In un momento di
riscoperta dei primi due decenni del Novecento, affascinato sempre più dal
rapporto indiretto avuto negli ultimi tempi coi protagonisti della storia
mondiale di quegli anni, (vedi articoli Midnight in Paris; Pamela Bianco; Rimedi per la cura all'invecchiamento direttamente dal 1915), ragionando sul rapporto armonioso che configura musica, arte e
spettacolo, non ho potuto esimermi dal raccontare la figura della danzatrice
Isadora Duncan.
Pseudonimo di Dora
Angela, Isadora (classe 1877) fu una danzatrice statunitense, che
rivoluzionò il concetto di danza sino al punto di avviare il nuovo processo di
formazione della danza moderna.
Nel pieno clima del
Positivismo, dell’Avanguardia e degli Anni ruggenti, la Duncan rivelò una
dicotomia notevole nel suo vissuto: se da una parte, si rese moderna essendo una
donna emancipata ed ebbe intense relazioni affettive, (tra cui quella con il
poeta Sergej Esenin, che sposò, ma di cui rimase vedova dopo soli tre anni),
dall’altra la sua figura fu connotata da un forte tradizionalismo artistico,
essendo ella molto impostata e “fisicamente educata” per via della sua formazione
classica.
Isadora Duncan durante un'esibizione |
Essendo californiana
di nascita le sue prime esibizioni si svolsero negli Stati Uniti, verso
la fine dell'Ottocento. Esibizioni connotate da qualche incertezza, nel pieno
di un accademismo che ancora non aveva lasciato spazio all’innovazione: forse
proprio per questo non furono molto apprezzate.
Poi nel 1900 si
trasferì e danzò prima a Londra poi nel resto d’Europa, dove a contatto
con il nuovo clima positivista volto ad una maniera moderna di intendere le
arti, si aprì ad una lunga serie di esibizioni,
che le valsero l'ammirazione di molti artisti e intellettuali dell'epoca.
E fu proprio l’idea
che anche il ballo dovesse modernizzarsi così come le arti, che le permise di effettuare
una radicale rottura nei confronti della danza classica di stampo
accademico: convinta che le imbragature dei costumi pesanti previsti da tale
danza, non permettessero la libertà e l'espressività dei movimenti, abolì nei
propri spettacoli le scarpette a punta, preferendo spesso di ballare a piedi
nudi e gli artificiosi abiti, sostituiti da veli e stoffe semplici e leggeri,
che ricordavano il peplo dell'antica Grecia.
G. Klimt, Judith II, 1909, pittura su tavola, Galleria Internazionale d'Arte Moderna, Venezia. |
Le innovazioni da lei
apportate ovviamente non riguardarono solo un riassestamento della danza a
livello generico. Spinta dall’intuito che era possibile creare una nuova forma
di arte attraverso la danza, tentò di tramutare la linea tipica della
nuova corrente artistica europea dell’Art Nouveau in una serie di movimenti
atti a tradurre in linguaggio del corpo, proprio le linee serpentinate ed
ondulate, con tratto a frusta, usate dagli artisti del tempo come Mucha,
Beardsley e Klimt.
Le
sue "danze libere", coadiuvate da una sensualità estrema e
dall’utilizzo ingegnoso di sciarpe e veli lunghi e leggiadri a creare movimenti
ondulati nell’aria, le valsero la piena affermazione e l’idolatria del popolo,
che la riconobbe una della figure più note del mondo di allora.
Ma fu
proprio l’oggetto della sua fama e gloria ad ucciderla.
Isadora
Duncan infatti morì tragicamente all’apice del successo, strangolata da
quella sciarpa che le era valsa la notorietà e l’aveva rilegata tra le
figure di spicco dell’Europa degli Anni Venti.
Infatti, per uno
strano caso del destino, proprio quella sciarpa impigliandosi nei raggi delle
ruote dell'automobile da corsa Bugatti sulla quale la Duncan era
appena salita, la strangolò lasciandola esanime sulla vettura in corsa per le
strade di Nizza, nel ricordo dell’ultima frase esclamata dalla diva prima di
partire: “Adieu, mes amis. Je vais à la gloire!” [ Addio, amici, vado verso la
gloria!]
Isadora Duncan |
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