La partenza dell’astronauta
Samantha Cristoforetti per lo spazio, ha destato in Italia un sentimento di
forte orgoglio nazionalpopolare, dettato dal fatto che la stessa è a tutti gli
effetti, la prima donna italiana ad aver lasciato il pianeta. Un’impresa
avvenuta durante la notte fra il 23 e il 24 novembre 2014 dal Cosmodromo di
Baikonur, a bordo della navetta russa Soyuz. La missione intitolata
"Futura" prevede infatti che la Cristoforetti rimanga in orbita per
ben sei mesi, in qualità di Flight
Engineer e membro dell'equipaggio della spedizione Iss 42/43.
Eppure ciò nonostante,
sui social network più seguiti è apparso in più riprese un sentimento
maschilista e di sdegno nei confronti dell’astronauta, offesa e denigrata per
il genere di appartenenza: “Secondo me ammacca la navicella alla prima
retromarcia”, “Chissà che raccomandazione c’è voluta”, “Ma non è una donna, sembra
un uomo”, “Ammazza che cesso di donna”, “Ma guardate che anche lassù c’è bisogno
di qualcuno che lavi, stiri, prepari il pranzo e lavi poi pentole e piatti..
per gli uomini”, sono stati solo alcuni dei numerosi commenti attestanti l’ignoranza
e il degrado di un paese che ancora non accetta la parità dei sessi.
Di conseguenza, nella
mia ricerca personale sulle donne che hanno scritto la storia della scienza,
delle arti o dello spettacolo nel corso dei secoli, (a tal punto invito a
leggere le svirgolettate su Rosalba Carriera, Sofonisba Anguissola, ArtemisiaGentileschi, Berthe Morisot, Vanessa Bell, Franca Rame e Mariangela Melato e
Marina Abramovic solo per citarne alcune), sono rimasto sconvolgentemente ammaliato
da una fotografia testimoniante l’attività di una grandissima fotografa del XX
secolo, Margaret Bourke – White, raffigurata nell’intento di immortalare il
panorama aereo di New York dall’alto di una delle caratteristiche aquile in
ferro che ornano gli angoli del Chrysler Building.
Margaret Bourke-White
ritratta su una delle aquile ornamentali del Chrysler Building a New York, 1931
|
Certo definire il
lavoro immenso attuato dalla fotografa americana in un articolo di blog non è
una cosa possibile, però potrebbe comunque risultare significativo ripercorrere
le tappe che hanno delineato la sua personalità artistica e professionale,
attraverso i suoi scatti.
Margaret Bourke –
White non nasce fotografa, anzi. Originaria di uno dei quartieri più
dimenticati di New York, nata il 14 giugno 1904, nel pieno dello sviluppo
urbanistico multiculturale della Big Apple, fu avviata agli studi di biologia,
probabilmente aiutata nella scelta, da suo padre Joseph, naturalista ed
inventore.
M. Bourke – White, Otis Steel Mill Pattern, Cleveland, 1928, fotografia |
Fu durante il college
che nacque la passione per la fotografia, derivante dall’aver seguito un corso
specifico. Una passione che la portò a definire la professione che l’accompagnò
per il resto della sua vita, quella dell’inviata fotografa per riviste di
tiratura mondiale come LIFE. Fu infatti Henry Luce, caporedattore del Time a
volerla con sé per la nuova rivista Fortune, dopo aver visionato alcuni dei
suoi scatti riguardanti il mondo dell’industria.
Un tema, quello della
fotografia industriale, che in un’America devastata dalla Depressione e dal consequenziale
New Deal Rooseveltiano, si rivelò essere oro nelle mani della giovane e bella
fotografa. Si veda la tecnica compositiva dello scatto del 1928, riguardante l’Otis
Steel Mill, fabbrica di Cleveland, in Ohio. Oltre che a rivelarsi un
importantissimo documento visivo degli interni della fabbrica, la composizione
è resa attraverso un contrastante gioco di chiari e di scuri, che evidenziano
le sagome di ganci, carrucole ed elevatori sospesi a mezz’aria in un’immenso
spazio indefinito che si apre nella parte inferiore a binari e conche.
Interessante è notare l’equilibro dato dalle linee parallele che scandiscono l’elevatore,
il gancio ed il contenitore in primo piano, che vanno a creare un gioco
geometrico di linee continue, spezzate dall’obliquità del secchio.
Margaret Bourke-White ritratta sull’impalcatura del Chrysler Building a New York, 1931, fotografia |
A pochi anni più
tardi, appartengono anche le succitate foto che ritraggono la signora della
fotografia sul Chrysler, a dimostrazione della temerarietà appartenente alla
passione quando questa si rivela valida. Proprio dalle fotografie che
documentano la fotografa all’opera, si evince infatti la dedizione di Margaret
Bourke – White, che non si abbandona alle paure pur di portare a termine il suo
compito: sull’aquila ornamentale del palazzo, piuttosto che su un’impalcatura
sospesa a mezz’aria, il suo compito era per lei di vitale importanza, talmente
vitale da mettere in gioco la sua stessa vita.
E finalmente nel 1936
arriva la svolta della Bourke – White: dopo aver collaborato con la rivista
Fortune per diversi anni, le viene affidata la copertina del primo numero dell’esordiente
LIFE, periodico di tiratura nazionale che avrebbe goduto di fama internazionale
per i decenni a seguire. La copertina in questione era una fotografia che illustrava
la diga finita di Fort Peck, in Montana, costruzione appartenente al programma
nazionale del New Deal fortemente voluto dal presidente Franklin Delano
Roosevelt, simbolo di un’America che finalmente si stava riprendendo dalla
crisi del ’29.
Copertina del primo numero
della rivista LIFE, 23 novembre 1936 |
M. Bourke – Diga di Fort Peck in Montana, 1936, fotografia |
M. Bourke – White, Lavoratori della Diga di Fort Peck in un bar, 1936, fotografia |
Una crisi che se sulla
carta politica pareva essere alla fine dei suoi giorni, su quella sociale
rivelava essere ancora una triste costante nel popolo, soprattutto quello degli
stati del sud Usa.
Nel suo reportage You
have seen their faces del 1938, la fotografa infatti, assieme al marito Erskine
Caldwell, testimoniò il dolore e la devastazione che la crisi aveva lasciato
nel cuore dei cittadini, di tutte le razze, età e ceti sociali: l’idea di certo
non fu innovativa, dato che negli stessi anni anche altri fotografi affermati
come Walker Evans, Doris Ulmann o Arthur Rothstein documentarono con le loro
foto gli stati d’animo e gli aspetti sociali derivanti dall’evoluzione storica
della Crisi, ma i suoi scatti senza dubbio rivelavano un sentimento raro da
catturare.
M. Bourke – White, Couple of Yazoo – Mississippi, (You have seen their faces, serie) 1937, fotografia |
La donna residente a
Locket, in Georgia, è un esempio di quanto detto: i suoi occhi rivelano tutta
la rassegnazione e la disperazione per quanto perso durante la Crisi, cosa ben
testimoniata nelle didascalie che completavano le foto del reportage, solitamente
citazioni dei personaggi raffigurati.
E i sentimenti
predominanti sono appunto la desolazione, la tristezza, l’umiltà e la dignità,
che rimane ferma nonostante tutto. Ma senza dubbio anche le attenzioni della
fotografa alla fisiognomica ed alla psicologia, si rivelano nei suoi scatti,
come per esempio nella coppia di Yazoo City, che racconta nelle rughe solcate
dei volti e negli sguardi persi, le incomprensibilità che caratterizzavano gran
parte di una società ancora analfabeta.
M. Bourke – White, Resident of Locket – Georgia, (You have seen their faces, serie), 1937, fotografia |
M. Bourke – White, Attacco dell’esercito nazista a Mosca, 1941, fotografia |
Con l’arrivo della
Seconda Guerra Mondiale, la Bourke – White tornò a ricoprire per
il LIFE la figura di inviata: in qualità di fotoreporter la donna nei primi
anni ’40 seguì in prima persona gli svolgimenti più significativi della guerra
nel continente; nel 1941, quando Mosca fu invasa dai nazisti, la donna
documentò l’impresa inviando alla testata gli scatti drammatici della
guerriglia in atto, fotografati da macchine appostate sui tetti dell’ambasciata
americana.
M. Bourke – White, Norimberga a guerra finita, 1945, fotografia |
E tornata in
madrepatria, determinata a voler raccontare agli americani le imprese eroiche dei
loro soldati, ottiene i permessi necessari – con l’intercessione dell’autorevole
testata giornalistica – di partire per il fronte orientale. Definita “Maggie l’indistruttibile”
dall’entourage del suo giornale, la fotografa seguì le truppe sul fronte
nordafricano prima e italiano dopo, raccontando non solo gli aspetti storici
della guerra, come gli assalti degli alleati al fronte italiano nel 1944, la
desolata Norimberga postbellica o l’abominevole scoperta del lager di Buchenwald dopo la sua liberazione, ma
anche quelli più intimistici.
M. Bourke – White, Assalto delle truppe alleate sul fronte italiano, 1944, fotografia |
M. Bourke – White, Lager di Buchenwald, 1945, fotografia |
M. Bourke – White, Aviatori
intenti a disegnare sull’aeroplano, 1942, fotografia |
Divertente e
patriottico è il reportage sugli aviatori cacciabombardieri, intenti a
disegnare vignette satiriche sulla lezione da impartire ai dittatori Mussolini
ed Hitler senza trascurare l’imperatore giapponese Hiroito; molto dolce è il
suo autoritratto sull’aeroplano militare “Peggy”, in cui in modo austero tiene
tra le mani il suo oggetto sacro, ferma in una posa professionale ma al tempo
stesso molto femminile, così come femminili erano le donne lavoratrici per la
patria, che documentò in alcuni scatti del 1943 nell’Indiana.
M. Bourke – White, vignetta satirica sull’aeroplano, 1942, fotografia |
M. Bourke – White, Donne
intente a lavorare nella Camegie Illinois Steel, Indiana, 1943, fotografia |
M. Bourke - White, Minatori
in Sud Africa, 1950, fotografia |
I reportage
sensazionali consegnati alla LIFE durante tutta la Seconda Guerra Mondiale, le
consegnarono indiscutibile notorietà nel settore, tanto che nell’immediato
dopoguerra tornò a lavorare su diversi fronti: nel 1946 in Pakistan ed India,
fotografò il Mahatma Ghandi poco prima che questi venisse assassinato, immortalandolo
nella sua solitudine all’interno del suo studio; ancora nel 1950 in Sud Africa
fotografò le terribili condizioni dei minatori d’oro scendendo con loro nelle
miniere con il rischio di trovarsi implicata in crolli o complicazioni e nel
1952 documentò la Guerra di Corea, attraverso scatti crudi che rivelavano le
atrocità di quel conflitto estremo: di forte impatto è la fotografia che vede
la testa mozzata di un guerrigliero nordcoreano in primo piano, tenuta dalla
mano di un soldato non catturato nell’immagine.
M. Bourke – White, Mahatma Ghandi nel suo studio, 1946, fotografia |
M. Bourke – White, Testa di guerrigliero nordcoreano, 1952, fotografia |
M. Bourke – White, Ispettore
controlla un appartamento di neri a Greensville, 1956, fotografia |
Ma solo un anno più
tardi, all’apice della sua carriera di fotoreporter, la sua vita cambiò
radicalmente, vedendosi diagnosticata il Morbo di Parkinson. La malattia la
limitò relativamente sul lavoro di fotografa, che comunque portò a termine sino
al 1957, concentrandosi su reportage di spessore, riguardanti l’assetto
sociale, come quello sulla segregazione razziale in South Carolina: gli scatti
documentano la compresenza di famiglie bianche felici e umiliate serve di
colore; o la sottomissione di famiglie di colore ai controlli dei bianchi.
M. Bourke – White,
Afroamericana prepara una zuppa per una famiglia bianca di Greensville, 1956, fotografia |
Al 1963 quindi si deve
la sua autobiografia Il mio ritratto, dal cui titolo di evince il ruolo
primario avuto dalla fotografia nel corso della sua vita, e si ritira nella sua
casa in Connecticut dove passerà gli ultimi anni della sua vita, sino al
1971, godendo di quella calma che quasi mai era appartenuta al suo vivere
frenetico, anticipatore dei tempi.
M. Bourke – White, Autoritratto sull’aeroplano “Peggy”, 1942, fotografia |
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