Spinto dalla curiosità
irrefrenabile di capire cosa si nascondesse dietro un film che mia mamma,
nativa di Minervino Murge, mi ha sempre raccontato con occhi da sognatrice sin
da quando avevo pressappoco sei anni, in una quieta e piovosa serata ottobrina,
mi son dato alla visione de’ I basilischi.
Locandina de' I Basilischi. |
Il film, che vede la
prima regia di Lina Wertmuller, la stessa che per intenderci ha girato
capolavori come Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto con
la da me tanto amata Mariangela Melato, fu girato infatti in massima parte
proprio nel paese nativo di mia madre, oltre che nei comuni di Spinazzola e
Palazzo San Gervasio, dal quale proveniva la famiglia paterna della stessa
regista.
La trama è chiara e
piacevole da seguire, per quanto devo ammettere che la forzata cadenza
attribuita agli attori, poco mi abbia convinto: non è facile mantenere gli
equilibri per evitare che uno dei dialetti più divertenti e simpatici d’Italia
diventi una macchietta; in questo la Wertmuller a mio parere non è riuscita nell'intento, ma si sa, nel
1963, anno in cui fu girato I basilischi, probabilmente c’era sul territorio
nazionale una diversa consapevolezza del dialetto meridionale.
In un sunto tipico dei
siti che analizzano i film attraverso schedature, la storia del lungometraggio
racconta della vita di tutti i giorni che si svolge nel tipico paesino pugliese
dell’entroterra nord-barese: la sacralità della pennichella nella controra, lo
scandalo di un matrimonio rotto ancor prima dell’abrogazione del referendum sul
divorzio, la diffidenza verso la parità sessuale in campo medico e lavorativo,
fanno da cornice alla storia dei sue principali protagonisti, Antonio e
Francesco.
Due giovani, con due
sogni differenti, nati e vissuti tra il circolo politico ed i viottoli, le
strade, le contrade e le ardite e dolci scalinate tipiche del Balcone delle Puglie, Minervino Murge: Antonio, nato figlio di un padre, notaio del paese, che a sua volta
era figlio di suo padre, anch'egli notaio del paese al tempo che fu, il cui destino è già segnato nel
dover intraprendere le redini dell’attività di famiglia e Francesco, figlio di
piccoli proprietari terrieri, ragioniere e aspirante politico.
Lina Wertmuller nel film |
Ma verso la fine la
quadra del film sembra risolversi con la partenza di Antonio alla volta di
Roma, ospite dei suoi zii ormai residenti nell’Urbe da decenni, nella speranza
che questo riesca a cambiare il suo status civile e sociale. Anche Francesco
sembra aver individuato il sentiero da percorrere, cercando di convincere anche
la società bene del paese ad investire nel suo progetto. Ma con la morte di
Donna Rosa, una delle signore conosciute da tutto il paese, Antonio tornando all’ovile
con la corriera, per partecipare al funerale, si ricongiunge all’amico Francesco.
E ognuno di loro si
compiace di quanto è riuscito a creare: Antonio, nel suo abito di sartoria e nelle sue calze lunghe, racconta di una Roma
meravigliosa, quella della Dolce Vita e del boom economico, nella quale tornerà
a vivere dopo aver cambiato l’iscrizione dall’Università di Bari a quella de La
Sapienza; Francesco non è da meno, raccontando all'amico i provvisori risultati della sua
impresa.
Ma è l’epilogo finale
che nasconde la verità; un epilogo meraviglioso che merita di essere trascritto
per intero, perché dopo cinquant'anni è attuale nella mia terra, perché dopo cinquant’anni
racconta anche la mia storia, che è quella dei miei coetanei laureati sotto
false speranze, che forse non hanno i mezzi, o la volontà, per partire e fare
il grande passo e che dopo “aver scoperto il mondo” tornano a casa pieni di
speranze e voglia di fare, carichi di vita, finché la realtà, non gliela spegne
piano piano:
“Se stai a da’ retta
agli altri nun te movi cchiù, dice Antonio. E dice ca lui subito se ne vuole
andare a Roma. Ma quando la sveglia ha suonato la mattina alle sei, che doveva
andare a Bari pe’ spostare l’iscrizione all’Università, lui, si è voltato dall’altra
parte. Ha rimandato. Domani! Poi domani, poi domani, e intanto continua a raccontare
di Roma, delle donne.. quella co’ la catena d’oro intorno alla vita, quella co’
la parrucca e gli occhiali di brillanti; la bionda che beveva; la bruna che lo
voleva lanciare nel cinema.. Le favole! Parla, parla; tanto che non partirà più
tutti l’hanno capito. E pure lui, perché? Eh! Ci u’sape! Po’ esse che ad
Antonio ci manca qualche cosa, o forse ci manca a tutti noi, ed è per questo
che la vita nostra passa e facciamo così poco. Così poco. Oppure, può esse’ che
facciamo quelli che la razza e il clima e il luogo e la storia hanno voluto che
fossimo, come dice quel grand’uomo del sud. Bah. Antonio continua a parlare di
Roma; Francesco continua a parlare della cooperativa, eh! E Roma e la
cooperativa sono diventati solo un argomento pe’ chiacchiera’, perché qua si chiacchiera
tanto. Si chiacchiera.. si chiacchiera.. Ecco qua”
che coincidenza il nome del protagonista.. ;)
RispondiEliminaHai capito? :)
RispondiEliminaChiunque tu sia.