Il tramonto nella
storia dell’arte è stato rappresentato in diversi modi, con diverse tecniche, ed ha spesso assunto
vari significati simbolici: la sua magia effettivamente si riscontra nel suo
ruolo di transito tra due realtà ben definite come il giorno e la notte, che
simboleggiano da sempre bene e male, bianco e nero, vita e morte. Spesso il tramonto
infatti connubia il sonno dei soggetti rappresentati o preannuncia un triste
destino, altre volte conclude un'azione, spesso illumina paesaggi di colori
caldi e morbidi.
Come già asserito nel
post propedeutico riguardante la raffigurazione del giorno nella storia dell’arte,
prima dell’avvento della pittura cosiddetta latina, è praticamente raro
riscontrare la presenza di un tramonto in un dipinto, essendo ormai quotato lo
sfondo dorato bizantino, e ancora nel Trecento non è del tutto affermata. Ma a
partire dal Quattrocento, il nuovo interesse per la natura, le attenzioni verso
il clima, la luce e il paesaggio, portano il tramonto ad avere un ruolo del
tutto particolare.
V. Foppa, Fanciullo che legge Cicerone, 1464,
affresco staccato, Wallace Collection, Londra |
A partire dall’affresco
di Vincenzo Foppa raffigurante il fanciullo che legge Cicerone. Il seguente, un
tempo facente parte del Banco Mediceo di Milano ed attualmente pezzo cardine
della Wallace Collection di Londra, è uno degli emblemi del Rinascimento: il
fanciullo che legge Cicerone, raffigura la riscoperta delle civiltà classiche e
il nuovo interesse nei confronti della filologia. Un emblema che respira
un’aria particolare grazie al tramonto che fa da sfondo al dipinto murale:
l’atmosfera rappresentata dal Foppa è rarefatta e multicolore, calda e così
delicata da trascinare la scena in un mondo indefinito, per alcuni tratti appartenente al
mondo coevo al pittore, per altri rimasto ancora agli anni della magniloquenza
romana.
Il Foppa d’altronde
non era nuovo alla resa del tramonto in un’opera d’arte: già circa otto anni
prima, nella sua tavole de’ I tre crocifissi ora all’Accademia Carrara di
Bergamo, aveva ambientato la scena in un ambiente dalle colline dolcemente
scoscese e arrotondate, a cui fa da sfondo un tramonto che non è quello
stemperato dell’affresco del Banco Mediceo, poiché a differenza di questo,
presenta un contrasto più netto tra i colori caldi del sole ancora presente e
quelli freddi della notte incombente, attraverso pennellate orizzontali di
luce, parallele tra loro, su un cielo reso per larghe campiture.
Ed è interessante
notare come circa un secolo dopo, Jacopo Bassano nella sua Crocifissione,
riprende in considerazione alcuni elementi presenti nel dipinto del Foppa, ma
al tempo stesso ne modifichi drasticamente altri. Rimane nella tela del Bassano
il contrasto tra il blu della notte nella parte bassa del cielo e gli aranci e
i marroni della parte alta, nonché l’andamento orizzontale delle pennellate;
viene altresì modificata la resa delle nuvole, più vaporose anziché diradate e
nette nella loro definizione.
V. Foppa, Tre crocifissi, 1456, tempera su tavola, Accademia di Carrara, Bergamo |
J. Bassano, Crocifissione, 1562, olio su tela, Museo Civico, Treviso |
Ma la sintesi dei due
pittori analizzati, è riscontrabile agli inizi del XVI secolo nel massimo
esponente della pittura tonale veneta: Tiziano. Osservando il Polittico
Averoldi, che regna nella Chiesa dei Santi Nazario e Celso a Brescia, è
interessante vedere come siano presenti gli elementi base presi in
considerazione nelle opere del Foppa e del Bassano (la cui opera è più tarda di
quella di Tiziano): simile al primo è la resa della parte bassa del tramonto
del polittico (presente anche in altre opere del Tiziano come il Ritratto di
Carlo V a cavallo), simile al secondo è quella nuvolosa della parte alta, per
quanto, sia notevole l’influsso giorgionesco.
Tiziano, Polittico Averoldi, 1520, olio su tela,
Chiesa di San Nazario e Celso, Brescia |
Tiziano, Ritratto di Carlo V a cavallo, 1548,
olio su tela, Museo del Prado, Madrid |
Domenichino, Riposo di Venere, XVII sec., olio
su tela, Ermitage Museum, San Pietroburgo |
Si veda infatti la
Venere dormiente del Giorgione, datata 1508, le cui nuvole volumetriche e ovattate disegnano
forme similari a quelle di Tiziano. Il tramonto che fa da sfondo alla tela, è
qui necessario perché parte integrante del racconto: il riposo del sole,
concilia con quello della dea, in un tripudio di colori caldi che sfumano
l’atmosfera, il paesaggio e la pelle della Venere. Ed è la stessa idea che
toccherà il Domenichino circa un secolo dopo, quando raffigurerà una Venere
adagiata e attorniata da putti, in procinto di riposarsi cullata da un tramonto
che è un armonioso fondersi di azzurri del cielo ed aranci dei cirri e dei cumuli
in piena campagna.
Giorgione, Venere dormiente, 1508, olio su tela, Staatliche Kunstsammlungen Gemalde Gallerie, Dresda |
C. Lorrain, Porto con villa Medici, 1637, Galleria degli Uffizi, Firenze |
Anche il Domenichino
si interessa infatti alla copia del paesaggio così come tanti suoi colleghi del
secolo: il Seicento infatti come si sa, vede approfondirsi un interesse mirato
allo studio degli spazi aperti fra i pittori fiamminghi, ma non solo: anche in
Italia, soprattutto nell’area pontificia, si sviluppa questa nuova
rivisitazione del genere. Tra i massimi esponenti vi è Lorrain, che in più di
un’occasione si apre allo studio del tramonto nei suoi paesaggi italiani: si
veda nello specifico Porto con Villa Medici, del 1637. Quello che spicca
immediatamente, decentrato ma punto luce della tela, è il sole ormai tangente
allo specchio d’acqua, dal quale si dirama una luce omogenea che sfuma
nell’azzurro del cielo e illumina le nuvole relegandole un volume delicato.
Rembrandt, Il mulino, 1650 ca, olio su tela, National Gallery of Art, Washington |
Ovviamente però,
parlando di pittura paesaggistica del Seicento, non si può non tenere in
considerazione Rembrandt; in particolare del suo meraviglioso dipinto de’ Il mulino.
Il paesaggio è
semplice quanto maestoso: su una rupe a strapiombo su un lago, si erge maestoso
un mulino di tre quarti, fiero delle sue quattro eliche. A chiudere l’armonia
del quadro un tramonto “stratificato” perché luminosissimo nella parte
centrale, molto più cupo e spento in quelle periferiche della tela, che si apre
a grosse nubi scure.
Un soggetto che un
giovane Mondrian riprenderà nel 1907, riproponendolo nella sua tela Mulino di
sera. Per quanto l’impostazione del soggetto paia similare a quella di
Rembrandt, cambia in Mondrian la concezione del tramonto, vista da questo come
un’esplosione armoniosa di calda luce: il tramonto di Mondrian è poetico,
tiepido, atmosferico nei leggeri tocchi di colori caldi accostati ad un bianco
comunque sempre presente. Infine le sagome degli uccelli fanno da nitido
contrasto al cielo, rendendo quest’ultimo ancora più luminoso di quanto
dovrebbe apparire.
P. Mondrian, Mulino, 1907, olio su tela, Geemente Museum, L’Aja |
Tra la fine del XVIII
secolo e gli inizi del XIX, in pieno clima neoclassico e romantico, anche il
tramonto diventa un simbolo cromatico del sentimento storico del tempo. È
chiaro in Angelica Kauffman, che nel ritratto di Francesco e Alessandro
Papafava, rappresenta un tramonto fatto di rosa, viola, blu luminosi che si
fondono tra loro a creare un’atmosfera intimista e romantica; è ancora più
chiaro nall’Allegoria della Russia di Veit, che trascina nella sua idea di
tramonto, le stesse cromie e gli stessi effetti che sono stati della Kauffman,
che sono in genere della pittura tedesca.
A. Kauffmann, Ritratto di Alessandro e Francesco
Papafava, 1803, olio su tela, Palazzo Papafava, Padova |
P. Veit, Allegoria della Russia, 1840, olio su
tela, Ermitage Museum, San Pietroburgo |
L’idea di tramonto
quindi, come fattore utile a rivelare un sentimento, come simbolo di un sentire
comune o di un avvenimento. È quanto accade peraltro nella Zattera della Medusa
di Gericault, in cui la tragedia della nave coloniale si apre ad una visione
tragicamente drammatica e cruda in cui la morte e la disperazione sono le
protagoniste assolute. Il tramonto qui, con i suoi colori, non solo fa da
triste cornice cromatica al triste avvenimento, ma quasi ne preannuncia la
tragedia, simboleggiando esso per primo una fine: quella del sole, che è vita,
e l’irruento intercedere della notte, che è buio, notte, oscurità.
T. Gericault, La zattera della Medusa, 1818, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi |
J. F. Millet, L’Angelus, 1858, olio su tela, Musèe d’Orsay, Parigi |
Il tramonto visto come
fine della giornata, fine di un momento, sarà ripreso quarant’anni dopo da
Millet nel suo L’Angelus, un dipinto dai forti connotati sacrali. Quello di
Millet però, non è un tramonto esplosivo come quello di Rembrandt, né caldo
come quello di Lorain, né romantico come quello di Veit: è un tramonto
intimistico, educato e silenzioso. In punta di piedi, arriva e sancisce la fine
della giornata dei due contadini che vivono alla giornata e vivono secondo la
giornata: la loro sveglia coincide con l’alba, il pranzo con il sole alto nel
cielo, e la fine dei lavori con il tramonto e la recita dell’Angelus, secondo
un incastro solido ed una convivenza
equilibrata tra religione e natura.
V. Van Gogh, Seminatore al tramonto, 1888, olio su tela, Museo Kroller Muller, Otterlo |
Al dipinto di Millet
si rifà Van Gogh nel suo Seminatore del Museo Koller Muller di Otterlo. Dal
primo, il pittore olandese riprende la concezione della sacralità del lavoro
nei campi, ma nulla di più. Perché il tramonto di Van Gogh è esplosione di
vita, è l’irradiamento materico e vigoroso della luce emanata dal centrale disco d’oro, che sfuma nella
bionda distesa di grano. Il seminatore di Van Gogh non sembra accettare
serenamente la fine della giornata come quello di Millet, ma pare non curarsene
per continuare pacificamente il suo lavoro: d’altronde come potrebbe con un
gioco di luci e calore così intenso?
E. Munch, L’urlo, 1893, olio su tela, Galleria Nazionale, Oslo. |
In fondo ogni pittore
ha visto nel tramonto l’interpretazione che meglio ha preferito. E se per
Millet il tramonto è la dolce fine di una serena giornata e per Van Gogh è
l’esplosione di luce prima della notte, per Munch il tramonto è stato la
rivelazione della sua angoscia esistenziale.
Infatti, celeberrimo è
il suo dipinto de’ L'Urlo, che questo eseguì nel 1893, il cui protagonista
fermo su un ponte, emana un urlo lancinante:
“Camminavo lungo la strada con due
amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso
sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo
nero-azzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici
continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo che un
grande urlo infinito pervadeva la natura.”
Ben chiare allora, a lettura della
descrizione, diviene l’atipica resa del tramonto, attraverso larghe pennellate
ondulate di gialli, rossi e azzurri.
In totale antitesi
Lusso Calma e Voluttà di Matisse, dipinto circa dieci anni dopo l’Urlo. In
perenne ricerca della luce ideale, approdato sulle coste del sud della Francia,
Matisse dipinse questa tela cercando di assorbire le influenze di Seurat per
quanto riguarda la tecnica del puntinismo, e di Manet e Cezanne per quello dei
soggetti (La colazione sull’erba del primo e le bagnanti del secondo). E Lusso
Calma e Voluttà è il suo esperimento riuscito, l’esatto connubio tra la luce
ideale – quella del tramonto – e il soggetto giusto, per arrivare al concetto
di armonia, felicità e tranquillità, in un accostamento metodico di lingue di
colore gialle, rosa, viola, rosse e azzurre, al fine di rappresentare quel
luogo dove, come recita la poesia di Baudelaire a cui si era ispirato il
pittore: “..tutto è ordine e beltà, lusso, calma e voluttà”.
H. Matisse, Lusso, Calma e Voluttà, 1904, olio su tela, Musèe d’Orsay, Parigi |
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