martedì 8 aprile 2014

La Trinità nella storia dell'arte, tra iconografia e simbolismo

Toccare alcune tematiche in ambito artistico non è cosa né facile, né tantomento racchiudibile in un post di millemila battute. Infatti, come mi è capitato di fare in altre occasioni (vedi articoli come La bruttezza nella figura femminile dell'arte, L'Angelico, il Sensuale ed il Bello nella figura femminile dell'arte e La danza nella storia dell'arte), quando affronto discorsi del genere, cerco sempre di tracciare indicativamente un percorso generico attraverso alcune opere che risultino esemplari, e sopperiscano la ovvia impossibile citazione di migliaia di loro pari per tema e impostazione.

Data la vicinanza alla Pasqua e dato che ultimamente ho rinfrescato un po’ la memoria circa la pittura di stampo religioso, mi incuriosisce non poco l’idea di provare a raccontare l’idealizzazione della Trinità nella storia dell’arte, attraverso le tre figure di Dio Padre, di Gesù e dello Spirito Santo, dato che in circa due millenni hanno visto nella loro concezione artistica trasformazioni, rivisitazioni e studi particolari.

Schema della Trinità
Filosoficamente la dottrina inerente alla Trinità non è di facile concezione: basti pensare che lunghe e complicate sono state le dispute riguardanti l’individuazione delle tre figure di Padre, FiglioSpirito Santo, tanto che solo a seguito del Concilio di Nicea del 325 e del Concilio di Costantinopoli del 381, si arrivò ad una definizione accettata dalla Chiesa: Dio è uno e trino, ossia Dio è uno solo perché unica la sua sostanza, ma essendo questa, comune sia nello Spirito Santo, che nel Padre, che nel Figlio Gesù, allora è anche trino: Padre, Figlio e Spirito Santo sono Dio, ma nessuno dei tre e uguale all’altro.

Sul piano artistico le prime avvisaglie della Trinità, ascrivibili ai primi secoli paleocristiani, non raffigurano la triade nelle figure ordinarie che la compongono: come evincibile dall’affresco della Trinità nel coro di San Vitale a Ravenna, l’iconografia lasciava adito alla raffigurazione di tre angeli seduti a tavola e non a caso. Infatti la riconduzione non è affatto casuale, ricordando l’apparizione che Abramo ebbe presso la quercia di Mamre; quasi come se quei tre angeli raffigurassero le tre figure della Trinità.

Sullo stesso piano, nei primi anni ’20 del Quattrocento e a ben diverse migliaia di chilometri di distanza, la stessa riconduzione iconografica riappare a Mosca, dove Andrej Rublev, raffigura in pieno stile bizantino ortodosso, i tre angeli seduti a tavola nella contemplazione del calice e dell’agnello (l’eucarestia), dal quale prende vita la quercia di Mamre (linfa vitale) e nello sfondo la Chiesa e la roccia.

Trinità, VI sec. mosaico,
Chiesa di San Vitale, Ravenna.
Andrej Rublev, Trinità, 1422, tempera su legno,
Galleria Statale Tret'jakov, Mosca.
 

Negli stessi anni invece nell’Europa che si affaccia al Rinascimento, si assiste ad un modo diverso di concepire la Trinità; un modo incentrato sulla resa umana della divinità. Singolare quindi, prima di procedere ad una serie di opere che ripropongono lo stesso inquadramento iconografico, appaiono l’affresco datato agli inizi del XIV secolo, della Trinità di Antonio Martini nel Duomo di Atri, che ripropone una visione del dogma attraverso la raffigurazione di un corpo umano munito di tre teste identiche e la Miniatura dell’Heures d’Etienne Chevalier della Trinità e tutti i Santi, di Fouquet, datato alla prima metà dello stesso secolo e raffigurante tre uomini identici su altrettanti troni, circondati da santi. 

A. Martini, Trinità, XV sec, affresco
Duomo di S. Maria Assunta, Atri.
J. Fouquet, Trinità e tutti i Santi, XV sec, miniatura
(Heures d'Etienne Chevalier),   Biblioteca di Chantilly. 

Masaccio, Trinità, 1426 - 1428, affresco,
Chiesa di Santa Maria Novella, Firenze.
Mentre a Firenze, nel 1426 – 28, Masaccio dipinge nella terza cappella di Santa Maria Novella, l’affresco della Trinità, che non si rifà in alcun modo né alla concezione veterotestamentaria di Ravenna o Mosca, né a quella del Duomo di Atri, ma riprende in pieno la definizione dei concili attraverso la raffigurazione simbolica ed antropomorfa delle tre figure. Ma non solo: a differenza dei casi precedenti, colloca questa, in un ambiente totalmente chiuso, una nicchia. Infatti la contemplazione avviene in un ambiente interamente chiuso, dipinto usando i nuovi giochi prospettici studiati qualche anno addietro, sino a creare uno scorcio architettonico così fortemente accentuato, da lasciare nello spettatore l’illusione che quella nicchia sia davvero profonda. Per il resto, tutto riconduce ad una sorta di pièce teatrale di stampo ieratico dislocata su più piani: in primo piano i due committenti dell’affresco, di profilo, intenti a pregare. A seguire, su uno scalino che li erge a santità, la Vergine e il San Giovanni, alla cui pari distanza da questi, svetta la Croce col Cristo crocifisso. alle spalle del Figlio quindi, vi è il Padre Eterno, (che nonostante l'avanzamento prospettico mantiene le stesse dimensioni del Figlio per indicare il fatto che sono fatti della stessa sostanza) e tra loro, la colomba, a simboleggiare lo Spirito Santo.

A. Previtali, Trinità con Sant'Agostino e il Beato Giorgio da Cremona,
1517, olio su tavola, Chiesa di San Nicola, Almenno San Salvatore
Stessa ambientazione viene quindi data alla Trinità da parte di molti artisti, che in una visione rinascimentale della trasposizione storica, relegano le tre figure divine in ambienti cinquecenteschi e le vestono con drappi e tuniche del momento: uno su tutti il Previtali, che disloca la sua Trinità con Sant'Agostino ed il Beato Giorgio da Cremona in una stanza con soffitto a travi di legno, coperta a mezz’aria da un drappo rosso, da cui spunta quel che ne rimane delle due monofore vetrate. In un gioco altamente simmetrico, al centro della pala si erge una piramide a scalini ottagonali, alla cui cuspide il Padre in un’espressione fortemente ieratica regge la croce col Figlio, seguito in altezza dalla colomba dello Spirito Santo. Ai lati in adorazione Sant’Agostino e il Beato Giorgio da Cremona, mentre a spezzare la simmetria ci pensa la tiara papale sulla sinistra. Una simmetria riscontrabile ancora, se non più accentuata, nella pala della Trinità con Angeli del Vivarini, che colloca i due angeli adoranti su sfondo dorato in modo da far seguire alle ali di questi lo stesso andamento della calotta, e fa nascere dalla barba del Padre assiso in trono frontale, che sorregge il Figlio crocifisso, la colomba dello Spirito Santo.

B. Vivarini, Trinità e Angeli, 1488, tempera su tavola,  Accademia Carrara, Bergamo. 

A. Durer, Adorazione della Santissima Triintà, 1511, olio su tavola,
Kunsthistorisches Museum, Vienna.  
Una regola che però non trova accoglimento ovunque e con chiunque: infatti sempre nel XVI secolo alcuni artisti aprono alla Trinità la via del cielo. Uno fra tutti Albrecht Durer che nella sua Adorazione della Santissima Trinità, disloca nel cielo le tre figure del Figlio in croce sorretto dal Padre re del cielo e della terra, nel suo manto regale e corona d’oro, e dalla vigilante colomba dello Spirito Santo, e ancora, le attornia di decine e decine di santi, beati e angeli, in un tripudio di esaltazione del divino.

Un cielo sicuramente più limpido, cangiante e brillante, di quello incipriato ed ovattato del fiammingo Hendrick van Balen, che in pieno Seicento, rappresenta la sua Trinità nella fastosità di un cielo coperto di Angeli, la cui luce infinita è data dal rosso crudo del drappo di Gesù, sacrificatosi per la salvezza dell'Umanità, dall'oro accecante della veste di Dio e dall'irradiamento divino che scaturisce dalla candida colomba. 


H. van Balen, Trinità, 1620, olio su tavola, Sint - Jacobskerk, Anversa
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2 commenti:

  1. Senta ho altro da fare che pigliare a ribattere a Lei, resta il problema che in google Lei è ben piazzato con tutti i danni alla conoscenza con un minimo di connessione nel senso della responsabilità storica (nani sulle spalle di giganti se ne scendiamo troppe cose, banalmente, riuscirebbero immediatamente più difficili e critiche) che le sue sparate approssimative tra svarioni e saltoni possono causare. Giusto per (io ammetto di non essere esperto ma almeno non faccio in rete osservazioni così sbagliate): il Dio Padre vecchio barbuto è rappresentazione di molto antica, mi resta da tracciare quanto pre-romanica e romanica, di certo era di gran moda nel gotico, e via di gratuità angosciose, ma cosa si può fare con gente come Lei.

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    1. O con gente come Lei, che evidentemente spinto da spirito di critica a priori, non è stato neanche minimamente attento al tema affrontato, che Le ricordo non essere l'iconografia di Cristo, ma l'iconografia della Trinità.
      Ad ogni modo sono sempre propenso a assimilare le critiche, ma solo quando sono costruttive. In questo caso faccio molta fatica a capire il punto critico. Saluti.

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