Degli artisti più celeberrimi della storia
dell’arte, non sempre è possibile delineare una precisa e sicura cronologia
del loro operato: molto spesso accade che venga ripresa in considerazione un’opera
d’arte snobbata o semplicemente non conosciuta, diroccata in qualche chiesa
periferica o palazzo privato, che venendo attribuita all’artista per stile più
vicino, finisce addirittura per svelare un lato poco conosciuto di questo.
Ricordo a tal
proposito le tele del Tintoretto e del Veronese site presso la Pinacoteca Provinciale di
Bari, protagoniste dei restauri del 1914-15 e del 2010, che testimoniano una
meravigliosa collaborazione non solo commerciale ma anche artistica tra il
Veneto e la Puglia, o il dipinto dei SS. Quattro Coronati un tempo sito nell’ormai
demolita Sant’Andrea in Vincis, attribuito non a caso per qualche tempo al
Caravaggio.
E a proposito del
Caravaggio, contestualizzandolo alla premessa fatta, diviene importante
analizzare e screditare per quanto ci è possibile, l’alone di mistero che
aleggia intorno ad un dipinto attribuito a questo sin dal lontano 1916, che io,
semplicemente perché ingordo della sua arte, voglio credere suo: La fuga in
Egitto, altrimenti detta la Madonna dell’insalata, custodita presso la Chiesa
dei Cappuccini di Recanati.
Già, Recanati, il
paese protetto dai Conti Leopardi, il cui massimo esponente, Giacomo, è tra i
padri fondatori della letteratura moderna che fa capo al XIX secolo, pare abbia
ospitato anche Caravaggio, che qui, potrebbe aver lasciato una sua opera.
La storia
dell’attribuzione del dipinto a Caravaggio inizia quasi un secolo fa, quando il
recanatese Patrizi, studioso di criminologia, si occupò più volte della figura
del Caravaggio, affascinato da quell’evento che lo vide protagonista della
morte di Ranuccio Tommasoni.
In visione di ciò, il
Patrizi, si imbatté casualmente, il 25 luglio del 1912, (un periodo
ricordiamolo, in cui l’interesse per l’arte correlato alla riscoperta del
patrimonio artistico, era all’apice), in un dipinto presente
nella chiesa dei Cappuccini del suo paese.
E analizzando il
colore, i soggetti, la resa pittorica e volgendo uno sguardo d’insieme a quella
che era stata la vita del pittore per eccellenza, in un articolo del 1916 si
decise ad attribuire quest’opera a Caravaggio, definendola un Riposo nella fuga
in Egitto. E poiché la sacra Famiglia è intenta a preparare una cena
improvvisata con della verdura selvatica, denominò il dipinto “Madonna
dell’insalata”.
Tenete ben a mente
questa denominazione, perché ci ritornerò più tardi.
Continuando il nostro
percorso, l’opera subì vari restauri: nel 1916, a poche settimane dall’articolo,
il dipinto fu restaurato in qualità di “opera del Caravaggio” (il che attesta
una convinzione del sopraintendente delle Gallerie delle Marche ad accettare l’attribuzione)
dal restauratore De Bacci Venuti, che fermò il colore risollevato, evitando che
questo cadesse; nuovamente nel 2008, così da rimuovere le vecchie vernici,
ossidate nel secolo corrente.
Questo, ha permesso
che la tela acquisisse maggiore leggibilità e luminosità, per cui ghiotta si è
resa l’occasione di avviare una più approfondita indagine storico archivistica,
che ha permesso di appurare che il dipinto è presente nella chiesa del convento
dei Cappuccini di Recanati a partire dalla fine dell’Ottocento.
Ora, converrete che se
il dipinto è del XVII secolo, per ben due secoli è stato sito necessariamente presso
un altro edificio, per cui si è tentato di individuare la chiesa o il palazzo
di provenienza dell’opera. E a tal punto, il professor Bartolozzi, storico dell’arte
che tenta di vedere nella Madonna dell’Insalata un’opera dell’artista lombardo,
ha avanzato una ipotesi di degno spessore che potrebbe individuare l’ignota
provenienza.
Pare che al Caravaggio fu commissionata fra la fine del 1603 e gli inizi del 1604, la pala d’altare da collocare nel Convento dei Cappuccini di Tolentino e così fu fatto; documenti certi lo attestano.
Adesso sopraggiunge la
tesi del professor Bartolozzi: a suo dire è da ritenersi possibile che il
dipinto, dopo la soppressione del convento di Tolentino avvenuta nel 1866, sia
passato a quello di Recanati, in sostituzione della pala del Calcagni
defraudata proprio nel 1866 nella cappella di San Giuseppe, dove appunto fu
collocato il Caravaggio o presunto tale.
Ebbene a questo punto,
ricordate che vi avevo chiesto di tener a mente la denominazione ufficiosa del
dipinto? Bene, da una relazione del giugno 1916, del Soprintendente alle
Gallerie del Lazio e degli Abruzzi, Federico Hermanin, in cui riferisce alla
Direzione Generale per le Antichità e Belle Arti lo stato del dipinto, si
evince una curiosità che non è affatto irrilevante.
A detta dell’Hermanin,
i cespi d’insalata porti dalla Vergine al Bambino, che poi li lava nel catino,
potrebbero rivelare un’allusione furbesca a Monsignor Pucci di Recanati, un cardinale
presso il quale il Caravaggio aveva dimorato durante i miserevoli anni del suo
soggiorno a Roma: proprio questo cardinale, veniva chiamato dal Caravaggio “Monsignor
Insalata”, a causa della natura del cibo troppo frugale che il prelato gli
somministrava.
Beh però se l’allusione
fosse da prendere come valida, allora il dipinto apparterrebbe agli inizi della
carriera del Caravaggio e non potrebbe essere la pala di Tolentino del 1603, che
possiamo addurre appartenere al periodo maturo; inoltre la provenienza sarebbe
da individuarsi nella corte pontificia romana e non nella periferia
marchigiana, anche se in effetti, essendo Monsignor Pucci originario di Recanati, potrebbe avergli commissionato la pala per inviarla al paese natio. Non posso esprimermi, non ho prove certe per potermi schierare da
questa o da quell’altra parte.
Certo è, che tutti gli
indizi parrebbero confermare il dipinto al Caravaggio. E pure la critica è d’accordo
in questo, quasi all’unanimità: in pieno contrasto con la teoria del prof.
Bartolozzi, il noto storico dell’arte Vittorio Sgarbi è convinto infatti che la
pala sia da attribuirsi ad Alessandro Turchi, conosciuto come l’Orbetto.
Per cui alla visione
di quanto detto, sorrido all’idea che qualcuno come Sgarbi debba per forza
andare controcorrente anche lì dove c’è l’evidenza. È nella natura dello
storico dell’arte dire la sua: per qualcuno vige addirittura la regola “giusto
o sbagliato purché se ne parli”.
Una visione opinabile,
certo, che non vuole intaccare assolutamente la professionalità dell’emerito,
ma spinge senza dubbi a considerare come valida l’idea che, nel caso suddetto,
quanto affermato dallo storico dell’arte e politico si debba necessariamente
vedere come una mezza castroneria.
PS: Perdonatemi per l'immagine, non ne ho trovate di migliori.
Caravaggio (?), Madonna dell'Insalata, 1595 - 1620 (?), olio su tela, Chiesa dei Cappuccini, Recanati. |
Salve ho letto il suo commento ,ed è stato molto chiaro, ma non capisco un aspetto del dipinto; se di fuga in egitto o ritorno dalla fuga in egitto si tratta l'angelo a chi porge la palma del martirio????? Ovviamente se di palma si tratta ma la gestualità è quella grazie di una sua eventuale risposta Walter
RispondiEliminaCaro Walter, premetto che per quanto abbia studiato le carte inerenti al dipinto, non ho avuto modo di poter visitare il dipinto di persona, per cui mi risulta difficile dare una risposta certa ai suoi quesiti, considerando che come può ben vedere, le immagini riscontrate in internet non sono qualitativamente ottime: detto ciò non posso garantirle che quella sia effettivamente la palma, anche se non escludo che possa esserlo.
RispondiEliminaPassando all'altro punto, iconograficamente il Riposo con tanto della presenza dell'angelo, avviene durante la Fuga in Egitto, per cui tecnicamente la raffigurazione è la medesima: è anche vero che il bambino è troppo cresciuto per essere contestualizzato nell'evento narrato nel Vangelo: probabilmente Caravaggio (o l'autore del dipinto) non aveva studiato il soggetto a menadito, ma è solo un'ipotesi.
Se si dovesse trattare di Caravaggio come io credo, e se la mia ipotesi sull'età sbagliata di Gesù dovesse essere giusta, allora questo relegherebbe il dipinto al 1594 - 1595, i primi tempi in cui Caravaggio si trasferì a Roma sotto Monsignor Pucci: non per altro che, al 1595 è ascrivibile il Riposo nella Fuga in Egitto sito nella Galleria Doria Pamphilj, che presenta un Cristo neonato, come da iconografia, simbolo di uno studio approfondito del pittore a riguardo del tema.