Uno degli aspetti più
affascinanti dell’arte italiana, è che è senza dubbio possibile ammirare
stupendi capolavori dal valore inestimabile, non solo visitando i musei più
rinomati della Nazione, come gli Uffizi, la Galleria Borghese o le Pinacoteche
sparse da nord a sud, ma anche e semplicemente - ma soprattutto gratuitamente -
entrando in una chiesa.
Per una gita itinerante
tra le chiese di Roma, custodi di dipinti e statue di pregio artistico, basterebbe
infatti ricordare che Santa Maria della Vittoria, a pochi passi da Termini,
apre al gruppo scultoreo dell’Estasi di Santa Teresa del Bernini, o che la Cappella
Cerasi nella nota Santa Maria del Popolo e la Cappella Contarelli in San Luigi
dei Francesi, mostrano diverse tele, tra le più rinomate del Caravaggio.
Ma l’esposizione
incondizionata al grande pubblico di questi delicati e storici lavori, ha un
aspetto dicotomico celato dietro un'apparente positiva fruibilità: se da un
lato gli aspetti positivi sono così evidenti che sarebbe superfluo elencarli,
quelli negativi non sono da sottovalutare; basti ricordare quanto avvenne proprio
alle tre tele del Caravaggio negli anni Venti, sotto la Soprintendenza ai
Monumenti di Antonio Munoz.
In quest’ottica volta
a porre attenzione alla preservazione dei beni ecclesiastici, un caso speciale
è quello riguardante la tela dell’Apparizione del Cristo alla Madre del
Tiziano, custodito nella Chiesa Parrocchiale di Medole, in provincia di
Mantova, nel basso – lombardo.
Infatti anche se
lodevole l’idea di poter ammirare il dipinto nella sede originaria per cui era
stato ideato, è necessario ripercorrere la storia sfortunata del
dipinto, vittima negli ultimi due secoli della razzia e della stupidità umana.
Il quadro, dipinto
probabilmente negli anni di piena maturità del Tiziano (in mostra alle Scuderie del Quirinale sino al 16 giugno 2013), verso il 1554,
fu donato dal grande pittore, come segno
di riconoscenza per l’ospitalità ricevuta dalla parrocchia.
E qui fu venerata
senza intoppi e alcun danno per oltre due secoli e mezzo, sino all’avvento di
Napoleone nelle terre lombarde – venete, quando, per evitare che anche questa
venisse requisita, fu piegata a metà e nascosta, sino a che non furono
ripristinati i governi pre-napoleonici.
Ma il lungo periodo
trascorso dalla tela, ripiegata su se stessa, le procurò danni evidentissimi,
per cui si ritenne necessario trasportarla a Venezia per un adeguato restauro:
nel 1862 il restauratore Paolo Fabris cercò allora di riparare il danno creatosi
sulla tela, fissando meglio il colore e ritoccando grossolanamente le parti
mancanti.
E ancora, per togliere
muffe e rifioriture del colore, usò lavature molto aggressive, che però
spelarono la superficie del colore, arrivando a coprire in alcune parti, la
trama della tela nonostante lo strato di colore.
Ovviamente, procedendo
in modo così grossolano, il problema però non fu attenuato e la parte di
sinistra si presentava molto maggiormente danneggiata dell’altra, a
causa della lunga permanenza della tela in luogo altamente umido, per cui
proprio la parte più danneggiata aveva posato sul versante più umidiccio.
L’empasse drammatico
rimase irrisoluto sino al 1911, quando il Sovrintendente di Verona Gugliemo
Pacchioni, riprese in mano in caso stilò una relazione sulle condizioni della
tela, per cui questa presentava una crepatura verticale del colore che tagliava
in due parti precise il quadro, tagliando per intero alcune teste dei serafini
e deturpando il volto del Cristo e la sua mano sinistra.
Ovviamente la
questione delicata non poteva passare inosservata alla Direzione Generale, che
accettò di finanziare i restauri: dopo una prima supervisione del restauratore
di grido Luigi Cavenaghi, il restauro fu effettuato da Luigi Betto che, come da prassi,
applicò un velo sul supporto, quindi procedette alla foderatura con tela di
canapa; poi all’intelaiatura su un nuovo telaio a graticolato. Fatto ciò,
rimosse il velo applicato con acqua semplice; fissò le parti sollevate di
colore; stuccò a tinta neutra alcune parti inerenti al manto bleu della
Madonna; disossidò la vernice su quasi tutta la superficie del dipinto e
rimosse le ridipinture.
Successivamente, la
tela ormai ritornata quasi del tutto al vecchio splendore, venne esposta per la
prima volta nel 1935 a Venezia per la mostra di Tiziano a Ca’ Pesaro, e ancora
nel 1974 a Palazzo Ducale di Mantova per la mostra Tesori d’arte nella terra
del Gonzaga.
Ma la storia
travagliata vissuta sino ad allora non si arresta a questo piccolo aneddotico
di piacere:
nella notte tra il 25
e il 26 aprile del 1968 il quadro venne trafugato; e fu ritrovato soltanto
il 12 maggio dello stesso anno.
Il furto provocò
notevoli danni all'opera, che dovette essere sottoposta a nuovo restauro presso
l’Istituto Centrale del Restauro di Roma che lo restituì al paese il 22
settembre 1971.
Tre restauri in cento
anni; tre restauri decisivi che hanno irrimediabilmente in qualche modo
modificato e cambiato la storia del dipinto tizianesco.
Una storia
strettamente legata al luogo in cui è stato conservato, che paradossalmente,
dovrebbe essere il simbolo della sicurezza e dell’assenza di peccato e che
invece in questa particolare occasione, si è rivelato incolpevolmente come la
causa di ogni disgrazia che quel dipinto è stato costretto a subire.
Tiziano, L'apparizione di Cristo alla Madre, 1552 - 1554, olio su tela, Chiesa Santa Maria, Medole |
Nessun commento:
Posta un commento