venerdì 19 luglio 2013

1913 - 2013: due furti a confronto a distanza di un secolo.

P. Picasso, Testa di Arlecchino, 1971,
olio su tela, rubato al Kunsthal, Rotterdam
Leggendo la notizia su diverse testate giornalistiche, ho dato di matto. Insomma, non sapevo se ridere per la beffardaggine di quanto riferito da Londra, o rammaricarmi immensamente lasciando sfogo a quello strascico di misantropia, che in virtù di questa ennesimo fatto di cronaca ha ragione di esistere.

Il fatto è presto detto: nell’ottobre del 2012, sette quadri di valore inestimabile (per quanto siano stati stimati tra i 100 ed i 200 milioni di euro, sul piano storico-artistico non è possibile quantificare la loro importanza) furono rubati in piena notte, dal museo Kunsthal di Rotterdam. Tra i capolavori sottratti configuravano la Testa di Arlecchino di Pablo Picasso, la Donna che legge di Henri Matisse e Waterloo Bridge di Claude Monet, oltre a Donna con gli occhi chiusi di Lucien Freud.

A quasi dieci mesi di distanza, un gruppo di investigatori in Romania è giunto ad individuare nell’abitazione di una donna rumena, Olga Dogaru, la sede in cui sarebbero stati custoditi quei sette dipinti, essendo questa la madre di uno degli incriminati per il furto delle opere. Forte è stato lo sgomento di questi quando durante la perquisizione hanno riscontrato tracce di vernice e lembi di tela, nel forno di casa Dogaru.

H. Matisse, Donna che legge, 1919, olio su tela,
rubato al Kunsthall Museum, Rotterdam
La donna interrogata, ha confermato agli inquirenti la triste verità, ammettendo di aver dato alle fiamme i dipinti per eliminare le prove che potevano incastrare il figlio; gesto che le costerebbe una pena esemplare per crimini contro l’umanità.

Di sicuro non è la prima volta che un museo sia stato soggetto a furti; basti ricordare il caso forse più eclatante, quello che vide come protagonista la Gioconda di Leonardo da Vinci, custodita al Louvre di Parigi.
Il furto della Gioconda (Ritratto di Monna Lisa Gherardini – chiamata Gioconda in quanto moglie di Francesco del Giocondo),  avvenne la notte tra domenica  20 e lunedì 21 agosto  1911.

In quell’occasione, dopo aver accusato Guillaume Apollinaire prima e Pablo Picasso poi, per le loro idee a riguardo dell’arte,  (il primo aveva un movente non indifferente avendo più volte dichiarato che se ne avesse avuto le facoltà avrebbe volentieri distrutto i capolavori di ogni sorta di museo per lasciar posto all'arte nuova), la realtà ripiegò verso altri aspetti meno nobili della rivendicazione artistica.

Il numero de La Domenica del Corriere,
che illustrava l'ipotetico furto de' La Gioconda
Le motivazioni del furto infatti, non erano da ricercarsi in una rivendicazione del senso artistico tipico di Apollinaire, ancor più che di Picasso, quanto nella rivendicazione nazionale del dipinto in questione: Vincenzo Peruggia, ex impiegato del museo, nativo di Luini, era da sempre convinto che la Gioconda fosse stata uno dei tanti trofei requisiti durante le campagne Napoleoniche in Italia e ricondotti in Francia. Per questo l’aveva sottratta dalla teca e l’aveva custodita presso varie pensioni francesi ed italiane sotto al letto e appesa in cucina.

La risoluzione del caso fu dovuta nel 1913, all’antiquario Alfredo Geri ed al direttore degli Uffizi di allora, Giovanni Poggi, solo in parte per loro merito: fu lo stesso Peruggia che contattò l’antiquario per vendergli la Gioconda; il Geri quindi avvisò il Poggi e insieme si recarono al luogo dell’appuntamento per verificarne l’autenticità.

Una vicenda dal retrogusto romantico e nazionalista, (che forse per alcuni versi permise di giustificare il gesto dell’ingenuo patriota italiano), molto lontana da quanto accaduto ai dipinti rubati a Rotterdam. Lontana per il lieto fine del primo caso e per la triste conseguenza del secondo; lontana per la motivazione ideologica e sentita del furto della Gioconda, se paragonata al movente del furto dei sette quadri, prettamente lucroso.
Ma d'altronde, dando ragione a quei nostalgici di epoche mai vissute, allora erano altri tempi. 

Leonardo da Vinci, Monna Lisa, 1503 - 1517,
olio su tavola, Museo del Louvre, Parigi


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