Avevo non più di sette
anni, quando partecipai alla mia prima mostra da espositore, che al tempo che
fu si tenne nel da poco aperto museo di Palazzo Sinesi a Canosa di Puglia.
Il tema comune di ogni
scolaresca partecipante era la raffigurazione dei diversi monumenti del nostro
territorio, attraverso diverse tecniche pittoriche, cromatiche e lineari: io
allora avevo esposto la mia rivisitazione dell’Arco di Traiano, una porta
romana del II secolo dc, che sorge laddove in in epoca romana si sviluppava la
Via Traiana, dalla quale ha preso quindi il nome.
Arco di Traiano, II secolo d.C., Canosa di Puglia. |
Ed in tutto questo ricordo
molto bene un particolare legato ad una domanda fattami dalla maestra, che
incuriosita dalla mia scelta azzardata dei colori mi chiese: “Dario, ma perché hai
colorato le piante ed i palazzi con i colori inventati?”. A quel quesito risposi
con la mia visione dei fatti: “Maestra
le piante erano tutte uguali ed i palazzi neri, grigi e bianchi. Almeno li ho
colorati un po’!”.
Quella che allora fu la mia filosofia di
pensiero, è riscontrabile da sempre nel pittore più rappresentante del Fauvismo, Henri
Matisse, un artista riconosciuto dai più, quale esecutore di opere alquanto
semplici e facilmente riproducibili, molto spesso previa considerazione o
totale ignoranza del fatto che il suo modo di dipingere altro non era che un
costante studio, spesso disperato, della pittura, del colore e della
composizione, secondo ferree regole accademiche.
H. Matisse, Armonia in rosso, 1908, olio su tela, Museo Ermitage, San Pietroburgo |
Inquadrare Matisse
senza far riferimento alle sue origini ed alla sua famiglia non è cosa
consigliabile né tecnicamente possibile, perché, furono proprio questi due
fattori ad indurre l’artista verso la pittura che gli avrebbe dato riconoscibilità.
Nato il 31 dicembre 1869 a Le Cateau Cambrésis, in Francia, crebbe a Bohain en
Vermandois, tra le spezie e le sementi smerciate dai genitori e le stoffe
colorate e decorate, di cui il paese era uno dei maggiori produttori.
Due elementi, il
colore e la decorazione, che da subito fecero parte del repertorio di
riconoscimento del pittore dai tratti fiamminghi, che dopo essere stato allievo
di Bouguereau e Moreau, si discostò dalla loro tecnica pittorica per inseguire
una linea più chiara, decisa e semplice, che creasse armonia nello spettatore
del quadro, perché sicuro di non dover incappare in alcuna competizione di
bravura; nonché un colore più acceso, brillante e vibrante, che raccontasse l’essenza
del dipinto non visibile al solo potere degli occhi.
H. Matisse, Vista di Colliure, 1905, olio su tela, Museo Ermitage, San Pietroburgo. |
La decorazione, così
come la ricerca della luce, sono i due punti fermi di Matisse dei primi anni:
mentre il primo è un mezzo ossessivo di riconoscimento, che rendeva i suoi
quadri composti in studio, esageratamente asfissianti tra tovaglie, stoffe,
tende e mobilio decorato, la seconda era la costante angoscia del pittore che
da Nizza a Colliure, da Parigi al Marocco, sperimentò sempre i giochi di luce
delle albe e dei tramonti, cercando in quei raggi quanto di più simile alla sua
pace interiore.
Una premessa, quella
dettata dal decorativismo e dalla resa cromatica della luce, che lasceranno
spazio al fauvismo vero e proprio, non solo nei paesaggi, - per cui
effettivamente la distesa di terra in primo piano nella Vista di Colliure non sarebbe mai potuta apparire rossa, e a chi gli chiedeva spiegazioni, rispondeva con un chiaro e coinciso “Io la vedo rossa” –
ma anche nelle restanti composizioni, sia umane che d’interni, che nature
morte.
H. Matisse, Donna con cappello, 1905, olio su tela, Museo Ermitage San Pietroburgo. |
Un movimento che soprattutto in Matisse corrispondeva all’idealizzazione
dell’opera d’arte nella sua completezza, per cui il colore non può scindere dalla composizione ma può solo condurre al
senso di armonia finale; un pensiero ben descritto nella risposta data a chi,
chiedendogli come mai il cappello della Donna con il cappello, fosse di mille
colori, lo pose nella situazione di dover asserire: “E’ semplicemente un
cappello nero”.
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