giovedì 3 ottobre 2013

Henri Matisse e l'armonia del colore

Avevo non più di sette anni, quando partecipai alla mia prima mostra da espositore, che al tempo che fu si tenne nel da poco aperto museo di Palazzo Sinesi a Canosa di Puglia.
Il tema comune di ogni scolaresca partecipante era la raffigurazione dei diversi monumenti del nostro territorio, attraverso diverse tecniche pittoriche, cromatiche e lineari: io allora avevo esposto la mia rivisitazione dell’Arco di Traiano, una porta romana del II secolo dc, che sorge laddove in in epoca romana si sviluppava la Via Traiana, dalla quale ha preso quindi il nome.

Arco di Traiano, II secolo d.C., Canosa di Puglia. 
In quell’occasione, il mio Arco di Traiano su foglio di album Fabriano F4, stonava con gli altri realistici dipinti su carta: mentre tutti avevano riprodotto un disegno alquanto veritiero non solo nella copia ma anche nella cromia, io mi ero lanciato in vere e proprie acrobazie del colore, dipingendo le piante che attorniano l’arco non solo di verde, ma anche di giallo, fucsia ed arancione, ed i palazzi sullo sfondo in collina, di blu, rosso, rosa, bordeaux, verde e turchese.

Ed in tutto questo ricordo molto bene un particolare legato ad una domanda fattami dalla maestra, che incuriosita dalla mia scelta azzardata dei colori mi chiese: “Dario, ma perché hai colorato le piante ed i palazzi con i colori inventati?”. A quel quesito risposi con la mia  visione dei fatti: “Maestra le piante erano tutte uguali ed i palazzi neri, grigi e bianchi. Almeno li ho colorati un po’!”.

Quella che allora fu la mia filosofia di pensiero, è riscontrabile da sempre nel pittore più rappresentante del Fauvismo, Henri Matisse, un artista riconosciuto dai più, quale esecutore di opere alquanto semplici e facilmente riproducibili, molto spesso previa considerazione o totale ignoranza del fatto che il suo modo di dipingere altro non era che un costante studio, spesso disperato, della pittura, del colore e della composizione, secondo ferree regole accademiche.

H. Matisse, Armonia in rosso, 1908, olio su tela,
Museo Ermitage, San Pietroburgo
Inquadrare Matisse senza far riferimento alle sue origini ed alla sua famiglia non è cosa consigliabile né tecnicamente possibile, perché, furono proprio questi due fattori ad indurre l’artista verso la pittura che gli avrebbe dato riconoscibilità. Nato il 31 dicembre 1869 a Le Cateau Cambrésis, in Francia, crebbe a Bohain en Vermandois, tra le spezie e le sementi smerciate dai genitori e le stoffe colorate e decorate, di cui il paese era uno dei maggiori produttori.

Due elementi, il colore e la decorazione, che da subito fecero parte del repertorio di riconoscimento del pittore dai tratti fiamminghi, che dopo essere stato allievo di Bouguereau e Moreau, si discostò dalla loro tecnica pittorica per inseguire una linea più chiara, decisa e semplice, che creasse armonia nello spettatore del quadro, perché sicuro di non dover incappare in alcuna competizione di bravura; nonché un colore più acceso, brillante e vibrante, che raccontasse l’essenza del dipinto non visibile al solo potere degli occhi.

H. Matisse, Vista di Colliure, 1905, olio su tela,
Museo Ermitage, San Pietroburgo.
La decorazione, così come la ricerca della luce, sono i due punti fermi di Matisse dei primi anni: mentre il primo è un mezzo ossessivo di riconoscimento, che rendeva i suoi quadri composti in studio, esageratamente asfissianti tra tovaglie, stoffe, tende e mobilio decorato, la seconda era la costante angoscia del pittore che da Nizza a Colliure, da Parigi al Marocco, sperimentò sempre i giochi di luce delle albe e dei tramonti, cercando in quei raggi quanto di più simile alla sua pace interiore.

Una premessa, quella dettata dal decorativismo e dalla resa cromatica della luce, che lasceranno spazio al fauvismo vero e proprio, non solo nei paesaggi, - per cui effettivamente la distesa di terra in primo piano nella Vista di Colliure non sarebbe mai potuta apparire rossa, e a chi gli chiedeva spiegazioni, rispondeva con un chiaro e coinciso “Io la vedo rossa” – ma anche nelle restanti composizioni, sia umane che d’interni, che nature morte.

H. Matisse, Donna con cappello, 1905,
olio su tela, Museo Ermitage San Pietroburgo.
Una corrente, quella del fauvismo che non può essere vista solo come un movimento improntato al colore, ma che deve essere interpretato come un inno all’armonia, alla vita ed sensazione.
Un movimento che soprattutto in Matisse corrispondeva all’idealizzazione dell’opera d’arte nella sua completezza, per cui il colore non può scindere dalla composizione ma può solo condurre al senso di armonia finale; un pensiero ben descritto nella risposta data a chi, chiedendogli come mai il cappello della Donna con il cappello, fosse di mille colori, lo pose nella situazione di dover asserire: “E’ semplicemente un cappello nero”

Nessun commento:

Posta un commento