Il percorso che ha
come soggetto il gioco nel corso della storia dell’arte è da considerarsi un
vero e proprio iter di documenti visivi, attestanti i modi in cui per secoli l’uomo ha impiegato
gran parte del suo tempo libero. Attraverso affreschi e dipinti mobili in
massima parte infatti, è ben chiara sia l’evoluzione ludica, che quella legata
al modo di rappresentarne i suoi aspetti più variegati.
Già nelle civiltà
preclassiche abbiamo una corposa testimonianza di quelli che erano i giochi
adoperati da adulti e bambini, buona parte derivante da reperti archeologici e
raffigurazioni parietali dell’antico
Egitto: mentre i più piccoli si dilettavano nell’utilizzo di bambole e palle di
pezza, i più grandi si sfidavano e si allenavano su diversi giochi da tavola, tra
cui notevole importanza ricopriva la senet.
Nefertari gioca alla senet, XIX dinastia, affresco, Tomba di Nefertari, Valle delle Regine di Luxor |
Il gioco della senet
era da considerarsi una sorta di dama a
due, che si giocava su di una scacchiera rettangolare di 30 caselle
quadrate disposte su tre file parallele. Un gioco molto importante per gli egizi,
perché legato alla sfida estrema contro il Destino, che avrebbe deciso le sorti
dell’anima di ognuno di loro: in una visione molto mistico - religiosa della cosa
infatti, a fine partita se l’anima defunta avesse avuto la meglio, il premio
per questa sarebbe stata la vita eterna.
Una raffigurazione del
rito ci viene consegnata dall’affresco rinvenuto nell’anticamera della Tomba di
Nefertari, nella Valle delle Regine a Luxor, nel quale la regina è intenta a
giocare alla senet con l’invisibile Destino. Nella meravigliosa e luminosa pittura
parietale, la regina non appare affatto preoccupata dal gioco che ne segnerà le
sue sorti, anzi guarda con aria ieratica ed al tempo stesso di sfida il suo
avversario, sicura delle sue nobili doti e della fortuna che l’assisterà.
Vaso a figure nere con Achille e Aiace, 530 ca, Museo Gregoriano Etrusco, Città del Vaticano |
Il gioco da tavola si
è rivelato essere un passatempo molto amato anche dai greci, come testimoniato
da diversi vasi rinvenuti nella penisola. Sicuramente però l’opera d’arte
vascolare più interessante da prendere in considerazione per delineare l’importanza
che rivestiva il gioco nella patria dei giochi olimpici, è senza dubbio il vaso a
figure nere con Achille e Aiace. Seppur di manifattura etrusca infatti, i
soggetti del vaso sono i due eroi greci dell’Iliade, sorpresi in un momento di
tregua durante la guerra: Achille e Aiace sono qui raffigurati nel bel mezzo del gioco, mentre leggono
i punti realizzati dai due, rispettivamente quattro e tre, come specificato
dalle iscrizioni presenti nello spazio tra le due sagome.
Il gioco dei dadi,
diletto di Achille e Aiace nella raffigurazione vascolare, fu anche uno dei
preferiti dal popolo romano, che non di rado si raccoglieva in gruppi per
giocarci.
Dall’Osteria della Via
di Mercurio di Pompei infatti, proviene un affresco molto caratteristico che
ripropone un’accesa partita all’alea, un gioco di dadi e tavola disegnata equivalente
al nostro attuale backgammon. Ovviamente, - così come nel caso della senit –
anche per l’alea sono stati rinvenuti diversi reperti archeologici riguardanti
dadi e tavole da gioco, ma questo affresco rimane un documento imprescindibile
a raccontare l’essenza dell’agonismo tra gli sfidanti, supportati alle loro
spalle da amici schierati e presi dalla frenesia di vincere.
Giocatori di
dadi, II sec. a.C., affresco, Osteria
della Via di Mercurio, Pompei
|
Bambola di Crepereia Tryphaen, II sec. d.C, avorio, Musei Capitolini, Roma |
Per i più piccoli
invece, così come detto per le civiltà precedenti, andavano di gran moda palle
di stoffa e cuoio e bamboline. Solitamente queste erano di stoffa, legno o
terracotta, raramente snodabili per via di arti collegati tra loro da perni.
Sicuramente una delle
bambole più anatomicamente precise e di qualità, è quella in avorio appartenuta
alla giovane Crepereia Tryphaen, rinvenuta nella tomba della ragazza più di un
secolo fa e conservata attualmente ai Capitolini. La bambola, gioco di infanzia
della ragazza vissuta nel II sec. d.C., ormai in età adulta e probabilmente già
sposata e madre al momento della morte, recava con sé un cofanetto contenente
gioielli, pettinini, spazzole e specchi in miniatura, la cui chiave era
custodita in un anello d’oro al dito di Crepereia, cosa che attesta come
solitamente le bambole fossero delle fedeli compagne per le fanciulle, atte a
seguirle nella crescita e a non abbandonarle mai.
Ovviamente una volta
cresciute, le bambole non erano più però un gioco usuale per le loro padrone,
che sicuramente preferivano divertirsi in altro modo durante l’arco della
giornata: dalla Villa del Casale a Piazza Armerina, il pavimento musivo di una
delle sale risalente al III secolo d.C., rivela alcuni modi di divertirsi
tipico delle ragazze d’età imperiale. Tra tutte spiccano le due fanciulle
intente a giocare a palla comode nel loro bikini, l’indumento a due pezzi
utilizzato dalle donne durante le gare a carattere sportivo.
Mosaico delle dieci ragazze, III sec. d.C., Villa del Casale, Piazza Armerina |
Il gioco della pelota, da Las
Cantigas de Santa Maria di Alfonso X, XIV sec., Escorial, San Lorenzo |
Senza dubbio più
imbragate le donne che giocano alla pelota, raffigurate nella miniatura dell’opera
poetica iberica Las Cantigas de Santa Maria, volute da Alfonso X e custodite
presso l’Escorial di San Lorenzo. Come le due fanciulle che giocano a palla
nella Villa del Casale di Piazza Armerina, anche le donne che giocano alla
pelota sono intente a divertirsi con la palla di pezza, lanciata in aria da una
loro compagna munita di una mazza: si potrebbe pensare che questo gioco fosse
praticamente un antenato del baseball, da come viene raffigurato.
Giocatore di scacchi, XI sec, mosaico, Basilica di San Savino, Piacenza |
Nella stessa opera del
XIV secolo, trova posto anche la raffigurazione del gioco degli scacchi.
Nella miniatura, due
signori appaiono intenti a giocare con pezzi e scacchiera all’interno di un
palazzo; il primo è in procinto di muovere il Re, mentre il secondo attende
paziente il suo turno.
Interessante è notare
nell’illustrazione, come la scacchiera sia raffigurata verticalmente nel suo
piano d’appoggio, un’imprecisione tipica del disegno medievale pre - prospettivo
e pre – volumetrico necessaria a rivelare ogni particolare presente nella scena,
come si evince per altro in altre testimonianze precedenti e coeve, una su
tutte il Giocatore di scacchi del mosaico pavimentale della Basilica di San Savino
a Piacenza.
Il gioco degli scacchi, da Las Cantigas de Santa Maria di Alfonso X, XIV sec., Escorial, San Lorenzo |
L. Van Leyden, Il gioco degli scacchi, 1505, olio su tela, Staatliche Museen, Berlino |
A tal punto è
simpatico notare come con l’avvento della prospettiva, la diffusione del suo
studio, e l’evoluzione del disegno quale copia dal vero, la resa della
scacchiera nella raffigurazione di ipotetiche partite, segua visioni più
realistiche.
Agli inizi del XVI
secolo, il pittore fiammingo Lucas van Leyden, raffigura in modo più armonioso
rispetto al passato, la volumetria della scacchiera, adagiandola elegantemente
sul tavolo. Se da un lato la prospettiva non è ancora del tutto precisa, dall’altro
è lodevole il modo in cui il dipinto documenta la dedizione da un lato e l’impazienza
dall’altro, dei due giocatori che si stanno sfidando.
S. Anguissola, Partita a scacchi, 1555, olio su tela, Museum Narodowe, Poznan |
Decisamente più
realistico e proporzionato, l’autoritratto di Sofonisba Anguissola, intenta a
giocare a scacchi. Nonostante la volumetria del suo profilo si annulli in una
visione bidimensionale, tavolo, scacchiera e pezzi sono resi in modo meticoloso
ed elegante: la scacchiera appare leggera nel suo spessore molto fino e nell’incavatura
interna; i pezzi sono rifiniti nei particolari, nella lucentezza delle loro
rotondità e nelle delicate cromie chiare e scure.
Scommessa al gioco dei dadi, sec.XV, miniatura, Bibl. Riccardiana, Firenze |
Oltre agli scacchi,
altro gioco molto in voga nel medioevo era quello dei dadi, un gioco vietato in
molte contee perché visto come fonte di sperpero di ricchezze e di perdizione. Per
quanto però torture e pene capitali severe avrebbero dovuto garantire la messa
al bando del suddetto, il gioco dei dadi continuò a svilupparsi nella sua
illegalità, come testimoniano diverse miniature e dipinti.
A testimonianza di ciò
si guardi la miniatura del XV secolo, della Scommessa al gioco dei dadi,
proveniente dal Trattato di aritmetica di Filippo Calandri. Nella miniatura in
questione, due uomini sotto un loggione sono intenti a calcolare tutte le
combinazioni possibili derivanti dai lanci dei dadi.
Anche Caravaggio, due
secoli più tardi, tocca il tema del gioco d’azzardo nella sua tela de’ I bari,
custodita in Texas al Kimbell Art Museum di Fort Worth. La scena raffigura due
giocatori intenti a disputare una partita dello “zarro”, un gioco d’azzardo
bandito nella penisola perché ritenuto pericoloso per via delle risse che ne
scaturivano tra i giocatori.
Nel caso di genere, la
situazione raffigurata è decisamente interessante, perché attesta in modo accurato
e psicologicamente valido, il modus operandi dei bari, per cui uno dei due si
proponeva di giocare contro il fanciullo ignaro, mentre l’altro, postatosi
dietro di questo, suggeriva al primo le carte possedute dall’ingenuo ragazzino.
Caravaggio, I bari, 1594, olio su tela, Kimbell Art Museum, Fort Worth |
G. De La Tour, Giocatori di dadi, 1650,
olio su tela, Teesside Museum, Middlesbrough |
Qualche decennio dopo
anche Georges de La Tour, ripropone il tema del gioco d’azzardo, nella sua tela
Giocatori di dadi, custodita nel Teesside Museum di Middlesbrough. Come nella
migliore tradizione caravaggesca, anche qui la componente peculiare del dipinto
è data dal gioco creato dalla luce artificiale di una candela che squarcia il
buio della notte: la candela d’altronde era particolarmente legata al gioco d’azzardo,
perché costando molto, questa veniva puntualmente portata da qualche giocatore
che poi la donava al proprietario della dimora che ospitava partite e tornei. Il
detto “Il gioco non vale la candela”, deriva infatti dal lamento proveniente dai
giocatori che, avendo perso soldi o non avendo guadagnato nulla nel corso della
notte, non erano riusciti neanche a racimolare quanto speso per la candela
regalata.
J. Steen, Giocatori di birilli, 1663, olio su tela, National Gallery, Londra |
Un ottima descrizione
degli scontri tra i giocatori di dadi o di carte, è quindi data da Jan Steen
nel suo Argomento in un gioco di carte, olio su tela del 1656, sito allo
Staatliche Museen di Berlino.
Il dipinto infatti
raffigura la conseguenza derivante da una disputa avvenuta durante il gioco
delle carte, tra due uomini, assistiti da persone divertite dalla cosa. Mentre
la scena ritrae il dinamismo dei due litiganti, tenuti a freno dagli altri
popolani, l’occhio cade irrimediabilmente ai giochi gettati sul tavolo e sul pavimento:
alcune carte da poker e un backgammon.
Oltre a questa
tipologia, Steen dipinse anche scene ludiche molto più armoniose e tranquille,
come Giocatori di birilli davanti ad una locanda, olio su tela del 1663 che
ripropone la dolcezza e la serenità di una tipica giornata passata a divertirsi
con una boccia e dieci birilli.
J. Steen, L’argomento in un gioco di carte, 1650 ca, olio su tela, Staatliche Museen, Berlino |
J. B. S. Chardin, Il castello di carte, 1737,
olio su tela, National Gallery, Washington |
La stessa serenità si
legge nel dipinto di Jean Baptiste Simon Chardin, che raffigura un ragazzo
intento a costruire un Castello di carte. L’olio su tela è importante perché racconta
un aspetto della vita quotidiana legato non ad un gioco di carte, ma ad un
passatempo ottenuto con l’utilizzo di queste. Le carte infatti, vengono svincolate
dal loro compito per essere utilizzate come sottili ed instabili mattoncini di
cartoncino, raccogliendo tutta la dedizione del fanciullo che, da perfetto
ingegnere, costruisce la sua casetta cercando ogni possibile equilibrio.
J.H.W. Tischbein, Corradino di Svevia e
Friedrich von Baden aspettano la sentenza, 1785,
olio su tela, Museo dell’Ermitage, S.Pietroburgo
|
La dedizione nel gioco
tocca anche i protagonisti della tela romantica di Johann Heinrich Wilhelm
Tischbein del 1785, nella quale Corradino di Svevia e Friedrich von Baden
aspettano la sentenza che li condannerà alla pena capitale per aver tentato di
usurpare il trono di Carlo d’Angiò. Infatti i due principi sembrano quasi più
infastiditi di essere stati interrotti durante la loro partita di scacchi, che
dal fatto di essere stati condannati a morte come rivelato dal giudice Roberto
di Bari.
Anche con l’avvento
dell’arte contemporanea il tema del gioco continua ad essere preso in
considerazione dagli artisti delle diverse correnti, che talora attraverso di
esso, raccontano una nuova poetica ed un nuovo modo di vedere le cose. È il
caso de’ I giocatori di carte di Paul Cezanne, olio su tela del 1890, che
racconta meglio di tante altre opere il gioco geometrico e cromatico tipico del
pittore francese: i corpi dei due uomini intenti a concentrarsi sulle carte
nella locanda di paese, sono composti da rettangoli, cilindri e linee spezzate
e ricurve; i colori sono vivi e armonizzano l’intera scena.
P. Cezanne, I giocatori di carte, 1890, olio su tela, Musèe d’Orsay, Parigi |
J. Gris, La scacchiera, 1915, olio su tela, Art Institute of Chicago, Chicago |
Da Cezanne prenderanno
spunto sia Pablo Picasso che Henri Matisse per i loro stili: il primo darà il via insieme a
Juan Gris al cubismo (nello specifico
del tema si veda l’analitica scomposizione de’ La scacchiera del 1915, sita all’Art
Institute di Chicago); il secondo creerà le fondamenta per il fauvismo,
corrente che fa del colore il mezzo espressivo per eccellenza.
E a tal proposito si
veda come Matisse sia riuscito a sposare il suo stile pittorico ed il tema del
gioco in due sue opere: La famiglia del pittore e Gioco di bocce.
H. Matisse, La
famiglia del pittore, 1911, olio su tela,
Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo
|
Nel primo del 1911, è
chiaro il rimando ai diversi esperimenti di composizione decorativa, dove alle
innumerevoli stoffe che decoravano il salone di casa Matisse, si viene a
sovrapporre la rappresentazione dei diversi componenti della famiglia del
pittore: la moglie Amelie con un vestito color senape fiorato, la figlia Marguerite
con un abito lungo nero ed i piccoli Jean e Pierre assorti nel giocare a dama.
Nel secondo del 1915,
è evidente la riconduzione stilistica e cromatica alla Danza ed alla Musica, i
pannelli custoditi così come il Gioco di bocce, al Museo dell’Ermitage: i colori
principali adoperati nella tela sono il verde per il prato, l’azzurro per il
cielo, il rosa per i corpi, il rosso per il telo ed il nero per le bocce; tutto
è ricondotto ai minimi termini a creare quasi una sorta di atemporalità ed aspazialità
del gioco, esistente da sempre ed esistente per sempre.
H. Matisse, Gioco di bocce, 1905, olio su tela, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo |
Solo cinque anni più
tardi, a Prima Guerra Mondiale finita, un altro esponente dell’Espressionismo
ritornerà sul tema del gioco: il tedesco Otto Dix con la sua tela de’ Invalidi
di guerra giocano a carte. La tela, custodita alla Neue Nationalgalerie di
Berlino, raffigura tre reduci di guerra nei quali è estremamente evidente lo
storpiamento fisico al limite dell’inverosimile: eppure nonostante i disagi e
gli impedimenti che caratterizzeranno i tre reduci fino alla fine dei loro
giorni, le loro espressioni sono tranquille, sorridenti e incentrate sulle
carte, a dimostrazione che nonostante ogni avversità che può cogliere l’uomo
nel corso della sua vita, il gioco sarà sempre una via per raggiungere momenti
di felicità e benessere dell’anima.
O. Dix, Invalidi di guerra giocano a carte, 1920, olio su tela, Neue Nationalgalerie, Berlino |
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