La consapevolezza che
l’Italia fosse il paese dell’Arte non è cosa risaputa dall’alba dei tempi. Il
fatto che la prima legge di tutela che garantisse le opere d’arte italiane
fosse stilata nel 1902, lo dimostra bene.
Proprio quelli, erano
gli anni in cui, venendo stilato il Catalogo Nazionale delle cose artistiche in
Italia, i letterati, i cultori d’arte, scoprendo opere di grandi artisti inedite
al mondo e dichiarate dai privati, dedicavano a queste le prime pubblicazioni.
Sono questi gli anni
in cui prendono vita i saggi di eccellenze come Morelli, Cavalcaselle, Crowe, Ricci, prima;
Toesca, Cavenaghi, Argan, Longhi poi.
Tra le personalità geniali responsabilizzate ad una dettagliata Catalogazione, vi erano i
Sovrintendenti: cariche istituite nel 1907, per poter gestire l’esecutivo, su
scala nazionale.
In base a quanto
suddetto, non era raro che i Sovrintendenti nelle loro ricognizioni e nelle
loro ispezioni dell’entroterra regionale, scovassero perle rare nelle badie e nelle pievi diroccate sui monti, o nei palazzi centralissimi delle città: proprio
nelle gite alla rivalutazione di opere d’arte possedute dai nobili, spesso ci
si ritrovava a dover confermare l’appartenenza di queste a Tintoretto, Tiziano
o Caravaggio, e ancora capitava che magari la presenza di un’opera d’arte in un territorio che non si sapeva toccato dall’iter dell’artista a cui si attribuiva il
quadro, aprisse ad una nuova visione dell'arte.
Quando il
Sovrintendente o lo storico dell’arte (figura retorica perché la storia dell’arte
era inglobata nella laurea in Lettere) si ritrovava ad esaminare un’opera, era
suo compito stilare una perizia ufficiale di quanto visto. Era persona competente
il Sovrintendente, che solitamente conosceva così bene lo stile e la tecnica
dei più grandi pittori e scultori, che ad occhio, dalle svirgolettate, dalla
resa anatomica delle figure, dai colori, riusciva ad individuare se non l’artista, almeno la scuola a cui apparteneva l’esecutore del dipinto o della scultura.
I criteri sui quali si
faceva affidamento per il giudizio ufficiale erano diversi, disparati e molto
difficili, il che rendeva poche volte oggettivo il giudizio stesso: è anche per
questo se, ad oggi, si studia la critica d’arte per aver una visione a 360° di
un bene culturale sul quale non ci sono fonti certe.
A seguire, riporterò
una perizia stilata da Giulio Cantalamessa, Sovrintendente alle Gallerie ed ai
Musei Medievali e Moderni del Lazio e degli Abruzzi: questo era il responsabile
della gestione dei beni culturali di Roma e di mezzo regno pontificio di un tempo; era un
uomo in gamba che non di rado decideva di proprio pugno di intraprendere
restauri ai dipinti che ne necessitavano e di acquistare, trasferire e depositare
opere nei diversi musei dell’allora Regno d’Italia.
Nella perizia, è descritto un quadro a soggetto mitologico, che il Cantalamessa attribuisce al Verrocchio. Dal testo è possibile capire quanta incertezza potesse appartenere in
un periodo in cui la scienza non poteva fugare ogni dubbio sull’autenticità ma
anche quanta passione, accompagnasse, lettera per lettera, quella descrizione.
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