martedì 22 aprile 2014

Frida Kahlo: il dolore, la fierezza, la bellezza.

Frida Kahlo, in una foto del 1939, copertina di un
numero del Vogue Magazine francese di quell'anno.
Raccontare di una personalità così forte tanto da divenire un’icona per le donne di tutto il mondo quale Frida Kahlo, non è impresa facile, eppure negli ultimi anni questa artista messicana artisticamente prolifica a partire dalla seconda metà degli Anni ’20, ha subito un riconoscimento mediatico d’eccezione, sicuramente spinto dalla pellicola Frida, in cui la stessa è stata interpretata magistralmente da Salma Hayek.

Tant’è vero che proprio in questa prima metà del 2014, la nota artista surrealista è in mostra alle Scuderie del Quirinale a Roma (20 marzo – 31 agosto), mentre i suoi dipinti sono conservati in musei e gallerie d’eccellenza quali il MoMA o il Metropolitan Museum of Art, che appunto la relegano tra i maestri della storia dell’arte contemporanea.

F. Kahlo, Autoritratto con vestito di velluto,
olio su tela, 1926, Banco de México Diego Rivera
 & Frida Kahlo Museums Trust, Mexico D.F.
Una storia per nulla facile, quella di Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderòn, chiamata da tutti semplicemente Frida, perché per nulla semplice e scorrevole fu la sua vita: già nata con la spina bifida nel 1907, ben tre anni prima della Rivoluzione Messicana di cui andava così fiera da sentirsene figlia (per questo motivo mentiva sulla data di nascita posticipandola appunto al 1910), all’età di 18 anni fu vittima di un incidente così catastrofico da cambiarle totalmente la vita: trovatasi su un autobus che si scontrò contro un tram a Coyocàn, città nei pressi della Città del Messico, dov’era nata e cresciuta, subì la frattura della colonna vertebrale, del femore e delle costole, e dell’osso pelvico, oltre a numerose lussazioni e slogature al piede e alla spalla. Ma il colpo fatale le fu dato da un’asta corrimano che staccandosi dall’autobus le si conficcò nel fianco, per poi uscire dalla vagina, cosa che le provocò più di una trentina di interventi chirurgici e diversi anni di riposo a letto.

Frida Kahlo e Diego Rivera nel 1931, 
ad una manifestazione della Croce Rossa.
E come accadde per i migliori artisti come Modigliani o Matisse, fu proprio la degenza ad avvicinarla a colori e tavolozza. Il connubio tra la voglia di raccontarsi e di lasciare una parte di sé agli altri, il talento per la pittura e la curiosità di riscoprirsi attraverso gli autoritratti, portarono i genitori di Frida quindi a regalarle un kit di pittura e ad installarle sul letto uno specchio in modo che ella potesse adempiere al suo piacere senza necessariamente fare alcuno sforzo: ad oggi affascinano gli autoritratti ed i ritratti del biennio 1925 – 1927, molto delicati nelle tonalità e nella resa: l'Autoritratto con vestito di velluto del 1926, è infatti un gioco di tonalità sobrie e linee sinuose, che consegnano all'artista quella sensualità di cui non poteva godere fasciata e sofferente com'era, ma utile affinché il destinatario di quella tela, tal Alejandro Gomez Arias, potesse immaginarla in quel modo.

Un fascino che però esulava dalla presenza di un qualunque vezzo della Kahlo, che, piuttosto che puntare sulla bellezza, poneva le basi della sua artisticità e della suo pensiero morale sulla bellezza mentale: una bellezza magnetica nonostante o per via (chi lo sa) del suo monociglio, capace attraverso lo sguardo fermo e fiero, di affascinare grandi personalità politiche e letterate, che trascinate dal suo eclettismo, si concedevano a lei in qualità di amanti. 

F. Kahlo, Autoritratto con collana di spine e colibrì,
1940, olio su tela, Nickolas Muray Collection,
University of Texas, Harry Ransom Center, 
Austin
Primo fra tutti il noto artista connazionale Diego Rivera, che non solo l’avviò ad una conoscenza approfondita ed un attivismo di fondo del Partito Comunista (essendo egli stesso muralista ed artista inneggiante alle tematiche politiche e comunitarie messicane), ma che addirittura la sposò nel 1929: un matrimonio tanto intenso quanto libertino; se da un lato infatti Diego si lasciava andare a tradimenti anche sin troppo poco nascosti, Frida si concesse non di rado ad esperienze saffiche.
E fu proprio il tradimento di Diego con Cristina, sorella di lei, che spinse Frida prima a divorziare da lui nel ‘39, per poi riaccoglierlo tra le sue braccia l’anno a seguire; cosa che comunque non placò i numerosi tradimenti: celeberrimi sono quelli di Frida con Lev Trockij e André Brèton, ammaliati dalla fortissima personalità della donna.

Una peculiarità sicuramente interessante alla vista del continuo ed imperterrito travaglio della donna e della sua noncuranza assoluta per ogni forma di beltà: due elementi che ben si sposano nel suo percorso artistico, che fa trapelare la prorompente forza caratteriale di Frida, ma anche il suo disagio fisico, il persistente dolore, l’abbandono seguito ai lutti importanti come quello dell’amante Trockij nel 1940 o dei tre feti che portò in grembo – morti tutti per un aborto spontaneo -  tra il 1930 ed il 1934.

Infatti se nei primi anni del suo operato le sue tele sono connotate da un forte ego manifestato attraverso i suoi autoritratti dallo sguardo fiero, e dalla consapevolezza del suo valore in quanto individuo e non in quanto donna nel suo ruolo, (mostrando altresì un forte legame alle tradizioni ed al nazionalismo messicano negli ambienti, negli abiti e negli animali affiancati), negli anni ’30, maturata in una consapevolezza dettata dalle vicende legate alla sua vita ed al perenne dolore fisico, si apre ad una sorta di Surrealismo atipico, dove a farla da padrona è proprio la visione concreta del suo dolore.

F. Kahlo, Le due Fride, 1939, olio su tela,
 Museo di Arte Moderna di Città del Messico.
Ed ecco che nell’ultimo venticinquennio della sua vita, (Frida muore a 47 anni, nel 1954) fioccano tele che raccontano la voragine creata dal suo dolore, mai incessante, sempre colmato da alcolici ed oppiacei: Senza speranza, del 1945, è lo sputo crudele al mondo di ogni suo male: un grido taciturno di una donna immobile, intrisa di tutta quella negatività che si accumula nel corso di un’intera vita, simboleggiata da animali morti, marci e decomposti. O sulla stessa lunghezza d’onda, Le due Fride del 1939 e La colonna spezzata del 1944, raccontano la sua convivenza con l’atroce dolore fisico, in cui il cuore irrora sangue che si sparge sui vestiti e la colonna vertebrale diventa una colonna romana, rigida, ferma e spezzata in più parti e rattoppata coi chiodi, un po’ come lei, costretta a gessi e busti per tutta la vita, tanto che morirà in seguito ad una gamba in gangrena.


F. Kahlo, La colonna spezzata, 1944, olio su tela,
 Fondazione Dolores Olmedo, Città del Messico.

F. Kahlo, Senza speranza, 1945. Olio su tela,
 Museo Dolores Olmedo, Città  delMessico.




Ma forse il dolore più grande provato è quello seguito ai tre aborti, raccontati diverse volte con quella crudezza tipica della sua arte, che la raffigura in più riprese nuda nell’atto sfiancante di partorire se stessa, o come in Henry Ford Hospital, nel momento dell’abbandono, quel momento così triste e cupo di quando lei, simbolicamente legata al suo bambino mai nato tramite un filo sottile condiviso con altri cinque elementi tra cui un fiore ed il suo bacino, resta lì, ferma e muta nel suo dolore, come ha sempre fatto nella sua vita, ma non così fiera, da non lasciarsi andare ad una lacrima di addio. 

F. Kahlo, Henry Ford Hospital, 1932, olio su tela, Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust, Mexico D.F. 

Nessun commento:

Posta un commento