lunedì 8 luglio 2013

Marina Abramovic e la performance interlocutoria

Premetto che questa svirgolettata proverò a trattarla con le pinze, perché per quanto da storico dell’arte dovrei essere preparato a saper narrare l’aspetto psicofisico della performance, ammetto che le performances di Marina Abramovic non sono tra le più chiare e semplici da effettuare e da raccontare.

Dico questo, perché le sue performances si discostano dal rendere un chiaro messaggio, tipico delle rappresentazioni gestuali degli anni andati, come quella di Acconci o Beuys, o quella di artisti celeberrimi (addirittura premi oscar) dei giorni nostri come Tilda Swinton; l’artista che tratterò ha una sua idea precisa della performance, che si discosta da quella di qualunque altro suo pari.
E in fondo è anche giusto vedere sotto questa prospettiva l’arte: il vero artista è individuo, la sua arte è originale e discostabile da quella dei suoi consimili.

Marina Abramovic
Per chi non conoscesse Marina Abramovic, questa è una performer contemporanea, nata a Belgrado nel 1946, da genitori montenegrini. Come ella ha ammesso in diverse interviste ufficiali, il paese di nascita e la storia circoscritta ad esso ha caratterizzato il suo essere, permettendole di acquisire quella giusta dose di disciplina e freddezza utile alla sua formazione psicologica.

Grande impatto hanno sicuramente avuto i suoi genitori. Nel film documentario che prende il suo nome, diretto da Matthew Akers nel 2012, Marina racconta di una mamma assente, fredda, vuota ma nazionalista. 

Una mamma “partigiana”, legata al suo paese e presente sul lato militante, ma assente sul piano affettivo. Una mamma che le ha negato carezze e baci per non viziarla. Probabilmente è stata questa mancanza di attenzioni che le ha permesso di lavorare su se stessa sino a spingere la sua figura al limite, sino a cercare l’attenzione nella performance, nel grido espresso dal fisico, sino a cercare l'attenzione nell'interlocutore delle sue performance e renderlo performer anche'esso.

La sua performance tipo tende a svelare attraverso la fisicità e la mutilazione, se e quando necessaria, la potenza sottovalutata della psiche e l’attenzione sopravvalutata al dolore fisico. Un chiasmo che va a ledere le convinzioni umane che solitamente fanno prevalere il secondo elemento sul primo: performances come Rhythm 10, del 1973, in cui l’artista eseguiva un atipico rituale con venti coltelli, passandoli tutti, uno alla volta, freneticamente tra le dita finché inevitabilmente non si tagliava. E allora si cambiava coltello e si tentava di non ripetere l’errore già commesso, così da non ripetere lo stesso taglio. E al nuovo taglio, nuovo coltello, sino a usarli tutti per un totale di venti coltelli.

M. Abramovic, Thomas Lips, 1975,
performance, Krinzinger Gallery, Innsbruck
O come Thomas Lips, del 1975, in cui la performer arrivò a mutilarsi il ventre con una lametta disegnandoci su una stella a cinque punte, per poi distendersi su una croce composta di spessi cubi di ghiaccio, mentre un getto d’aria bollente mirato al suo ventre, le faceva sanguinare la ferita.

In quell’occasione la performance aveva duplice valenza: era un rito di purificazione e autopunizione per i peccati commessi (azzardo) dall’umanità e un invito al dialogo con gli spettatori, gli stessi che la trascinarono coercitivamente da quel blocco di ghiaccio che le stava congelando il corpo e che facendo ciò dimostrarono di accettare il suo dialogo.

M. Abramovic, The Artist is Present, 2010, performance,
MoMA, New York

Nominando le restanti sue celeberrime performance, il trittico Freeing The Body, Freeing The Memory, Freeing The Voice (tra il 1975 ed il 1976), Dragon Heads (1990), The Abramovich Method (2012), mi soffermo su una delle più recenti e decisamente interessanti dell’artista: Marina Abramovic – The Artist is Present, una retrospettiva tenutasi al MoMA di New York, dal 1 marzo fino al 31 maggio 2010.

L’allestimento sobrio e scarno – un tavolo ligneo con due sedie frontali, inquadrate in un perimetro delimitato agli angoli da riflettori, lasciava che tutti gli occhi fossi impuntati sull’artista serbo montenegrina, che per 700 ore, (sette giorni su sette, per tre mesi, per sette ore e mezza ogni giorno), restava incollata alla sedia, con gli occhi rivolti verso chiunque si sedesse al suo cospetto.

M. Abramovic, The Artist is Present. 
Nessuna regola scritta; a chiunque era permesso di agire come voleva, ma nel pieno rispetto della persona dell'Abramovic, evitando nudi (una ragazza durante la performance è stata allontanata dopo essersi denudata) e contatti fisici. Marina Abramovic avrebbe accolto chiunque con il suo senso di quiete e serenità, infondendo la sua armonia nell’interlocutore frontale.

E le sfide sono state tante, conteggiando un afflusso di circa 11.000 – 15.000 persone in media al giorno. Molti hanno riso, molti hanno pianto, quasi sollevati da quello sguardo che non giudica e redime. Una sfida continua, che l’artista dall’alto dei suoi (allora) 64 anni ha pienamente vinto, dimostrando e confermando ancora una volta di che pasta è fatta.

L’armonia con il proprio corpo e la propria psiche, l’attitudine a conoscere se stessi, a superare i propri limiti e non arrendersi davanti a nessuna sfida. Questa è la filosofia di Marina Abramovic, questo è il suo insegnamento. Senza dubbio elitario e difficile da imitare, ma decisamente originale; così originale da fare di lei, la più quotata e accreditata esponente della performance art attuale.


4 commenti:

  1. Il video che hai scelto, l'incontro con Ulay, suo ex compagno e artista anche lui, è commovente! Gli sguardi che si scambiano dicono tutto e il pianto rafforza il loro legame: bellissimo!
    La mia performance preferita dell'Abramovic è proprio quella di Bologna, quando con Ulay costringevano le persone a passare attraverso la porta dove loro erano immobili e nudi, stupendo!
    Bravo Dario, bell'articolo! ;-)

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  2. Silvia, la stessa cosa l'hanno riproposta durante la performance al MoMA, però dato che la Abramovic era impegnata nella performance,alla postazione c'erano altri due performers nudi.
    Ti ringrazio del complimento, spero di esser riuscito a raccontare per alcuni versi una performer senza dubbio complessa.

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  3. Bella performance. Io ho visto il documentario che hanno prodotto per raccontare della retrospettiva al MoMA... Molto istruttivo...

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  4. Roberto ho visto lo stesso documentario. E' stato questo che mi ha dato lo stimolo a scrivere la suddetta svirgolettata. Concordo con te, è stato davvero molto istruttivo.

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