Wonder Woman esiste. E
vi sbagliate amici cultori della fumettistica, se credete che stia parlando di
Diana Prince.
Il suo nome è Ilaria
Saccares, ventiseienne dolcissima ma tanto tenace e determinata, che nonostante
gli innumerevoli impegni lavorativi dai ritmi severi, riesce a vivere
l’università e la sua passione per la Storia dell’Arte in modo affatto
superficiale, prestando sempre particolare attenzione ai progetti ed alle
innovazioni che si fanno strada proprio nel suo campo di formazione.
A tal proposito,
attualmente la nostra eroina impegna il tempo libero che le rimane presso
l’Archivio Centrale dello Stato, dove sta ultimando uno stage volto alla
schedatura digitale dei documenti d’Archivio.
D: Ti ho definito Wonder Woman perché in effetti lo sei. Ci
conosciamo da anni e sai quanto ti stimo per come gestisci la tua vita. Riesci
a fare tutto senza mai demordere, rispettando ogni sorta di impegno, che sia
professionale o ludico, anche quando sei provata da turni di lavoro alquanto
pesanti, essendo assistente di sala presso due grandi enti quali il Palazzo
delle Esposizioni e le Scuderie del Quirinale. Come vivi il tuo lavoro? Quali
sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi che lo connotano?
R: Innanzitutto grazie
per la stima e per aver aggiunto l’opzione “ludico” piuttosto che un aggettivo deprimente
legato alla casa o alla famiglia, che sono un altro bel da fare! Sarò sincera,
per diventare wonder woman, ci vogliono anni di duro allenamento. Prima di
approdare nel mondo dei servizi d’accoglienza museali sono passata attraverso
tutti i più tipici lavori da studentessa universitaria, fin dal primo anno
quindi ho cercato di trovare un giusto equilibrio fra lo studio ed il lavoro. Il
mio buon proposito non mi ha affatto soddisfatta per il primo anno, è andato
meglio il secondo, ancor di più il terzo e così via… sono diventata sempre più
brava nel combattere la stanchezza e la frustrazione e ad accettare rinunce e
sacrifici che, parliamoci chiaro, se vuoi studiare bene e lavorare devi fare
necessariamente. L’alternativa sarebbe lasciare una delle due cose, ed io non
avrei mai potuto accettare l’idea di non avercela fatta. Per riuscire a fare
tutto bisogna essere manager di se stessi, organizzare quasi nel dettaglio, saper
trasformare ogni imprevisto, immancabile soprattutto quando si traccia una
rotta, e saperlo reinserire a proprio vantaggio all’interno del percorso. Ho
superato tante difficoltà ed imparato ad accettare me e la mia vita, qualunque
cosa si faccia, bisogna crederci, avere fiducia ed ottimismo. Qualunque cosa si
faccia va fatta nel massimo delle proprie potenzialità, altrimenti è inutile.
Alla fine tutto si crea… Intendiamoci, c’è anche chi riesce a far tutto e bene
con uno sforzo notevolmente inferiore rispetto al mio, ma piuttosto che
lamentarmi di questo ho scelto di andare avanti.
Beh che dire del mio
lavoro ora, sono passati già tre anni dal mio primo giorno, il tempo vola ed io
non posso crederci! Gli aspetti negativi sono né più né meno quelli che si
riscontrano su qualunque altro posto di lavoro, le dinamiche interne ad uno
stabile dove lavorano tante persone diverse, di diverso grado e di diversa
azienda,andrebbero analizzate in separata sede. Molte cose però, sono quelle
che ognuno riscontra nella società quotidianamente, molti vi riversano stress e
frustrazioni, c’è chi ama il tipico “ruffiano”, chi ha molte facce, chi manca
totalmente di comprensione o sensibilità, gelosie, abuso di potere, devo
continuare? Sul lato positivo però sono certa, ho conosciuto delle bellissime
persone, miei vicini collaboratori ovviamente; inoltre avere a che fare con i
turisti può essere molto divertente, soprattutto con chi viene da altre parti
d’Europa o del mondo, spesso forniscono aneddoti di cui vale la pena
chiacchierare davanti ad una birra. Infine, ma non per importanza, passare
tante ore la settimana davanti a tante opere, mese dopo mese, esercita la
memoria e sviluppa il pensiero critico. Finché non suona qualche allarme…
D: Il fil rouge che unisce questa e le altre interviste è la
domanda sul rapporto con il territorio.
Sono del parere che il territorio formi, motivi, educhi e plasmi in
qualche modo alcuni lati del carattere di una persona. Quanto ha inciso sul tuo
essere, la terra in cui sei nato e hai vissuto? Qual è il rapporto che vivi con
il paese in cui risiedi?
R: Cosa dire di una città
come Roma, è il traffico automobilistico il suo unico vero difetto. A parte
ciò, uno dei miei più vecchi ricordi di bambina riguarda i vicoli di Roma.
Viaggio spesso ed è uno dei motivi per cui lavoro, concedermi la visita e
quindi lo studio di altre città… sarò banale ma l’aria di Roma andrebbe
conservata in un Museo. Peccato che poi quel museo subirebbe una pessima sorte.
Il rapporto con il paese Italia è di certo più complesso e problematico e
comprende ovviamente anche la valorizzazione della mia città natale. Non
potendo arginare il fenomeno degenerativo che già da molti anni riscontravo e
riscontro nell’andamento generale, sono giunta alla conclusione che l’unica
cosa che valga la pena studiare in un paese come questo, sia la storia
dell’arte.
D: Ti sei laureata in Storia
e Conservazione dei Patrimonio Artistico e Archeologico presso l’Università di
Roma Tre e ora sei quasi in dirittura d’arrivo alla laurea magistrale in Storia
dell’Arte presso la stessa università. Se riuscissi a darne una definizione,
cos’è per te l’arte? Hai un artista o un’opera d’arte che preferisci tra tutte?
R: L’arte è una sorpresa continua, anche quando guardi per la
millesima volta la stessa opera, qualsiasi sia la sua natura, non puoi non
sorprenderti e domandarti come sia possibile che un essere umano abbia
realizzato una cosa del genere, quale naturale strepitoso talento, per qualche
minuto la bruttezza del mondo svanisce. Ho avuto vari amori negli ultimi dieci
anni, mi ricordo di aver adorato Caspar David Friedrich, Delacroix, Monet,
Renoir mentre ero al liceo; un gran colpo di fulmine poi per Picasso così
all’improvviso qualche anno fa, dopo la lezione della professoressa Iamurri su
Guernica; ma Correggio e il Parmigianino, e Annibale Carracci e tutta la sua
scuola poi… perché Tiziano? O i fiamminghi dal ‘400 fino al 1600!? Michelangelo
pittore, scultore e architetto, Ah mannaggia! Va bene dai, tu lo sai, che fra
tanti amanti, avrei sposato Raffaello pur sapendo che sarei rimasta vedova
molto presto, e non solo.
D: Sempre con la stessa Università, grazie alla
collaborazione tra il professor Mario Micheli, docente di Storia e tecnica del restauro
e la Dottoressa Maria Letizia Sagù, responsabile d’Archivio, hai avuto modo di
far parte di un progetto innovativo e pioneristico, che lega la storia
dell’arte all’archivistica.
Ci racconti di cosa si tratta?
R: Tecnicamente, si tratta di comporre una scheda dettagliata
(su foglio access appositamente concepito) per ognuno dei fascicoli contenuti
in ogni “busta”, più semplicemente un faldone di documenti, facenti parte del
fondo della Direzione Generale Antichità e Belle Arti, nel nostro caso
principalmente la divisione che va dal 1908 al 1924. Lo scopo è quello di
salvaguardare un vasto patrimonio documentario, potendo andare avanti ancora
per molto con questo tipo lavoro, ed assicurare agli studiosi di domani una più
rapida ed affidabile ricerca d’archivio, rendendo digitale la consultazione del
lavoro effettuato. Vastissimo è il materiale che avrebbe bisogno di questo tipo
di iniziativa, in molti istituti di cultura italiani, e non solo.
Romanticamente, si tratta di provare la meraviglia che nasce dall’aprire un
nuovo fascicolo che, con molta probabilità, conterrà una storia interessante da
poter ricostruire, fotografie, planimetrie, atti ufficiali, controversie,
richieste, desideri e speranze dei personaggi che hanno reso impareggiabili
quegli anni, carteggi inediti spesso dai toni personali che con il trascorrere
dei mesi ti portano ad avere l’impressione di conoscere davvero i personaggi
che li firmano. Certo, una volta che si è imparato a leggere quelle pazzesche
firme! Potendo sfruttare quest’ambivalenza ogni studente ricercatore del team
scrive quasi dal nulla la sua tesi, ognuna con un titolo ispirato alle
tematiche trattate nel fondo.
D: Pensi che questo progetto possa aprire a nuovi sbocchi
lavorativi in un periodo di alta crisi economica ed in cui la disoccupazione è
al vertice, come quello che stiamo attraversando?
A tal proposito, hai progetti già definiti per il futuro?
R: Questo progetto è senza dubbio sensazionale. Già il solo
lavoro di digitalizzazione e riorganizzazione degli indici vale la qualifica di
opera storica, senza contare anche tutta la schedatura. In questa fase, sebbene
non pagati, stiamo gettando le basi per una nostra ulteriore qualifica e
specializzazione, utile sen’altro per futuri, spero non troppo, sbocchi
professionali. I progetti definiti ci sono, nella loro formulazione teorica,
sai bene che ci stiamo impegnando per farci conoscere e renderli pratici, c’è
molto bisogno di noi nel mondo. In un periodo come quello che hai descritto
bene nella domanda è di fondamentale importanza sapersi mettere in gioco, ideare
qualcosa di nuovo, di pionieristico (cit.), di interessante a livello globale,
bisogna avere idee brillanti, da portare avanti con convinzione perché ancora
non si vuole accettare di non fare il lavoro per il quale si è tanto studiato.
Pensieri validi e tanta volontà.
D: Ultima domanda. Com’è lavorare con
me?
R: Aspetta, preparo il
violino.… ma le mie note saranno sincere. Oltre ad essere un elemento più che
mai valido all’interno di un team, per la tua caparbietà e la tua preparazione
come singolo, sei una persona sulla quale si può contare. Serio e disponibile,
non disdegni mai gioiose pause pur mantenendo alta la qualità del lavoro.
Disponibile al dialogo e molto chiaro, sincero forse a volte troppo schietto,
ma in fin dei conti è un bene. Non ti tiri indietro di fronte alla mole di
lavoro, né personale né per l’Archivio; sei sempre pronto ad aiutare e a dare
un tuo consiglio, a me ed anche a tutti gli altri. Bellissima cosa. Ovviamente
io ero molto felice all’idea di lavorare con te anche prima che diventasse
pratica. Autonomo ed indipendente con metodo, ti avrei scelto anche io come
tesista.
E poi… le nostre tesi
comunicano, diciamolo pure!
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