa è intenta a guardare Cupido che gioca con un cagnolino, che
probabilmente non è lì a simboleggiare la fedeltà, come da iconografia, visto
quel che è in procinto di accadere.
Rapporti amorosi
clandestini, intrisi di passione ed erotismo, che culminano con la scoperta di
Efesto / Vulcano, del tradimento in atto. Joachim Wtewael nel suo olio su rame,
racconta proprio dell’episodio mitologico in cui Marte e Venere vengono
scoperti da Vulcano: il mito narra
infatti che quando Helios, dio del sole, scoprì che le due divinità si vedevano
di nascosto nella camera di Vulcano per consumare il loro amore, lo riferì a
questo, che per vendicarsi, non solo li sorprese nel pieno della cosa, ma li
avvolse in una speciale rete metallica costruita per imprigionarli avvinghiati
com’erano nell’atteggiamento inequivocabile, chiamando tutti gli dei dell’Olimpo
ad assistere alla cosa.
J. Wtewael, Marte e Venere sorpresi da Vulcano, 1603, collezione privata |
Due secoli dopo sarà Alexandre Charles Guillemot a dare un’interpretazione più emozionale ai soggetti sorpresi da
Vulcano, nella sua tela custodita all’Indianapolis Museum of Art. Tutto nella
tela contribuisce ad enfatizzare l’imbarazzo del momento: lo sdegno di Vulcano,
che alza un lembo della rete metallica per poter guardare meglio i due
protagonisti del tradimento; gli dei sullo sfondo, che senza aprirsi a
comportamenti infantili e teatrali – come invece accade nel dipinto di Wtewael –
ammirano la scena patetica; la vergogna di Venere, che arrossisce e tenta di
nascondersi come può agli sguardi indagatori degli dei, coprendosi il volto coi
capelli; l’imbarazzo di Marte, il dio della guerra, l’uomo potente e
invincibile, che ad un tratto si rende conto di essere stato vinto proprio dall’amore.
A. C. Guillemot, Marte
e Venere sorpresi da Vulcano, 1827, olio su tela,
Indianapolis Museum of Art,
Indianapolis
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Bellissimo primo post dell'anno!!! Buon 2015 a te e a tutti i tuoi lettori!
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