Miniatura raffigurante la Cena del Crisma del Giovedì Santo, custodita nella Cattedrale di S. Michele Arcangelo, Albenga. |
Nei riti sacri Settimana Santa sovente si riscontrano elementi che
affondano le proprie radici nel passaggio tra il credo profano e la nuova cultura di stampo paleocristiano.
Sicuramente cristiano per eccellenza è il rituale che si svolge il Giovedì Santo mattina, riguardante la Messa del Crisma, durante la quale il
Vescovo consacra gli Olii Santi
(Crisma, Olio dei Catecumeni ed Olio degli Infermi), che serviranno durante
tutto il corso dell'anno rispettivamente per celebrare le Cresime e i
Battesimi, ordinare i sacerdoti e celebrare il sacramento dell'Unzione degli Infermi.
L'Ora
Nona del Giovedì Santo conclude il tempo di Quaresima, e dà inizio al Triduo Pasquale, con la Messa in Coena Domini: questa è il memoriale dell'Ultima Cena consumata da
Gesù nella sua vita terrena, nella quale fu istituita l'Eucarestia e fu consegnato ai discepoli il Comandamento dell'Amore. Nella
celebrazione della Messa Coena Domini,
si fa memoria dell’Istituzione dell’Eucarestia,
del tradimento di Giuda e della suggestiva e rinnovata “lavanda dei piedi” a dodici
persone, per ricordare l’umiltà del servizio di Cristo alla sua Chiesa.
Giotto, Lavanda dei piedi, 1303 - 1305, affresco, Cappella degli Scrovegni, Padova. |
Certamente la lavanda dei piedi è un rito
significativo, entrato all'interno della messa con la riforma del Triduo nel 1955;
prima infatti aveva luogo fuori della messa. Questo è un rito che non intende
affatto essere una rappresentazione teatrale, infatti le norme attuali non
prevedono più 12 persone. Si tratta di un gesto simbolico e profetico di una
Chiesa che, sull'esempio del suo Maestro e Signore, intende farsi serva
dell'umanità.
La Coena
Domini non è una cena
qualsiasi, è l’Ultima Cena che Gesù tenne insieme ai suoi Apostoli,
importantissima per le sue parole e per gli atti scaturiti: a tal punto, tutti
e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa degli “Azzimi" (chiamata Pasqua ebraica), mandò
alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro
seguace.
Leonardo da Vinci, L'Ultima Cena, 1494 - 1498, affresco, Refettorio di S. Maria delle Grazie, Milano. |
A. Vaccaro, Cristo nell'orto degli Ulivi, 1660, olio su tela, Abbazia di Montserrat, Monistrol di Montserrat. |
La
celebrazione termina con la legatura delle campane, e la disposizione
dell’ostia consacrata nel repositorio, conosciuto come sepolcro. Questi
vengono aperti quindi alla venerazione
della gente in cammino, in silenzio per le strade del paese a visitare le
chiese, a pregare in gruppo, in famiglia o in associazioni.
Nel rispetto di una tradizione centenaria, nella ricorrenza del Giovedì
Santo, la sera dopo la Messa Coena
Domini, anche a Canosa in tutte le chiese delle parrocchie, vengono
allestiti i “sepolcri”. Il sepolcro, per i cristiani rappresenta il
luogo - l'orto del Getsemani - dove Gesù
Cristo, si recò a pregare, sentendo ormai vicina l'ora in cui si sarebbe
adempiuto quanto era stato scritto:
"Il figlio di Dio, fatto carne sarebbe
morto per liberare l'umanità dal peccato".
Questo primo giorno del Triduo della Settimana Santa, rappresenta
un momento di incisiva riflessione per ogni cristiano, che ritrova la propria
vera essenza in Cristo, figlio di Dio, il quale come uomo sente tutto il peso,
l'angoscia e l'amarezza del calice che si accinge a bere, ma nel contempo dà l'evidente
testimonianza della forza dello Spirito che vince sulla debolezza della carne.
Tipico subbulkre del Giovedì Santo |
In età Barocca, si venne a plasmare l’ idea
di allestire gli altari a simulazione del sepolcro di Cristo, effimere
costruzioni teatrali all’interno di ogni chiesa, con al centro il tabernacolo,
ornato di luci e fiori, che ospita i tredici piatti dell’Ultima Cena.
Facevano parte dell’ allestimento anche
piantine di legumi, grano e orzo, che seminate il giorno di Mercoledì delle
ceneri, e tenute in penombra in casa sotto i letti, negli armadi e nelle credenze per tutti
i quaranta giorni della Quaresima, fino al Giovedì Santo, crescevano sottili e
prive di clorofilla, conferendo al fogliame il classico colore bianco o giallo paglierino.
Queste piantine sono denominate in dialetto
canosino “li sebbulkre”, o
meglio questo è il nome attribuito ai vasi e piatti in cui crescono queste
piantine, che a processo ultimato vengono inserite nell'allestimento dei Sepolcri delle diverse chiese, quale tributo dei fedeli.
Tutto questo tende a creare un’atmosfera
alquanto suggestiva, in cui è possibile assaporare una
particolare aria di sacralità che anticipa il sacrificio del Figlio di Dio; un'atmosfera che si fonde alla tradizione consolidata dei cittadini, che in particolar modo a Canosa, visitano quasi come se fosse una sorta di pellegrinaggio in itinere, le chiese della città, categoricamente in numero dispari.
Infatti secondo la tradizione le chiese che i
fedeli devono visitare per adorare l’ Eucarestia
devono essere tre, cinque o sette, così di uguale numero devono essere le
preghiere che il fedele deve assolvere al loro interno.
Sovente alcune vie che portano agli ingressi
delle chiese, che per l’ occasione rimangono aperte per tutta la notte, sono
illuminate da ceri e candele, e sui balconi che si affacciano a queste, vengono
stesi panni e lenzuola rigorosamente bianchi, che secondo la tradizione,
dovevano indicare alla Madonna la via giusta da perseguire per raggiungere suo
figlio.
Altari dei Sepolcri a Canosa di Puglia |
La Madonna du tuppe tuzzele, un tempo in processione per le vie di Canosa, durante la sera del Giovedì Santo. |
Quest’ultima usanza, riconduce ad una
tradizione sacra canosina, di cui ormai rimane solo qualche vecchio ricordo
nelle menti dei più anziani: la processione della “Madonna du tuppe tuzzele” altrimenti chiamata “l’Addolorata del Giovedì Santo”, di cui ormai non ne è più
venerato il culto.
Anche
questa Madonna segue l’iconologia dell’Addolorata
portando nel grembo un pugnale d’argento, e vestendo un abito luttuoso ricamato
con fili d’oro e pietrine colorate, così come il velo. Tra le mani il candido
fazzoletto ricamato custode delle lacrime versate.
Ancora oggi la memoria popolare rievoca nella
cristianità questa processione, che si svolgeva non solo a Canosa di Puglia, ma
anche in altri paesi pugliesi fino alla seconda metà dell’ 900.
La denominazione nella radice onomatopeica
rievoca la figura di Maria Addolorata che in cerca del figlio Gesù, “tuzzelève”, cioè bussava alla porta
delle chiese.
Secondo fonti orali ad opera di alcuni
testimoni dell’evento, l’Addolorata del
Giovedì Santo, usciva dal Carmine, indirizzata verso la Cattedrale di San
Sabino, dove una volta giunta, bussava per onorare il figlio. L’altra Addolorata
(l’Addolorata portata ancor oggi in processione, nel Venerdì antecedente alla Domenica delle Palme), invece
usciva dall’Oratorio di San Biagio.
Le due effigie sacre, si incontravano e
sostavano presso Palazzo Rossi al Corso San Sabino, dove un gruppo di operai, “i
cantori di San Biagio”, esprimeva la preghiera con canti popolari.
Sicchè mentre la Madonna du tuppe tuzzele
si dirigeva in Cattedrale dove prima di entrare, nel bussare veniva
accompagnata da alcuni cavalli, che venivano fatti inginocchiare davanti al
portale, l’Addolorata di San Biagio invece proseguiva per tutte le chiese
accompagnata dai gruppi oranti, costituiti da famiglie, e diversi gruppi di
preghiera, così come avviene oggi nella sera del Giovedì Santo per la visita dei
Sepolcri.
molto interessante
RispondiElimina