Arte e Musica nei
secoli dei secoli si sono rivelati essere due elementi di un binomio perfetto
atto a rivelare le sensazioni, i sentimenti ed il vissuto provati dell’uomo,
nei loro lati positivi piuttosto che negativi. Basti pensare che l’importanza
assegnata ad entrambe è quasi sempre andata di pari passo sin dagli albori delle
civiltà classiche, tant’è vero che è possibile addirittura considerare tre
diversi aspetti del binomio Arte – Musica: l’Arte che racconta la Musica e la sua storia;
l’Arte che analizza la Musica; l’Arte che
supporta la Musica.
Policleto il Giovane, Teatro di Epidauro, 340 a.C., Epidauro |
Per intenderci
infatti, riferendoci all’ultimo caso, basti pensare agli anfiteatri ed ai
teatri greci e romani, dotati di un’ottima acustica al fine di rendere perfette
le performance teatrali che ivi si svolgevano, come il Teatro di Epidauro o
l’Arena di Verona. Il primo, incastonato in una collina, fu costruito nel IV
secolo a.c. sotto la guida dell’architetto Policleto il Giovane e rasenta la
perfezione a livello acustico: tutt’oggi gli artisti che si esibiscono nella
cavea del monumento non hanno bisogno di usare microfoni, dato che anche il
minimo rumore si diffonde nitidamente sino all’ultima fila.
Arena di Verona, I sec. d.C., Verona |
Idem per l’Arena di
Verona, costruzione romana del I sec. d.C., atta inizialmente ad ospitare
spettacoli ludici come la lotta dei gladiatori. Solo nel '900 però, in seguito
alla dimostrazione lampante di quanto perfetta fosse l’acustica al suo interno,
divenne sede del celebre festival operistico per volere del tenore Giovanni
Zenatello ed ancor oggi ospita concerti di ogni genere musicale, per quanto il
monumento si presti in modo ottimale per le esecuzioni liriche.
Suonatore di lira, II millennio a.C., marmo,
Museo Nazionale, Atene |
Ma come anzidetto, il
binomio Arte – Musica oltre a rivelare la prima quale supporto alla seconda, si
esplica anche nel racconto della musica attraverso l’arte: nei millenni in cui
si è snodata via via la storia dell’arte, diverse opere infatti testimoniano
l’evoluzione della musica e degli strumenti musicali nel corso dei secoli, sin
dalle prime civiltà mediterranee: esemplari sono statuine e vasi che inneggiano
il tema, come il Suonatore di lira proveniente dalle Isole Cicladi o il vaso
raffigurante Orfeo che suona la lira.
Nel primo caso, la
statuetta di 22 centimetri in marmo proveniente da Keros, è la raffigurazione di
un omino che suona la lira: nella schematizzazione geometrica delle forme
tipica dell’arte cicladica, dove il corpo del suonatore si viene a costruire
nell’assemblaggio di cilindri di diverse dimensioni e nell’abbozzo molto
limitato dei tratti fisiognomici, spunta la lira a creare un gioco di linee e
di volume; una lira che seppur priva delle sottili corde, ben testimonia
l’utilizzo dello strumento.
Lo stesso discorso
vale per l’anfora a colonnette rosse e sfondo nero raffigurante Orfeo che suona
la lira. L’opera d’arte vascolare proveniente dall’Attica e custodita al
Pergamon Museum di Berlino, raffigura il mito di Orfeo, figlio della Musa della
poesia epica e del canto Calliope, che con la sua lira riusciva ad ammaliare
nemici, aggirare ostacoli e compiere azioni eroiche: rinomato è l’aneddoto
legato alla morte dell’amata Euridice ed alla sua discesa negli inferi con il
fedele strumento musicale. Un tema, quello di Orfeo, ripreso anche in epoca
romana come testimoniato dal pavimento musivo custodito presso il Museo
Archeologico di Palermo: l’Orfeo circondato da animali.
Vaso di Orfeo che suona la lira, 430 a.C., terracotta, Pergamon Museum, Berlino |
Orfeo circondato da animali, I – II sec. d.C.,
mosaico pavimentale romano, Museo Archeologico, Palermo |
Già in età etrusca
però l’arte peninsulare aveva approcciato in modo lodevole con il concetto di
musica, per cui il pavimento musivo di Palermo non è da considerarsi un tema
poi così straordinario: già nel VII sec. a.C., gli affreschi della Necropoli di
Tarquinia raccontano gli aspetti ludici del buon vivere etrusco, raffigurando suonatori
di flauti e di lire accompagnati da danzatori, che avvolti nelle loro tuniche
colorate, si dilettano nell’esecuzione di musiche da intrattenimento.
Interessante si rivela la figura del suonatore dell’aulos, il doppio flauto
usato da greci, etruschi e romani, perché intento a soffiare nel bocchino: le
guance gonfie e arrossate per lo sforzo rivelano un’attenzione ai particolari
lodevole; apprezzabile è anche lo studio dinamico sulle dita occupate a coprire
e scoprire i fori dell’aulos.
Suonatori di flauto e lira, VII sec. a.C., affresco, Necropoli, Tarquinia. |
Uno strumento che per
secoli, addirittura millenni, vede il suo utilizzo prima nelle domus di
patrizi, imperatori e matrone, poi nelle regge di principi, marchesi e conti, e
ancora nelle corti dei signori medievali: un excursus quello dell’aulos,
testimoniato da diversi sculture e dipinti, come la statuina del Suonatore di
doppio flauto, sita al Museo di scultura antica Barracco, la Ragazza che suona
l’aulos, sul lato sinistro del Trono Ludovisi del VI sec. a.C. ed il suonatore
di doppio flauto ritratto nell’affresco dell’Investitura di San Martino, opera
di Simone Martini del 1318.
Suonatore di aulos, VI sec. a.C, calcare, Museo scultura antica, Roma |
S. Martini, Investitura di San Martino, 1318, affresco, Basilica di San Francesco, Assisi |
Trono Ludovisi, VI sec. a.C., marmo, Museo Nazionale Romano, Roma |
Oltre ai dipinti ed
alle sculture, anche i codici miniati nel medioevo si rivelano un ottimo mezzo
per documentare e trasmettere il sapere musicale. Una delle più complete fonti artistico
letterarie a riguardo è il codice del XIV secolo, Remède de
Fortune del poeta e musicista Guillaume de Machaut, nel quale trovano
spazio interessanti e affascinanti miniature raffiguranti suonatori di strumenti
musicali di vario genere, tra cui il flagioletto, la citola, l’arpa, la tromba,
la viella, il corno, la ribella, il flauto a tre buchi, i naccheroni, la
cornamusa ed il tamburo.
Guillaume de Macaut, Remede de fortune, sec. IV., codice miniato |
Cantigas de Santa Maria |
Altro codice
interessante è il Cantigas de Santa Maria, opera letteraria cortese del
XIV secolo, commissionata da Alfonso X re di Castiglia e Leòn, custodito nel
Monastero dell'Escorial, a San Lorenzo, in Spagna, che si apre a quarantuno
miniature che illustrano suonatori che si dilettano in strumenti a percussioni,
a fiato, ad arco ed a corda. Tra le diverse illustrazioni di musici di liuti,
viole e flauti, compare l’unica raffigurante un tamburo a calice, chiamato
darabukka o darbuka, l’equivalente di quello che attualmente viene definito
bongo africano: i due musici nella miniatura, seduti ad un trono, sono intenti
a suonare un piccolo flauto ed a suonare il darabukka, sorretto sul fianco da
una piccola cordicella.
Cantigas Santa Maria, XIII sec, miniatura,
Monastero dell’Escorial, San Lorenzo |
Cantigas Santa Maria, XIII sec, miniatura,
Monastero dell’Escorial, San Lorenzo |
Quanto descritto fa
della miniatura un ottimo documento artistico, perché di rado nella storia dell’arte
il tamburo è stato protagonista di dipinti o sculture; tra le poche
testimonianze della raffigurazione dello strumento musicale però, trova luogo l’affresco
della Danza delle donzelle nel giardino dell’amore che Andrea di Bonaiuto
dipinse nel cappellone di Santa Maria Novella a Firenze, nel 1318.
A. di Bonaiuto, Danza delle donzelle nel giardino d'amore, 1365, affresco, Santa Maria Novella, Firenze |
Maestro Matteo, Portico della Gloria, 1168 –
1188, pietra, Cattedrale Santiago di Compostela |
Parlando di Arte e Musica
nel Medioevo, non si può non tener conto della religiosità che tal volta
accomuna le opere d’arte che trattano il tema in questione: i portali delle
cattedrali romaniche e gotiche, in più occasioni ospitano sculture di santi o
angeli muniti di strumenti musicali intenti a suonare e decantare le lodi di
Dio, come nel Portale di Sant’Anna a Notre Dame di Parigi o nel Portale della
Gloria a Santiago di Compostela, la cui lunetta è composta da santi muniti di
strumenti a corda, arpe e flauti che attorniano la figura imponente del Cristo
in gloria.
Qualche secolo più
tardi Hans Memling, nel 1485 ca, illustra nella sua tavola cinque Angeli Musicanti
muniti di diversi strumenti a fiato e a corda: una visione perfetta dell’arte
fiamminga che connubia in questo caso l’algidità delle figure alla resa precisa
e meticolosa degli strumenti musicali.
H. Memling, Angeli musicanti, 1485, Koninkijk Museum, olio su tavola, Anversa. |
Anche un altro pittore
fiammingo, Hieronymus Bosch relegò un tocco religioso all’idea di musica
inserita nel suo Giardino delle delizie, dipinto negli stessi anni degli Angeli
Musicanti di Memling, ma a differenza di questo introdusse gli strumenti nella
predella del trittico rappresentante l’inferno: il suono prodotto dagli
strumenti non è più musica celestiale ma rumore, caos, fastidio; chi la suona è
un orrido essere e ciò che ne può derivare non può avere nulla di melodico. A
dimostrazione di quest’ultima visione, è notizia diffusa l’esperimento
effettuato da Amelia, una blogger americana che dopo aver decifrato il
pentagramma, ha suonato al piano quelle note, le ha registrate e le ha messe su
YouTube: il risultato è una musica angosciante ed inquietante: qui, il video dell'esecuzione del motivo: https://www.youtube.com/watch?v=qPA4OW2FjFg
H. Bosch, Trittico delle delizie, 1480, olio su tavola, Museo del Prado, Madrid |
Caravaggio, Riposo
durante fuga in Egitto, 1595,
olio su tela, Galleria Doria Pamphilj, Roma
|
Bosch però non è l’unico
attento al particolare dello spartito quale messaggio di una più profonda
analisi dell’opera: due secoli più tardi Caravaggio farà lo stesso nel suo
Riposo durante la fuga in Egitto, del 1595.
Infatti, nello spartito
tenuto in mano da Giuseppe durante l’esecuzione dell’angelo con violino e
archetto, è stata identificata la partitura di un motivetto del
compositore fiammingo Noel Bauldewijn, basato sul testo del Cantico
dei Cantici e intitolato "Quam pulchra es".
D’altronde è
giustificabile questa precisione nel genio lombardo, considerando che la musica
è una componente essenziale nelle sue opere: la versione del Suonatore di liuto
custodita al Metropolitan di New York lo conferma, dato che il musicista intento a
deliziarsi con il liuto, è attorniato da altri strumenti e da un verginale che
riproduce la partitura di un madrigale di Francesco de Layolle intitolato “Lassare
il velo”.
Caravaggio, Suonatore di liuto, 1597, olio su tela, Metropolitan Museum, New York |
Nel XVII secolo Caravaggio non fu il solo ad interessarsi alla figura del Suonatore di liuto, per
quanto la sua versione risulti indiscutibilmente di qualità rispetto a tante
altre, tra cui quella di Bernardo Strozzi al Kunsthistorisches di Vienna, il
cui cantante tiene tra le mani un liuto molto lontano dalle rifiniture, dalla
lucidità e dalla levigatezza di quello del pittore lombardo.
Infatti tra gli altri sperimentatori del tema vi fu Franz Hals, tra i massimi esponenti del Seicento olandese. Il suo Suonatore di liuto è catturato in un momento di felicità derivante dal suono del suo strumento: dal ritratto di evince l’idea di un uomo letteralmente innamorato del suo liuto perfettamente rifinito nella delicatezza delle corde e nel rosone della cassa.
Infatti tra gli altri sperimentatori del tema vi fu Franz Hals, tra i massimi esponenti del Seicento olandese. Il suo Suonatore di liuto è catturato in un momento di felicità derivante dal suono del suo strumento: dal ritratto di evince l’idea di un uomo letteralmente innamorato del suo liuto perfettamente rifinito nella delicatezza delle corde e nel rosone della cassa.
B. Strozzi, Suonatore di liuto, 1630 ca., olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna |
F. Hals, Giovane
suonatore di liuto,
1625, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.
|
C. Saraceni, Santa Cecilia e l’Angelo, 1610,
olio su tela, Galleria Nazionale di Arte Antica, Roma |
Anche Carlo Saraceni,
amico di scorribande di Caravaggio riproduce nella sua Santa Cecilia con l’Angelo,
strumenti musicali ben rifiniti e dolcemente modellati, come il grande violone
sorretto dall’angelo ed il liuto suonato dalla santa.
Essendo la stessa,
protettrice della musica, degli strumentisti e dei cantanti, la scena dell’incontro
di Cecilia con l’angelo si tramuta in un vero e proprio concerto, in cui la
santa è raggiunta dall’angelo mentre sta accordando un arciliuto, attorniata da
spartiti, un’arpa, strumenti a fiato, un flauto ed un violino.
Saltando di circa due
secoli, si arriva invece a scrutare nel rapporto Arte – Musica una visione più intimistica
del concetto. Ricordando infatti la ritrattistica seicentesca del suonatore di
liuto, che pareva posare nel suo splendore durante l’esecuzione, il suonatore
ritratto nell’Ottocento è più raccolto nei suoi studi e nel suo mondo: a tal
proposito è interessante notare la differenza di atteggiamento di due suonatori
di cornamusa, il primo coevo ai pittori analizzati poc’anzi del XVII secolo, il
secondo appartenente alla cerchia degli artisti del XIX secolo.
Il Suonatore di
cornamusa di Blomaert Abraham, è un uomo ritratto nel pieno della sua
esecuzione musicale, conscio della sua bravura: con i suoi occhi scruta il
pittore e quasi se ne compiace di essere ritratto assieme al suo strumento. Il
Suonatore di cornamusa di Thomas Couture invece, è assorto nella sua musica e
non si cura del mondo che lo circonda. I colori caldi della tela contribuiscono
a gettare sulla figura una sorta di sacralità; l’ambientazione neutra lo allontana
da ogni possibile riferimento spaziale e temporale: esistono solo lui e la
musica in quel momento è questo è tutto quello che conta.
B. Abraham, Il suonatore di cornamusa, XVII
sec., olio su tela, Residenzgalerie, Salisburgo |
T. Couture, Il suonatore di cornamusa 1877, olio
su tela, National Gallery of Ireland, Dublino |
P. Picasso, Chitarra, 1912, assemblaggio, MoMA, New York |
Con l’arrivo del
Novecento ovviamente con il concetto di arte viene in qualche modo a
modificarsi anche la resa del concetto di musica. Emblematici sono i due
artisti “antagonisti” tra loro, Henri Matisse e Pablo Picasso, che rielaborano
il mondo della musica secondo le loro visioni artistiche.
Picasso la onora nell’assemblaggio
Chitarra del 1912, attualmente sito al MoMA di New York; la cui opera si rivela
l’idealizzazione tridimensionale della musica, che acquista consapevolezza
attraverso una volumetria, uno spessore ed una forma concreti. La Chitarra di
Picasso non è più solo un’opera d’arte rappresentativa di qualcosa, ma diviene
essa stessa mezzo per l’esistenza di quella cosa, essendo a tutti gli effetti
uno strumento capace di riprodurre suono.
H. Matisse, La musica, 1910, olio su tela, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo |
Matisse lo fa nel suo
dipinto Musica, olio su tela del 1910, custodito all’Ermitage Museum di San
Pietroburgo. Il dipinto (propedeutico alla Danza), nelle sue stratosferiche
dimensioni è semplice ed essenziale nell’uso di tre semplici colori: il rosso
per i corpi dei cinque musici, il verde per il prato, l’azzurro per il cielo.
Anche la scena è semplice all’inverosimile: cinque personaggi si dislocano sul
prato verde, uno suona il violino, uno un doppio flauto, gli altri tre cantano.
Eppure nella semplicità della resa pittorica e del soggetto della tela, si
legge la complessità di una visione musicale che si allarga dagli albori del
tempo ai tempi moderni (l’aulos ed il violino) nonché la sua completezza (la
musica è suono, melodia ma anche voce, secondo la classica filosofia greca che
soleva vedere nelle muse Euterpe, Erato e Talia l’esplicazione non solo della
teatralità ma anche dell’arte musicale).
P. Klee, Paesaggio alberato ritmico, 1920, olio su tela, Collezione privata. |
A concludere, la terza
considerazione riguardante il binomio Arte – Musica, tocca la sfera
analitica: l’Arte infatti soprattutto nell’ultimo secolo, è stata adoperata da
diversi artisti per dare un significato visivamente emozionale alla musica, primi
fra tutti Paul Klee e Vasilij Kandinskij.
Klee nella sua
carriera di artista sviluppò diverse teorie che sposavano arte e musica, una
tra queste riguardava l’utilizzo del grafema sul supporto artistico, quale elemento segnico. Esattamente come nel pentagramma ogni grafema ha la sua
validità e la sua ragione d’essere, così nella tela vista come pentagramma,
ogni segno, ogni grafema trova la sua collocazione: interessante è il dipinto
Paesaggio alberato ritmico, dove lo sfondo è visto come un pentagramma idealizzato
nel quale trovano luogo note e grafemi musicali in qualità di alberi ed
elementi naturali.
A concludere Kandinskij,
l’artista che forse meglio di tutti è riconducibile all’analisi della musica
nell’arte. Il pittore infatti nel suo scritto De Blaue Reiter, spiega la sua
visione dell’arte come elemento strettamente legato alla musica e dà voce alle
emozioni apportate da queste due espressioni artistiche, per cui ogni colore
usato in un dipinto ha un suo corrispettivo strumento musicale.
Di uno dei suoi
dipinti più celeberrimi, la Composizione N°VI, egli scrisse:
“Vedo degli azzurri,
dei gialli e dei rossi meravigliosi e vedo un nero più o meno opaco quali
colori preponderanti nella tela.
E dovrei sentire dei
flauti (l'azzurro), delle trombe (i gialli) e delle tube (i rossi) quindi; poi
la pace. Una lunga pace data da misto di nero e grigio. La quiete che calma le trombe
e affievolisce i flauti.”
All’attenta lettura
della spiegazione della poetica artistica del pittore russo, le linee sinuose
della Composizione N°VI ben si tramutano in musica, una musica che si vede. Le
corde se smosse creano il suono, e questo lo si può addirittura percepire quasi
fosse un suono emesso da antiche orchestre imperiali, fiere nelle loro divise
di tutto punto, rigide, morali, ricordo andato di una società che fu, ma che
rimane persistente nelle menti nuove fresche d'avanguardia.
Quindi una musica che
forse poteva collimare con lo sfarzo dell'Impero Russo e con l'energia delle
agitazioni pre-rivoluzionarie, in un epoca di attaccamento alla tradizione e di
forte voglia di innovazione.
V. Kandisnkij, Composizione n°VI, 1913, olio su tela, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo |
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Un percorso molto bello e ricco d'interesse: grazie per avercelo presentato! Scorrendo i numerosi esempi riportati, non ho potuto fare a meno di pensare alle particolari raffigurazioni realizzate ad intarsio negli studioli rinascimentali di Urbino e Gubbio (quest'ultimo esportato al Metropolitan, in Italia, ahinoi, è rimasta una copia) e all'affresco della presunta casa di Giorgione a Castelfranco Veneto. Diceva il poeta Simonide che "la pittura è poesia silenziosa": forse in questo caso potremmo dire che è "musica silenziosa"... Complimenti e alla prossima!
RispondiEliminaGrazie mille per i complimenti, mi fa molto piacere che sia stato apprezzato l'articolo!
RispondiEliminaI riferimenti artistici che hai presentato sono interessantissimi e degni di considerazione, purtroppo come puoi immaginare sarebbe impossibile considerare tutte le opere d'arte che narrano il tema specifico affrontato. Ad ogni modo è sempre un piacere notare come un articolo si può ampliare con il contributo esterno di chi vuole interessarsene! :)
Ciao Dario, ho deciso di nominare il tuo blog per il Liebester Award, fai un salto al link per i dettagli!
RispondiEliminahttp://artesplorando.blogspot.it/2014/11/artesplorando-partecipa-al-liebster.html