sabato 20 dicembre 2014

Emil Nolde: la violenza del colore; l'individualità del tocco

Emil Nolde; fotografato da
Minya Diez-Dührkoop, ca. 1929
Esattamente come i grandi Leonardo da Vinci, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio o Jacopo da Bassano, anche uno dei maestri più influenti dell’Espressionismo tedesco, tal Emil Hansen, è tutt’oggi riconosciuto al mondo per via del piccolo paesello che gli diede i natali: Nolde.
Il pittore, incisore e litografo fu infatti da sempre  molto attaccato al suo territorio d’origine, un borgo tedesco al confine con la Danimarca, che a seguito del referendum del 1920, passò definitivamente sotto la giurisdizione danese.

Nato nella calda estate del 1867 da padre agricoltore, non seguì le orme del padre, dedicandosi piuttosto all’arte dell’intaglio. A soli diciassette anni infatti si trasferì sino a Flensburg, dove ricoprì il ruolo di apprendista presso un mobilificio, nel mentre che frequentava la scuola d’intaglio della città. Emil già in quest’occasione si dimostrò essere un ragazzo instancabile e coscienzioso: nonostante i due impegni che gli toglievano gran parte del tempo, riuscì a trovare il modo di frequentare anche corsi serali di perfezionamento e  non appena preso il diploma nel 1888, cambiò drasticamente vita, trasferendosi prima a Monaco, poi a Karlsruhe, dove lavorò nei corrispettivi mobilifici della città fino al 1891.

E. Nolde, Mill by the water, 1926, litografia, collez. privata
Infatti un anno dopo, per Emil Hansen avvenne la svolta: chiamato ad insegnare disegno ornamentale presso il Museo dell’Industria e dell’Artigianato di San Gallo, iniziò ad approcciare in modo sempre più sistematico alla sfera dell’arte, dando il via a quella che sarà la sua intensa produzione artistica.
Una produzione che toccherà varie fasi prima di stabilizzarsi in un percorso unico come quello dell’artista tedesco: viaggiando nei primi anni del Novecento tra Parigi, Monaco, Copenaghen e in Italia, Emil Nolde (dal 1902 si farà chiamare così), ebbe modo infatti di subire l’influenza ed il fascino dei più grandi pittori vissuti nei secoli antecedenti al suo così come ancora a lui coevi: tra tutti Gauguin, Rembrandt, Daumier, Munch.

Un assimilazione talmente profonda, che non di rado lo spinse a personalizzare alcuni soggetti già ripresi dai grandi del passato: come non riconoscere un’associazione figurativa tra il Mulino sull’acqua, che Nolde dipinse nel 1926, ed il Mulino a vento, opera del 1645 – 48 di Rembrandt, o tra la scarnita Madonna dai contorni carichi di Munch e la Madonna che Nolde disegnò per la rivista Das Kunstblatt nel 1917?

E. Nolde, Mill by the water, 1926,
Litografia, MoMA, New York
Rembrandt, Mulino, 1645, olio su tela, 
National Gallery of Art, Washington 

E. Nolde, Madonna, 1917, Stampa su 
carta per la rivista Das Kunstblatt, 
MoMA, New York 
E. Munch, Madonna, 1895 – 1902,
litografia, Museo Munchen, Oslo

E. Nolde, Mountain Giant, 1896, olio su tela, 
Nolde-Stiftung Seebull, Seebull
Al 1896 è ad ogni modo riconducibile la sua prima opera pittorica di spessore: Il gigante delle montagne, dipinta per essere presentata all’Esposizione annuale di Monaco. Già nella tela, oggi esposta nella Fondazione intitolata al pittore e a sua moglie, sono ravvisabili i barlumi del suo modus operandi: colori accesi, fisiognomica dei soggetti resa in modo caricaturale e grottesco, latente senso di angoscia e disagio.

Caratteristiche della sua pittura, che accantonerà per qualche anno, per potersi dedicare agli esperimenti sicuramente più equilibrati dell’impressionismo: dal 1901 al 1906 infatti, le sue tele saranno caratterizzate inizialmente da un’impronta tecnica più misurata e cromaticamente armoniosa, che di anno in anno però si andava sempre più a rigettare nei preludi dell’espressionismo: pennellate più vigorose e incisive e colori più accesi con una forte predominanza del rosso.

E. Nolde, Pomeriggio estivo, 1903, olio su tela, 
Thyssen-Bornemisza Museum, Madrid
Mettendo a confronto il Pomeriggio estivo del 1903 con la Donna che legge del 1906, è ben ravvisabile tutto questo: il primo riprende una donna di spalle immersa nel verde della natura, in un gioco postimpressionista di colori, forme e composizione; il secondo si ravviva nei colori, il rosso dei fiori squarcia l’armonia dei verdi e dei gialli del panorama ed la materia del colore rimane molto più impressa sul supporto.
La modella pare comunque essere sempre la stessa, probabilmente però non si tratterebbe di sua moglie Ada Vilstrup, sposata nel 1903, ma di una modella, tal Alice: la corporatura, la fisiognomica, l’acconciatura ed il colore di capelli ben riconducono infatti alla donna protagonista dell’incisione custodita al MoMA, il cuoi soggetto viene ripreso in più occasioni.

E. Nolde, Donna che legge, 1906, olio su tela,
Schlewig Holstein Museums
E. Nolde, Alice, 1907, litografia, 
MoMA, New York 

E. Nolde, Girl (Alice), 1906, litografia,
 MoMA, New York
L’allontanamento radicale dall’Impressionismo per aderire alla corrente sempre più preponderante dell’Espressionismo, si manifestò pienamente nel 1906, quando in seguito alla conoscenza del pittore Karl Schmidt Rottluff avvenuta durante una sua personale a Dresda, decise di aderire al Die Brucke, la corrente avanguardistica che tende attraverso gli elementi tipici della maniera espressionista (colore, tecnica pittorica, composizione, soggetto), a raccontare il malessere della società coeva ai suoi esponenti, in una visuale tendente allo stereotipato, all’esagerazione, alla denuncia.

Ma Nolde non si omologò alla politica della corrente così come fanno gli altri: cercò infatti di mantenere un suo stile, una sua firma di riconoscimento, che si esplicò nella resa di soggetti nel quale è evidente il rapporto dell’uomo con la natura, panoramiche e distese che ricordano la terra al confine danese in cui è cresciuto, una serenità squarciata dal colore forte e violento, ma mai completamente invadente.

Tramonto sul Wadden racconta a pieno questa realtà; un acquerello su carta giapponese creato attraverso larghe e semplici campiture di quattro colori principali:  verde, viola, arancio e giallo. Non servono sfumature, non serve la pennellata precisa di rifinitura: l’immediatezza della resa lo rende vero e realistico, uno scatto momentaneo di un tipico tramonto dei paesi del nord.

E. Nolde, Tramonto sul Wadden, 1906, acquerello su carta, collezione privata

E. Nolde, Mare d’autunno VII, 1910, 
olio su tela, Nolde-Stiftung Seebull
L’adesione al Die Brucke durò solo un anno; Nolde fu un tipo che amò mettersi costantemente alla prova, volle viaggiare, volle sperimentare e ricercare la strada più giusta alla sua pittura, tanto che neanche l’adesione alla nuova corrente artistico letteraria Der Blaue Reiter fu duratura.
Nel 1909, a seguito di una malattia che lo debilitò tanto da fargli rigettare sulle tele tutta la drammaticità dell’evento, nonché contatti diretti con Van Gogh, dal quale assimila la tecnica pittorica e compositiva, la sua pittura si rinnovò.


E. Nolde, Moonlit Night, 1913 – 1914, 
olio su tela, Albertina Museum, Vienna. 
Fu un periodo, quello che seguì, in cui si alternarono dipinti, disegni ed incisioni a carattere sacro e paesaggistico. I paesaggi di Nolde si fanno molto più intensi e ricercati; le svirgolettate si riempiono di colore e si rivelano essere più materiche similmente a quelle di Van Gogh, i colori caldi raccontano i tramonti indimenticabili dell’isola danese di Alsen (dove si trasferì dal 1903 al 1916), caratterizzati dal fuoco di sole che non vuole spegnersi; i colori freddi della notte le consegnano un tocco di eleganza lontana dallo spazio e dal tempo: Mare d'autunno VII e Moonlit Night ne sono l’esempio più significativo.

E. Nolde, Pentecoste, 1909, 
olio su tela, Nationalgalerie, Berlino
Dal punto di vista della pittura a carattere sacro, Nolde nel triennio 1909 – 1912, raccontò nelle sue tele diversi aneddoti riguardanti storie veterotestamentarie e neotestamentarie, aderendo in un primo momento alla Nuova Secessione berlinese alla Galleria Macht, in seguito al rifiuto da parte della giuria della Secessione di Berlino della sua tela raffigurante la Pentecoste. La tela raffigura un Cristo attorniato dai discepoli reso per grandi campiture di colori per lo più freddi, accostati a quelli caldi del carnato. Esattamente come per le altre sue opere a carattere sacro, non è lo spazio o la temporalità a giocare il ruolo fondamentale, ma l’espressività dei soggetti, che rivelano sentimenti ed emozioni in modo particolarmente intenso.

E. Nolde, Cristo e i fanciulli, 1910,
 olio su tela, MoMA, New York
Sicuramente questa attenzione all’aspetto amorevole di Cristo è ancora più evidente nella tela custodita al MoMA, del Cristo ed i fanciulli, in cui è riconoscibilissima la pennellata di Nolde: è interessante notare la sorta di divisione che si viene a creare nella tela, che accoglie sulla sinistra gli uomini perplessi ed ammassati l’uno sull’altro nelle loro vesti violacee, al centro il Cristo di spalle intento ad accogliere i pargoletti, nel suo manto bluastro dalle striature verdi, e sulla sinistra il rosso ed il giallo vitale che caratterizza i bambini, gioiosi e fiduciosi nell’affidarsi a Gesù.

L’espressività nei soggetti sacri raggiunge il culmine nella Crocifissione, custodita presso la Fondazione Nolde di Seebull, che nei colori e nell’impostazione e nella cromia ricorda molto il Cristo giallo di Gauguin, maestro da cui prenderà spunto anche per le sue ricerche esotiche future. Nella tela infatti, si nota il contrasto emozionale tra il gruppo dei soldati intenti a spartirsi le vesti giocandosele ai dadi e le pie donne che piangono Cristo crocifisso; al centro svetta preponderante il figlio di Dio che mostra sul volto tutta la sua sofferenza, simbolo di un volere – quello di Nolde – incentrato a raccontare l’enorme sacrificio attuato dal salvatore.

E. Nolde, Crocifissione, 1912, olio su tela,
Nolde-Stiftung Seebull, Seebull
P. Gauguin, Il Cristo giallo, 1889, olio su tela, 
Albright Knox Art Gallery, Buffalo

E. Nolde, Danza attorno al vitello d'oro, 1910, olio su tela, 
Staatsgalerie Moderner Kunst, Monaco di Baviera
Anche l’opera per cui forse Emil Nolde è più conosciuto, è a carattere sacro. La danza attorno al vitello d’oro, custodita allo Staatgalerie Moderner Kunst di Monaco, racconta l’episodio veterotestamentario secondo cui Aronne, per colmare l’irrequietezza dovuta all’assenza di Mosè, occupato con la rivelazione dei dieci comandamenti da parte di Dio, costruì per il popolo ebraico un vitello d’oro da idolatrare. Ovviamente il carattere sacrilego dell’evento è palese nell’opera del pittore danese, che inserisce nella tela quattro donne intente a danzare mentre sullo sfondo è visibile il vitello dorato.

Donne che si lasciano andare ad un impeto di irrefrenabilità volgare e sconsiderevole, trascinate dall’ardore di dimostrare devozione ad una statua: la peccaminosità della cosa è rivelata dalle nudità volgari delle quattro ballerine, dai modi bestiali di lanciarsi in arditi movimenti, in un attaccamento ancora evidente al paganesimo che si sarebbero dovute lasciare alle spalle, seguendo la via professata da Mosè del monoteismo.

H. Matisse, Ingresso nella Casbah,
 1912, olio su tela, Museo
dell' Ermitage, San Pietroburgo.
Il tema della danza, è successivamente ripreso più volte dal pittore, soprattutto durante i suoi viaggi in giro per il mondo, dove ha modo di assistere a riti, costumi e tradizioni di tribù e popolazioni aborigene. Infatti a partire dal 1913, il pittore in seguito all’esigenza primordiale di scoprire nuove luci e nuovi mondi, partì con sua moglie, quale membro di una spedizione tedesca nella Nuova Guinea.

Il viaggio, l’esplorazione, l’esotismo ed il decorativismo giapponese agli inizi del XX secolo sono stati elementi essenziali per lo sviluppo della pittura contemporanea europea; più di un artista in cerca di particolari stimoli si avventurava infatti nei meandri più sperduti del mondo: Matisse qualche anno prima era stato in Marocco, dove aveva riscoperto gli effetti della luce tropicale e l’eleganza delle arcate arabe; Gauguin aveva viaggiato sino a Tahiti e in Polinesia dove aveva riscoperto un primitivismo ed un etnismo che sarebbero poi attecchiti tra i pittori di Montmartre e Montparnasse.

P. Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?. 1897,
olio su tela, Museum of Fine Arts, Boston

E se Picasso si rifà alla statuetta di arte negra regalatagli dall’amico/nemico Matisse per formulare le sue teorie protocubiste ne’ Les Demoiselles d’Avignon, Nolde ha modo di catturare ogni sfumatura riguardante le tribù aborigene studiandole dal vivo: The dancer, del 1914 riconferma l’irruenza e la spettacolarità sfrenata e disinibita già vista nella Danza attorno al vitello d’oro, ma a differenza del dipinto sacro, qui la protagonista è libera dalla visione peccaminosa perché aderisce semplicemente alla realizzazione di un rituale che le appartiene sin dalle origini.

P. Picasso, Les demoiselles
d'Avignon, 1907, olio su tela,
MoMA, New York.
E. Nolde, The dancer, 1913, litografia, MoMA, New York 

E. Nolde, Sole tropicale, 1913, olio su tela, 
Nolde-Stiftung Seebull, Seebull 
Viaggiando quindi prima in Cina, Manciuria, Siberia e Giappone, poi nella Nuova Guinea, Nolde cattura le luci, i colori, i paesaggi e i personaggi che caratterizzano quelle splendide terre: se però nella paesaggistica rimane legato alla classica resa cromatica a tinte forti dell’Espressionismo -  si veda Sole tropicale, dipinto nel 1914, gli aspetti più innovativi del suo viaggio si riscontrano nell’adesione ad un primitivismo e ad un esotismo studiati dal vivo nella raffigurazione dei soggetti trattati e non più immaginati, scopiazzati ed ideati in studio, come era accaduto in precedenza, si veda ad esempio la tela Mask still life III del 1911.


E. Nolde, Mask still life III, 1911, olio su tela,  The Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City

E. Nolde, Figure and
Mask, 1911, olio su
tela, Kunstmuseum
Basel, Basilea
In più occasioni raffigura su tele e fogli gli aborigeni dei luoghi visitati, catturando le loro espressioni di curiosità o dolcezza, o immortalandoli nella spensieratezza della loro quotidianità, come nel dipinto del 1914 raffigurante i Papuani, in altre relega ai soggetti tratti fisiognomici di forte impatto, al limite dell’orripilanza e del grottesco, in una similitudine sempre più evidente con le maschere di cui sono ideatori: in Figure and Mask sito a Basilea, per esempio, è molto serrata la correlazione tra la maschera votiva gigantesca poggiata al suolo ed il magro esponente della tribù: entrambi hanno gli occhi profondamente calcati ed un sorriso esteso e angosciante, a testimonianza di una visione mistica ed onirica che appartiene a quei popoli e che non può probabilmente essere compresa dall’uomo europeo civilizzato.

E. Nolde, Papuani, 1914, olio su tela, Nolde-Stiftung Seebull, Seebull

Ma come accadde per molti artisti tedeschi nella prima metà del XX secolo, con l’avvento del regime nazista, anche la sua carriera vide il declino, rapidissimo e scosceso dopo i fasti che erano seguiti al suo rientro in Germania nello stesso 1914. Infatti, se dal 1914 al 1926 Nolde era riuscito a farsi strada nel mondo dell’arte conseguendo la laurea honoris causa concessagli dall’Università di Kiel e a Dresda trovò terreno fertile riuscendo ad esporre centinaia di opere in una sua personale, la politica nazista decretò la sua arte come Arte degenerata e lo umiliò pubblicamente, favorendo la confisca delle sue opere dai musei nelle quali erano allestite, per permetterne l’esposizione di alcune di queste, alla mostra di Arte degenerata che si tenne a Monaco nel 1937.

E oltre al danno, la beffa. Nel 1941 arrivò per Emil Nolde il divieto tassativo di poter dipingere, tant’è vero che per gli anni a seguire sino alla fine della guerra, lo stesso continuerà a creare di nascosto acquerelli e disegni riproducenti soprattutto giardini e paesaggi, definendoli “quadri non dipinti”, vivendo la sua vita quotidiana assieme a sua moglie, in una fattoria acquistata nel 1926 a Seebull, la stessa che attualmente ospita gran parte della corposa produzione artista del pittore tedesco-danese, lasciata da questi in eredità al piccolo paese. 

E. Nolde, Grandi papaveri, 1942, olio su tela, Nolde-Stiftung Seebull, Seebull
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4 commenti:

  1. I miei complimenti per il suo lavoro che arricchisce il nostro piacere di scoprire :)

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    1. Grazie davvero! Mi fa piacere che lei abbia apprezzato il mio articolo!

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  2. Grazie mi ha fatto conoscere un artista che avevo si e no sfiorato, articolo ben fatto!

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  3. Veramente complimenti per il tuo lavoro, ricercato ed accurato.

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