“Oh bella figlia dell’amore!
/
Schiavo sono dei vezzi
tuoi! /
Con un detto, con un
detto, sol tu puoi /
le mie pene, le mie
pene, consolar!”
I celeberrimi versi
tratti dal Rigoletto di Giuseppe Verdi, non di rado negli ultimi tempi li ho
sentiti cantare, in forma non propriamente lirica, da tre cari amici miei
durante i soliti momenti di ritrovo: Francesco (blogger di Adestraeamanca), Leonardo
(blogger di Sciccherie) e Marco (che non amministra blog, ma in compenso
stalkerizza amati personaggi della televisione e della musica, del calibro di Giancarlo Magalli e Paolo Brosio, sulle loro pagine ufficiali di Facebook).
Sicché non capendo di cosa si trattasse, da
ignorante quale sono – perché tale mi definisco alla luce di quello che poi ho scoperto, – ho chiesto loro di spiegarmi quel tormentone: la risposta indignata
dei tre però mi ha aperto un mondo. Infatti quel ritornello è uno dei motti del
quintetto protagonista del film Amici miei, diretto da Mario Monicelli nel
1975, a cui seguì il sequel del 1982: Amici miei Atto II.
Costretto quindi a
vederlo (ma la curiosità non mi mancava), mi sono ritrovato ad assistere alla
glorificazione dell’amicizia, tanto decantata nei due film. Una glorificazione
particolare e incanalata verso l’idea di divertimento a circuito chiuso, da
loro definito col termine “zingarata”: un termine fiorentino, così come
fiorentino è l’insieme di cose, luoghi, modi di fare e di pensare che si riscontra
quasi totalmente nello svolgimento delle due pellicole.
Onde non annoiarvi e
spoilerarvi i film, narrerò in due righe trama e personaggi: il giornalista de’
La Nazione Giorgio Perozzi, l’architetto comunale Rambaldo Melandri, il barista
Guido Necchi, il primario Alfeo Sassaroli ed il conte Raffaello “Lello”
Mascetti, fregiato solo del titolo ma non dell’opulenza, sono un gruppo di
cinque amici che tra una zingarata e l’altra ne combinano delle belle, manco
fossero adolescenti.
Il cast di Amici miei: (da sinistra) Duilio del Prete, Gastone Moschin, Philippe Noiret, Adolfo Celi e Ugo Tognazzi. |
Cos’è la zingarata?
Beh la zingarata nel dialetto fiorentino è uno scherzo o un’azione beffarda e
truffaldina fatta con aria di divertimento, goliardia e una sana dose di ironia
e satira; uno scherzo che può durare anche giorni.
Un genere di azioni, quello delle zingarate, che tiene vivo il film durante il suo svolgimento, ma che allo stesso tempo induce a riflettere circa la visione di un modo di divertirsi legato ormai solo al passato prossimo in quanto discordante con quello presente, riscontrabile nella multimedialità: il modo dissacratorio di raggirare gli impreparati ed increduli turisti della Torre di Pisa, mentre la fantomatica squadra dei cinque, travestiti da operai, tenta di raddrizzarla con cavi e corde; l’atteggiamento sadico con cui si costringe e convince il povero pensionato Nicolò Righi a far parte della band di criminali narcotrafficanti quali si improvvisano; la recitazione malsana che spinge il vedovo Paolo a credere che la defunta moglie fosse una “zoccola”, appartengono
sicuramente ad una generazione che faceva della creatività, della genuinità e
dell’amicizia quale valore morale, la sua ricchezza.
In amici miei Atto II, al posto di Duilio del Prete, il Necchi viene interpretato da Renzo Montagnani. (4° da sinistra) |
Mentre, in una società
che fa del cocktail al bar e del jeans alla moda il suo carburante, che appiana
con computer e televisione la sua curiosità, che quieta la noia con playstation
e smartphone, come potremmo riscontrare quella “voglia di evadere dal mondo”,
quel desiderio di rendere divertente il dramma della vita, così evidente nei
due film di Monicelli?
Ad ogni modo però c’è
una magra consolazione che ci fa rispecchiare seppur labilmente in quei cari
cinque ragazzi fin troppo cresciuti: le analogie caratteriali.
Perché tutti infondo
siamo un po’ Melandri quando ci innamoriamo a primo acchito della bella donna che passa, ("Ho visto la madonna!" cit.) tanto da soffrire le pene d’amore se non viene corrisposto, o da
allontanarsi dal gruppo se si è troppo presi; così come tutti siamo un po’
Perozzi, filosofi della vita – più che mai oggi su Facebook, quando dispensiamo perle e citazioni – buonisti, educati, diplomatici e analitici. ("Io preferivo quello (lo stile) del Perozzi: la portava più sul fine, più sul delicato! E di solito finiva tutto in un abbraccio." cit. Necchi).
E stessa cosa vale ovviamente per
Necchi, il cui estro è sempre geniale (“Che cos’è il genio? È fantasia,
intuizione, decisione e velocità d’esecuzione.” cit.), spesso cinico e nelle
occasioni speciali geloso e virile; per il Sassaroli, che sfrutta la sua
professione a proprio vantaggio e che si avvale non di rado del suo sadismo elegante è impeccabile o per il conte Mascetti, caduto in disgrazia ma comunque orgoglioso e fiero di sé, nella
consapevolezza che per quante ricchezze possa perdere, i suoi amici saranno lì.
E quindi se nella
trama delle azioni, Amici miei non è un film attuale, sicuramente lo è ancora
nell’analisi caratteriale dei personaggi: cinque elementi variegati che ben
illustrano la tipicità dell’italiano medio, che, così come quarant’anni fa,
ancor’oggi nelle nuove generazioni - non poi così lontane da quelle dei nostri nonni e dei nostri genitori, - dimostra nei suoi pregi e nei
suoi difetti di essere un buon amatore, sempre un gran signore, ma prima di
tutto leale e fanfarone. Tutto insieme, con scappellamento a destra.
Ps: dedicata agli amici miei.
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