Già nella svirgolettata Quando l’opera d’arte è di merda: l'idea di Piero Manzoni, avevo avuto modo di accennare alla performance che l’artista ideò nel 1960, consistente nell’ingerimento da parte del pubblico di uova sode consegnate loro in prima persona. Per cui la chiarirò qui, aggiungendo anche una piccola perla riscontrata nel mio lungo viaggiare in rete alla scoperta di curiosi aneddoti e particolarità sconosciute ai più.
Bene, la performance di cui accennavo, ebbe luogo proprio nel 1960, nella Galleria Azimut (omonima della rivista fondata contemporaneamente) a Milano e prendeva il nome di “Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte”: la performance suddetta consisteva nella semplice consegna da parte dell’artista di uova sode contrassegnate da una propria impronta digitale agli spettatori, e nel consecutivo ingerimento dello stesso da parte di questi.
P. Manzoni mentre controlla la cottura dell'uovo lesso durante la sua performance Consumazione dell'arte dinamica, Galleria Azimut, Milano, 1960. |
Una performance semplice nel suo svolgimento, quanto filosoficamente complessa nella sua ideazione, perché simboleggiante il pensiero artistico di Piero Manzoni: in un periodo in cui, in diversi casi, l’arte veniva concepita non solo sul piano concreto dell’opera ma anche sul piano concettuale, tentando di superare i limiti ancora legati ad una visione materica di essa, l’unica via per permettere agli spettatori di poterne godere e poterla contemplare a pieno, era quella di metterli nella condizione effettiva di poterlo fare.
Ragion per cui, mangiare l’uovo sodo, lesso dall’artista, su cui egli stesso ha marchiato un’impronta con dell’inchiostro a suggellare il suo lavoro, era l’unica via che in quel caso aveva lo spettatore, per entrare in sintonia con il Manzoni: ingerire il prodotto dell’artista avrebbe equivalso a vivere una sorta di comunione fisica con lui. Ed è quanto accadde il 21 luglio 1960, quando su invito di Piero Manzoni (“Siete invitati il 21 luglio alle 19, a visitare e collaborare direttamente alla consumazione dei lavori di Piero Manzoni”), si presentarono alle porti della Galleria Azimut, molti spettatori, affascinati all’idea di entrare seppur indirettamente, tra le pagine della storia dell’arte.
Inutile negare che, nonostante il fine di tutto, fosse quello di dimostrare come la tangibilità di quella performance si perdesse nell’esatto momento in cui veniva ingerito il simbolo concreto di questa, trasformandosi appunto in quella sorta di comunione fisica tra artista e spettatore tanto decantata, molti collezionisti accorsero nella speranza di potersi accaparrare uno di quelle uova, da custodire gelosamente. Cosa che puntualmente avvenne, e che ci permette ad oggi non solo di poter ammirare visivamente l’impronta dell’artista scomparso prematuramente, ma anche di poter avere una testimonianza concreta di quanto accadde quel giorno a Milano.
P. Manzoni, Consumazione dell'arte dinamica del pubblico divorare l'arte - esemplare n. 34, 1960, uovo - legno, Collezione Boschi di Stefano, Milano. |
Ed eccoci alla perla che vi avevo accennato. Girando su internet ho trovato sul sito del Museo del Novecento a Milano, un post che raccontava del restauro di uno di quelle uova marchiate. Già, proprio così! Restauro di un uovo! Effettivamente a pensarci bene, è alquanto normale che un materiale organico del calibro di un uovo sodo, con il tempo tenda a deteriorarsi se non custodito nelle condizioni più ideali possibili. È quanto accaduto all’esemplare n° 34, custodito nella Collezione Boschi di Stefano a Milano, che si presentava – secondo la relazione delle due restauratrici Paola Zanolini e Ida Ravenna – letteralmente frantumato in più parti.
P. Manzoni, Consumazione dell'arte dinamica del pubblico divorare l'arte - esemplare n. 34, 1960, uovo - legno, Collezione Boschi di Stefano, Milano. |
Per cui l’intervento delle due abili restauratrici, è consistito nella ricostruzione dell’involucro; un’operazione particolarmente delicata per via del tuorlo disidratato contenuto, facilmente disintegrabile al contatto.
Prendendo un uovo di forma e dimensioni quasi uguali quindi, le due restauratrici hanno creato un calco in cera, nel quale hanno successivamente ricostruito il nuovo supporto in carbonato di calcio per poi inserirci il tuorlo.
Ad operazione ultimata, l’ultimo passaggio è consistito nel riposizionamento dei frammenti di guscio dell’uovo originale sull’involucro; un’operazione che ha consegnato all’uovo – opera d’arte un aspetto meraviglioso, pur non alterandone in alcun modo le componenti.
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