venerdì 19 aprile 2013

L’inadeguatezza dell’assetto museale italiano: Napoli e Pompei, oggi come cent’anni fa.


Leggendo l’articolo di denuncia del caro amico Stefano Cominale, che ha indagato a fondo circa le cause e lo svolgimento della cattiva gestione dei beni culturali nel nostro paese, a differenza dell’ottimale valorizzazione data dall’assetto museale dei paesi esteri (nello specifico la presentazione della mostra su Pompei ed Ercolano “Life and death in Pompeii and Herculaneum” ad opera del British Museum, vedi articolo), trovo altamente stimolante, apportare alcune segnalazioni datate in massima parte al 1917, ad opera di persone che hanno avuto a che fare in un modo o nell’altro con il Museo Nazionale di Napoli e con il sito archeologico di Pompei.

Forse scavando un po’ negli anni è possibile riuscire capire dove nasce o dove si sviluppa il gap evidente tra la gestione del patrimonio acquisito dagli inglesi e la gestione  del patrimonio di stirpe italiana, messo in evidenza nell’articolo postato nel Blog del Professore. 

Museo Nazionale di Napoli, foto conservata all'ACS di Roma. 
Ricercando tra le diverse scartoffie d’archivio per alcune ricerche personali, in diretto paragone tra Inghilterra e Italia, mi son imbattuto nella denuncia fatta dal Dottor Salvatore Mirone, studioso di numismatica, al Ministero della Pubblica Istruzione, al quale faceva notare come fosse dispiaciuto nel dover considerare l’alta efficienza dei musei anglosassoni (nello specifico il British Museum di Londra, l’Hunter Collection di Glasgow e l’Ashmolean Museum di Oxford) nel consegnare alla sua persona alcuni calchi di monete appartenenti all’antica Catana, previa sua istanza per motivi di studio, a discapito del Museo Nazionale di Napoli, che dopo numerose segnalazioni, non si era ancora accinto a consegnare alcun calco delle monete possedute.

L’allora sovrintendente Spinazzola, per conto del Museo, dichiarò più volte infatti, allo studioso, che non voler inviare quei calchi perché appartenenti a monete rarissime presenti solo presso la Collezione Santangelo; nonostante legge e regolamenti sui musei non vietassero assolutamente di ritrarre calchi dalle diverse opere. 


Museo Nazionale di Napoli, sezione,
foto conservata all'ACS di Roma. 
Rimanendo in tema “Museo Nazionale di Napoli”, proprio nello stesso anno si evidenziava presso le autorità competenti come l’incuria di custodi e vigilanti portasse ad una manomissione degli oggetti d’arte ivi siti, che sparivano letteralmente dalle bacheche poste nelle sale.

Un visitatore, a tal proposito dichiarava in una postilla informale diretta al Ministero: “Il Museo lo si vede più pulito si ma amputato e ridotto e non v’è settimana che non si chiudano al pubblico grandi reparti sotto la solita scusa di riassettare i locali! Noi con vecchie guide alla mano stiamo procedendo ad una severa e meticolosa inchiesta ed un giorno chiederemo conto di questo pubblico patrimonio!” 

Ancora, spostandoci a Pompei, il signor Levis, scriveva negli stessi giorni, una nota di rammarico alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti (organo centrale del Ministero della Pubblica Istruzione, addetto alla tutela, conservazione, valorizzazione delle opere d’arte ed alla gestione di musei e gallerie del Regno) dichiarando che, dimorando egli in America, era tornato in Italia con alcuni amici americani affinché questi potessero ammirare le bellezze della Certosa di San Martino, degli scavi di Pompei e del Museo Nazionale di Napoli. Ma il disgusto e la vergogna provate da lui ed i suoi amici, erano state di immane grandezza nel constatare l’effettiva situazione – definita d’anarchia - ed il grado di tolleranza alle infrazioni, presente in quei siti, dovute all’inadeguatezza ed all’inettitudine dei custodi.

Questi infatti, considerando che era assolutamente vietato l’accesso al “Gabinetto Pornografico” (probabilmente il Levis si riferiva agli affreschi delle terme suburbane)  già da parecchi anni, tranne che previa istanza al Ministero o alla Sovrintendenza, in cambio di una lauta mancia aggiravano il sistema e permettevano al visitatore di turno di potervi accedere.

Affreschi delle terme suburbane di Pompei
Non basta. Nonostante per l’epoca fosse fonte di grande scandalo che una donna ammirasse quelle pareti affrescate, sempre in cambio di qualche lira chiudevano un occhio sull’ingresso delle stesse.

Dall’altro lato il Ministero rispose, certo, ma non come ci aspetteremmo da una carica istituzionale il cui compito è la salvaguardia dell’arte nazionale. Da una nota a matita sullo stesso documento attestante la lamentela del signor Levis, si evince l’arrendevolezza del Ministero a quelle che potremmo definire “forze di causa maggiore”: “C’è del vero purtroppo! Ma non bisogna poi prendere le cose così nel tragico! Le mance le chiedono anche in Francia!”.

Biga di Spoleto, VI sec. a.C., bronzo,
Metropolitan Museum, New York
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Già, le mance. Cento anni fa sembrava che il problema di fondo fossero le mance e non il criterio di valutazione d’ingresso ad una zona vietata. E ‘sti gran cazzi se qualche anno prima una biga in bronzo di età etrusca scoperta in alcuni scavi a Spoleto prendesse il via verso il Metropolitan di New York riuscendo ad eludere l’Ufficio Esportazioni (e stiamo parlando di una biga in bronzo, non di un quadretto o una statuetta da camino), l’importante era salvare la faccia con gli altri paesi. Se le mance le chiedono in Francia, perché non Italia? Noi italiani non siamo mica stupidi, sapete?

Allora mi dico, forse è stato questo atteggiamento di nonchalance e noncuranza, o meglio, di massima cura verso aspetti superficiali a discapito di quelli più urgenti, a far si che si strascicasse questo modo di intendere la politica in arte, sino a permettere che sotto il Ministero Bondi crollasse una parete di una domus pompeiana.

Tornando all’articolo di Stefano, mi viene da pensare allora che non dovremmo poi così tanto rosicare se altrove sanno innalzare ai massimi vertici la roba che possiedono non per loro merito, ma che per loro merito è stata adeguatamente conservata.
Non dovremmo perché la verità è che noi non sappiamo farlo. Non sapevamo farlo cento anni fa e non sappiamo farlo oggi.

Solo che forse, a differenza di cento anni fa, quando fattori di carattere tecnico logistico permettevano la titubanza verso determinate decisioni, oggi non possiamo assolutamente addurre alcuna giustificazione al pessimo modo di applicare la politica di salvaguardia e tutela del nostro fortunato, meraviglioso, sublime, millenario e soprattutto immane, patrimonio artistico. 




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