lunedì 1 dicembre 2014

Margaret Bourke - White: la fotografia vista con gli occhi di una donna

La partenza dell’astronauta Samantha Cristoforetti per lo spazio, ha destato in Italia un sentimento di forte orgoglio nazionalpopolare, dettato dal fatto che la stessa è a tutti gli effetti, la prima donna italiana ad aver lasciato il pianeta. Un’impresa avvenuta durante la notte fra il 23 e il 24 novembre 2014 dal Cosmodromo di Baikonur, a bordo della navetta russa Soyuz. La missione intitolata "Futura" prevede infatti che la Cristoforetti rimanga in orbita per ben sei mesi, in qualità di  Flight Engineer e membro dell'equipaggio della spedizione Iss 42/43.

Eppure ciò nonostante, sui social network più seguiti è apparso in più riprese un sentimento maschilista e di sdegno nei confronti dell’astronauta, offesa e denigrata per il genere di appartenenza: “Secondo me ammacca la navicella alla prima retromarcia”, “Chissà che raccomandazione c’è voluta”, “Ma non è una donna, sembra un uomo”, “Ammazza che cesso di donna”, “Ma guardate che anche lassù c’è bisogno di qualcuno che lavi, stiri, prepari il pranzo e lavi poi pentole e piatti.. per gli uomini”, sono stati solo alcuni dei numerosi commenti attestanti l’ignoranza e il degrado di un paese che ancora non accetta la parità dei sessi.

Di conseguenza, nella mia ricerca personale sulle donne che hanno scritto la storia della scienza, delle arti o dello spettacolo nel corso dei secoli, (a tal punto invito a leggere le svirgolettate su Rosalba Carriera, Sofonisba Anguissola, ArtemisiaGentileschi, Berthe Morisot, Vanessa Bell, Franca Rame e Mariangela Melato e Marina Abramovic solo per citarne alcune), sono rimasto sconvolgentemente ammaliato da una fotografia testimoniante l’attività di una grandissima fotografa del XX secolo, Margaret Bourke – White, raffigurata nell’intento di immortalare il panorama aereo di New York dall’alto di una delle caratteristiche aquile in ferro che ornano gli angoli del Chrysler Building.


Margaret Bourke-White ritratta su una delle aquile ornamentali del Chrysler Building a New York, 1931

Certo definire il lavoro immenso attuato dalla fotografa americana in un articolo di blog non è una cosa possibile, però potrebbe comunque risultare significativo ripercorrere le tappe che hanno delineato la sua personalità artistica e professionale, attraverso i suoi scatti.
Margaret Bourke – White non nasce fotografa, anzi. Originaria di uno dei quartieri più dimenticati di New York, nata il 14 giugno 1904, nel pieno dello sviluppo urbanistico multiculturale della Big Apple, fu avviata agli studi di biologia, probabilmente aiutata nella scelta, da suo padre Joseph, naturalista ed inventore.

M. Bourke – White, Otis Steel Mill Pattern, 
Cleveland, 1928, fotografia
Fu durante il college che nacque la passione per la fotografia, derivante dall’aver seguito un corso specifico. Una passione che la portò a definire la professione che l’accompagnò per il resto della sua vita, quella dell’inviata fotografa per riviste di tiratura mondiale come LIFE. Fu infatti Henry Luce, caporedattore del Time a volerla con sé per la nuova rivista Fortune, dopo aver visionato alcuni dei suoi scatti riguardanti il mondo dell’industria.

Un tema, quello della fotografia industriale, che in un’America devastata dalla Depressione e dal consequenziale New Deal Rooseveltiano, si rivelò essere oro nelle mani della giovane e bella fotografa. Si veda la tecnica compositiva dello scatto del 1928, riguardante l’Otis Steel Mill, fabbrica di Cleveland, in Ohio. Oltre che a rivelarsi un importantissimo documento visivo degli interni della fabbrica, la composizione è resa attraverso un contrastante gioco di chiari e di scuri, che evidenziano le sagome di ganci, carrucole ed elevatori sospesi a mezz’aria in un’immenso spazio indefinito che si apre nella parte inferiore a binari e conche. Interessante è notare l’equilibro dato dalle linee parallele che scandiscono l’elevatore, il gancio ed il contenitore in primo piano, che vanno a creare un gioco geometrico di linee continue, spezzate dall’obliquità del secchio.

Margaret Bourke-White ritratta sull’impalcatura
del Chrysler Building a New York, 1931, fotografia
A pochi anni più tardi, appartengono anche le succitate foto che ritraggono la signora della fotografia sul Chrysler, a dimostrazione della temerarietà appartenente alla passione quando questa si rivela valida. Proprio dalle fotografie che documentano la fotografa all’opera, si evince infatti la dedizione di Margaret Bourke – White, che non si abbandona alle paure pur di portare a termine il suo compito: sull’aquila ornamentale del palazzo, piuttosto che su un’impalcatura sospesa a mezz’aria, il suo compito era per lei di vitale importanza, talmente vitale da mettere in gioco la sua stessa vita.

E finalmente nel 1936 arriva la svolta della Bourke – White: dopo aver collaborato con la rivista Fortune per diversi anni, le viene affidata la copertina del primo numero dell’esordiente LIFE, periodico di tiratura nazionale che avrebbe goduto di fama internazionale per i decenni a seguire. La copertina in questione era una fotografia che illustrava la diga finita di Fort Peck, in Montana, costruzione appartenente al programma nazionale del New Deal fortemente voluto dal presidente Franklin Delano Roosevelt, simbolo di un’America che finalmente si stava riprendendo dalla crisi del ’29.

Copertina del primo numero della
 rivista LIFE, 23 novembre 1936
M. Bourke – Diga di Fort Peck in Montana, 1936, fotografia






M. Bourke – White, Lavoratori della Diga di Fort Peck 
in un bar, 1936, fotografia
Una crisi che se sulla carta politica pareva essere alla fine dei suoi giorni, su quella sociale rivelava essere ancora una triste costante nel popolo, soprattutto quello degli stati del sud Usa.
Nel suo reportage You have seen their faces del 1938, la fotografa infatti, assieme al marito Erskine Caldwell, testimoniò il dolore e la devastazione che la crisi aveva lasciato nel cuore dei cittadini, di tutte le razze, età e ceti sociali: l’idea di certo non fu innovativa, dato che negli stessi anni anche altri fotografi affermati come Walker Evans, Doris Ulmann o Arthur Rothstein documentarono con le loro foto gli stati d’animo e gli aspetti sociali derivanti dall’evoluzione storica della Crisi, ma i suoi scatti senza dubbio rivelavano un sentimento raro da catturare.

M. Bourke – White, Couple of Yazoo – Mississippi, 
(You have seen their faces, serie) 1937, fotografia
La donna residente a Locket, in Georgia, è un esempio di quanto detto: i suoi occhi rivelano tutta la rassegnazione e la disperazione per quanto perso durante la Crisi, cosa ben testimoniata nelle didascalie che completavano le foto del reportage, solitamente citazioni dei personaggi raffigurati.
E i sentimenti predominanti sono appunto la desolazione, la tristezza, l’umiltà e la dignità, che rimane ferma nonostante tutto. Ma senza dubbio anche le attenzioni della fotografa alla fisiognomica ed alla psicologia, si rivelano nei suoi scatti, come per esempio nella coppia di Yazoo City, che racconta nelle rughe solcate dei volti e negli sguardi persi, le incomprensibilità che caratterizzavano gran parte di una società ancora analfabeta.

M. Bourke – White, Resident of Locket – Georgia, (You have seen their faces, serie), 1937, fotografia

M. Bourke – White, Attacco dell’esercito
 nazista a Mosca, 1941, fotografia
Con l’arrivo della Seconda Guerra Mondiale, la Bourke – White tornò a ricoprire per il LIFE la figura di inviata: in qualità di fotoreporter la donna nei primi anni ’40 seguì in prima persona gli svolgimenti più significativi della guerra nel continente; nel 1941, quando Mosca fu invasa dai nazisti, la donna documentò l’impresa inviando alla testata gli scatti drammatici della guerriglia in atto, fotografati da macchine appostate sui tetti dell’ambasciata americana.


M. Bourke – White, Norimberga a guerra finita, 1945, fotografia
E tornata in madrepatria, determinata a voler raccontare agli americani le imprese eroiche dei loro soldati, ottiene i permessi necessari – con l’intercessione dell’autorevole testata giornalistica – di partire per il fronte orientale. Definita “Maggie l’indistruttibile” dall’entourage del suo giornale, la fotografa seguì le truppe sul fronte nordafricano prima e italiano dopo, raccontando non solo gli aspetti storici della guerra, come gli assalti degli alleati al fronte italiano nel 1944, la desolata Norimberga postbellica o l’abominevole scoperta del lager di Buchenwald dopo la sua liberazione, ma anche quelli più intimistici.

M. Bourke – White, Assalto
 delle truppe alleate sul fronte
 italiano, 1944, fotografia
M. Bourke – White, Lager di Buchenwald, 1945, fotografia

M. Bourke – White, Aviatori intenti a
 disegnare sull’aeroplano, 1942, fotografia
Divertente e patriottico è il reportage sugli aviatori cacciabombardieri, intenti a disegnare vignette satiriche sulla lezione da impartire ai dittatori Mussolini ed Hitler senza trascurare l’imperatore giapponese Hiroito; molto dolce è il suo autoritratto sull’aeroplano militare “Peggy”, in cui in modo austero tiene tra le mani il suo oggetto sacro, ferma in una posa professionale ma al tempo stesso molto femminile, così come femminili erano le donne lavoratrici per la patria, che documentò in alcuni scatti del 1943 nell’Indiana.

M. Bourke – White, vignetta satirica sull’aeroplano, 1942, fotografia

M. Bourke – White, Donne intente a lavorare nella
Camegie Illinois Steel, Indiana, 1943, fotografia
  
M. Bourke - White, Minatori
 in Sud Africa, 1950, fotografia
I reportage sensazionali consegnati alla LIFE durante tutta la Seconda Guerra Mondiale, le consegnarono indiscutibile notorietà nel settore, tanto che nell’immediato dopoguerra tornò a lavorare su diversi fronti: nel 1946 in Pakistan ed India, fotografò il Mahatma Ghandi poco prima che questi venisse assassinato, immortalandolo nella sua solitudine all’interno del suo studio; ancora nel 1950 in Sud Africa fotografò le terribili condizioni dei minatori d’oro scendendo con loro nelle miniere con il rischio di trovarsi implicata in crolli o complicazioni e nel 1952 documentò la Guerra di Corea, attraverso scatti crudi che rivelavano le atrocità di quel conflitto estremo: di forte impatto è la fotografia che vede la testa mozzata di un guerrigliero nordcoreano in primo piano, tenuta dalla mano di un soldato non catturato nell’immagine.


M. Bourke – White, Mahatma Ghandi nel suo studio, 1946, fotografia

M. Bourke – White, Testa di guerrigliero nordcoreano, 1952, fotografia

M. Bourke – White, Ispettore controlla un
appartamento di neri a Greensville, 1956, fotografia
Ma solo un anno più tardi, all’apice della sua carriera di fotoreporter, la sua vita cambiò radicalmente, vedendosi diagnosticata il Morbo di Parkinson. La malattia la limitò relativamente sul lavoro di fotografa, che comunque portò a termine sino al 1957, concentrandosi su reportage di spessore, riguardanti l’assetto sociale, come quello sulla segregazione razziale in South Carolina: gli scatti documentano la compresenza di famiglie bianche felici e umiliate serve di colore; o la sottomissione di famiglie di colore ai controlli dei bianchi.

M. Bourke – White, Afroamericana prepara una zuppa
per una famiglia bianca di Greensville, 1956, fotografia

Al 1963 quindi si deve la sua autobiografia Il mio ritratto, dal cui titolo di evince il ruolo primario avuto dalla fotografia nel corso della sua vita, e si ritira nella sua casa in Connecticut dove passerà gli ultimi anni della sua vita, sino al 1971, godendo di quella calma che quasi mai era appartenuta al suo vivere frenetico, anticipatore dei tempi. 

M. Bourke – White, Autoritratto sull’aeroplano “Peggy”, 1942, fotografia


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