Una delle azioni del
turista medio, che da storico dell’arte in erba ancora sto cercando di
inquadrare, è quella di salire in cima agli edifici più alti e caratteristici
della città visitata, relegando ad essa un senso di artisticità.
Tra le certezze della
vita infatti vi è quella per cui, il percorso previsto per arrivare sin nella
lanterna della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, o di San Pietro a
Roma, non rimarrà mai privo di adepti.
Ma cosa spinge il
turista a far ore di fila per poter guardare la città da quel punto di vista?
Interrogando me
stesso, e a dir la verità, porgendo la domanda anche a qualche amico per creare una discussione sull'argomento,
ho cercato di inquadrare il fenomeno, tentando di capire in che modo il tanto agognato
desiderio, toccasse la sfera artistica insita in ognuno di noi ed allo stesso tempo quanto la cosa, potesse però effettivamente essere considerata oggettivamente “artistica”.
Mi spiegherò meglio.
Sono sempre più convinto che il turista si senta spinto a raggiungere le alture
delle torri, delle cupole, degli edifici in genere, quasi come se quello fosse
il culmine di un iter artistico intrapreso con la visita della struttura in questione:
chi ammira l’interno dell’Altare della Patria o di Castel Sant’Angelo, può
scegliere di andare via, oppure può scegliere di salire sulla cima per poterne ammirare il
panorama. Fare la seconda cosa però, implica nella psiche del turista, l’idea
di completare un percorso artistico, perché il luogo in cui si esplica è tale.
È anche vero però, che
questa arida visione dei fatti, senza dubbio cinica e poco fiduciosa nei
confronti di un’intelligenza di base del profano in arte, può collimare con una
considerazione di stampo più analitico.
Infatti, provando ad
inquadrare in modo lungimirante il mero gesto, alla fine della fiera, una volta
in cima al luogo designato, ciò che tendenzialmente si apre alla vista del
visitatore è comunque un aspetto della città, che non può essere contemplato da
altri punti di vista.
Per cui, chi attende
per ore di salire sulla Torre Eiffel, alla fine sicuramente avrà del luogo
circostante una visione a 360° della città, che certamente non potrà avere da qualunque
altra altura di Parigi.
E a detta di ciò, su
un discorso prettamente inerente alle idee di stampo architettonico –
compositivo, spesso bisogna anche
ammettere che determinati scorci e inquadrature si possono ottenere solo da un determinato punto di vista specifico designato, come nel caso della serratura del cancello del Priorato, nel Giardino degli Aranci sul Gianicolo, dal quale è ammirabile la cupola di San Pietro.
Cupola di S. Pietro, visto dalla serratura del Giardino degli Aranci |
Quando vale questa
teoria, la mia tesi cade, anzi mi si ritorce contro: è vero che il gesto di
salire in una specifica altura non è esso stesso, gesto artistico, ma è anche
vero che questo, porta ad una visualizzazione prospettica e studiata del
paesaggio, configurando quell’azione come artistica.
In realtà se c’è
qualcosa che ho capito ragionando su quest’argomento, è che probabilmente l’associazione
dell’artisticità al panorama visibile dall’altura di un edificio artistico, è altamente
soggettiva.
E probabilmente non c’è
una verità assoluta, perché esulando dai tecnicismi e dagli stereotipi, in
fondo l’arte è tutto ciò che emoziona; e quindi se l’idea di ammirare un
paesaggio dalla terrazza di un monumento, porta il visitatore a provare emozioni
più per il luogo in cui si trova che per quanto vede, allora comunque ben venga,
che in qualche modo, sia riconosciuta artisticità a quella situazione.
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