La delicatezza con cui
solitamente si va ad agire su un restauro, decisamente diventa maggiore quando
le opere d’arte protagoniste di tali operazioni sono sotto la giurisdizione di
uno stato estero, come per esempio, nel caso delle tele della Cappella
Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.
Proprio le tre tele di Caravaggio de La Vocazione di San Matteo, San
Matteo e l’Angelo ed Il Martirio di
San Matteo, che costituiscono un trittico meraviglioso sito nella Cappella
dedicata al santo effigiato nelle opere, sono le protagoniste indiscusse di una
storia inverosimile, che farebbe rabbrividire qualunque storico dell’arte. Una
storia di nicchia, bloccata in un faldone d’archivio che raccoglie i restauri di
quei quadri avvenuti ad opera del restauratore Tito Venturini Papari.
La storia ha inizio
nel 1920, quando, il Sovrintendente alle Gallerie ed ai Musei medievali e
moderni ed agli oggetti d’arte del Lazio e degli Abruzzi, comandò al
restauratore succitato, di stilare una relazione sulle condizioni effettive dei
tre olio su tela commissionati all’artista lombardo nel 1600; una relazione che
non senza un velo di drammaticità rivelò lo staccamento della verniciatura dal
supporto, che si esplicava nella dimostrazione di macchie bianche su tutta la
tela.
Il passo successivo, quello
più delicato perché consisteva nell’ottenere l’approvazione ai restauri dei
dipinti da parte del Presidente delle Strutture francesi a Roma, portò ad un
risultato dicotomico: se da un lato, con l’effettiva approvazione ricevuta, lo Stato
italiano vinse la battaglia portata avanti dall’Hermanin (il Sovrintendente di
allora) atta a dimostrare che l’Italia doveva essere la tutrice di tali opere
presenti su territorio nazionale per quanto giuridicamente straniere, dall’altro,
nel riscontrare le cause di quel deterioramento repentino, lo Stato Francese rivelò un’amara verità, che aveva inizio solo un anno prima.
L’ambasciatore
francese Barrère infatti, in una nota destinata al Ministero della Pubblica
Istruzione, nell’analisi delle motivazioni che portavano lo Stato francese a
concedere a spese dello Stato Italiano il restauro delle opere caravaggesche,
ricordava che nel mese di maggio del 1919 il professor Antonio Munoz,
Sovrintendente ai Monumenti in Roma, aveva chiesto proprio allo Stato Francese l’autorizzazione di far
fotografare i dipinti di Caravaggio, in vista di un lavoro che egli stava
preparando sull’artista.
Fin
qui nulla di sconvolgente se non fosse che, dopo aver ottenuto tale permesso,
assoldò il fotografo Pompeo Sansaini per tale lavoro.
Questo,
com’era solito fare per le fotografie di stampo artistico, dopo aver creato un
gioco di luci attraverso specchi posizionati in punti strategici della
cappella, coprì le tele con albume d’uovo al fine di renderle predisposte ad
una resa maggiore della fotografia.
A
riproduzioni create, il Sansaini prese il compenso delle foto e chiuse così l’iter
inerente a quel lavoro, dimenticando nella maniera più assurda ed aberrante, di
togliere lo strato d’albume dopo le fotografie scattate, permettendo così facendo, la produzione delle macchie bianche presenti.
In seguito
all’accaduto, il Sovrintendente Munoz, quando fu interrogato circa la spiacevole
situazione, rispose che aveva solo
accompagnato Sansoino nella Chiesa e che quindi poi, andando via, rimase estraneo alla tecnica che
questo aveva adoperato per ottenerle. Pertanto dichiarò che non era colpevole
della cosa, riponendo ogni responsabilità sulla figura del fotografo.
Fortunatamente
a porre rimedio allo scempio ci pensò nel 1922 Venturini Papari, grazie al
quale le tele si sono mantenute per ancora trent’anni, sino ai restauri
effettuati dall’ICR nei primi anni ’50.
Le tre tele de' La vocazione di S. Matteo, S. Matteo e l'Angelo e Il martirio di S. Matteo, nella Cappella Contarelli a Roma. |
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