Per la gioia di grandi e piccini che hanno idolatrato Lino Banfi a
nonno d’Italia, grazie al successo avuto con la celeberrima fiction di cui è
protagonista, l’ottava serie di Un Medico in Famiglia, ha avuto il suo esordio
sul primo canale delle reti nazionali.
Ora, analizzando per bene la fiction con occhio critico, lontano dalla
visione preadolescenziale, che era decisamente capace di oscurare in me ogni
forma di obiettività, noto con occhio spento che la stessa, mostra così come
ha fatto per otto anni in modo trito e ritrito, la famiglia tipica italiana che
non esiste. O che se esiste è davvero rara a trovarsi.
Insomma, quante famiglie in questo momento di crisi nazionale si
ritrovano a vivere in quattordici nello stesso villone alle porte di Roma,
potendosi permettere la colf o di esaudire ogni sorta di desiderio? Ed ecco che
con uno schiocco di mani Maria può sposarsi con Marco (il fatto che non accada
è un tecnicismo che esula dalle reali impossibilità economiche; fosse per nonno
e papà “sto matrimonio s’ha da fare”) e al suo matrimonio addirittura godere di
Al Bano che si esibisce per lei ed il futuro marito e Bianca darsi ad un
programma televisivo sul cioccolato (orsù, chi non ha un fratello che senza che
tu muova un dito ti permette di condurre un programma su rete privata!).
Però poveri Martini, che non si dica che abbiano solo fortune! Nonno
Libero e nonna Enrica son addirittura costretti a tramutarsi in investigatori
per riuscir a sventare una truffa fatta ai loro danni! Ben più energici di mia
nonna pensionata, acciaccata di diabete che passava tutto il tempo a casa a
veder le telenovela sudamericane.
Forse in fondo, però, a noi italiani piace credere che queste famiglie
esistano, perché sono esattamente il contrario di ciò che siamo noi. Loro a
differenza nostra non debbono tirare le cinghia, non debbono rassettare casa,
non debbono rimpiangere chissà cosa vedendo stupidi programmi che permettono di
sognare.
Permettiamo pure che accada questo però; alla fine noi italiani siamo
sognatori ed in questo momento critico magari ci fa anche bene sperare e vedere
cose belle.
Personalmente, devo dire, mi rammarico di costatare un plagio nella sceneggiatura
evidentissimo per i fan di Grey’s Anatomy.
Esattamente come il Seattle Grace – Mercy West Hospital del ben più
noto telefilm americano, in questa serie della fiction italiana, anche la
clinica Villa Aurora dove lavorano i Martini viene venduta a privati.
E guarda caso, esattamente come nel telefilm ambientato a Seattle, i
protagonisti della italiana odiano i dirigenti, che hanno trasformato la
clinica in un luogo asettico dove i pazienti vengono chiamati clienti. Persino
le brochure informative sono le stesse, rappresentanti un primo piano di un bel
dottore sorridente.
E non solo. Nella seconda puntata Maria viene licenziata perché la sua
specializzazione non porta clienti. Sapete, i licenziamenti sono l'argomento preponderante del vociare imperterrito di infermiere e dottori, nella sedicesima
puntata della nona serie di Grey’s Anatomy in onda in questi giorni.
E’ un caso tutto questo? Credo di no.
Solo che detto fra noi, mi risulta difficile che Sonda Rhimes abbia potuto
copiare da Nonno Libero & Co.
Il cast di Un medico in famiglia |
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