Il testimone,
programma condotto magistralmente da Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, è
probabilmente uno dei programmi più interessanti e formativi che la tv italiana
attualmente ci offre. Come tradisce il nome, Pif documentando con la sua videocamera
a mano, le situazioni argomentanti il tema scelto della puntata, testimonia le
diverse realtà presenti in Italia.
Ricordo molto
piacevolmente una delle puntate registrate dal comunicatore, incentrata sulla
situazione italiana per quanto ne concerne il cambio di sesso: attraverso
domande delicate e semplici da concepire, spiegò un mondo per alcuni versi
ancora sconosciuto ai più; raccontò la vita di tutti i giorni di Giulio,
Christian e Mattia, tre ragazzi nati donna, che nel pieno della maturità hanno
trovato il coraggio di modificare il loro corpo e ricongiungerlo alla loro
anima.
Probabilmente, almeno
a mio avviso, la puntata de Il testimone più intensa, elegante ed educativa di
sempre è stata quella che ha chiuso la quinta stagione, che ha avuto come oggetto Roberto Saviano, il noto giornalista
vessato dalla camorra (essa non merita una maiuscola per quello che è, quindi il
discorso varrà anche per le prossime volte in cui userò il termine) per aver
raccontato la realtà mafiosa del suo paese.
Creando un leggero
preambolo prima di affrontare la questione, per chi non conoscesse il
giornalista, Roberto Saviano è l’autore di Gomorra - Viaggio nell'impero
economico e nel sogno di dominio della camorra, libro nel quale si racconta in
modo nudo e crudo il mondo affaristico, imprenditoriale e soprattutto criminale
della camorra, nel territorio in cui si esplica.
Napoli, Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, l'agro aversano, sono
tutti luoghi vissuti dallo scrittore, che, quindi, conoscendo le realtà che lo
hanno condizionato, ha deciso nel 2006 di rivelarle alla gente, - sicuramente non
ignara ma omertosa - come a volerla spronare a schierarsi nella vita a fianco di
quello che per noi è il senso di giustizia e verità.
Il
libro parla di boss malavitosi che si son creati a loro gusto un mondo
lussuoso, di ville identiche a quelle Hollywoodiane,
costruite coi soldi ottenuti dallo smaltimento di rifiuti tossici nelle campagne
campane per conto di mezza Europa; di un popolo che ormai convive con questa
criminalità organizzata, e che addirittura la protegge e ne approva l'operato.
Saviano
nel suo libro narra di come agisce il Sistema
(lui la camorra la chiama
così), che adesca nuove reclute appena adolescenti,
facendo loro credere che la loro sia l'unica scelta di vita possibile; narra
della convinzione e dell’arroganza di questi boss-bambini nel pensare che
l'unico modo di morire come un uomo vero sia quello di morire ammazzati.
Ovviamente
con questa eclatante denuncia, il giornalista ha attirato a sé le attenzioni
della camorra, che esplicitamente gli ha fatto pervenire messaggi minatori. Sin
dal 2006 quindi, vive sotto scorta, lontano da Napoli, dalla Campania, senza
poter avere fissa dimora, senza poter stilare un calendario a lungo termine per
quanto ne concerne impegni lavorativi e professionali, senza poter vivere una
vita degna, forse, di essere chiamata tale.
Pif e Saviano, alla presentazione di ZeroZeroZero alla Feltrinelli di Napoli |
Nella
puntata de’ Il testimone, Pif racconta una giornata con Saviano: una giornata
speciale, perché documentante il ritorno in terra natia dell’autore del tanto
chiacchierato libro, per presentare il nuovo libro incentrato sulla cocaina,
ZeroZeroZero, un altro documento di denuncia da parte di chi non vuole
arrendersi. E Pif
lo fa con una delicatezza degna di nota, senza essere invadente, ponendo le
domande giuste e tacendo quando il caso lo richiede.
D’altro
canto, Saviano non si è risparmiato dal raccontarsi; ha spiegato le sue paure
ed il suo dispiacere nel non poter vivere una vita normale: dietro ogni gesto,
dietro ogni decisione che non sia di stampo professionale, si nasconde un mondo
che attiva i meccanismi che permettono la sua concretizzazione.
Il
giornalista spiega, nell'intervista fatta durante il viaggio per raggiungere la
libreria di Napoli, che anche per uscire a prendere un gelato, bisogna attivare
la “macchina” della scorta: giri di telefonate, agenti che devono mollare le famiglie
per poterlo proteggere. E spesso questo lo ha indotto a rimanere a casa, a non “creare
disturbo”, ben sapendo che è nei suoi diritti poterlo fare.
E
sempre nella stessa occasione racconta della sicurezza datagli dalla visiera
del suo cappellino, che quando la abbassa sugli occhi si sente raccolto in se
stesso, lontano dagli sguardi, dalla paura.
Perché
è una eterna paura la sua vita. Devi abituarti ai viaggi ansiosi ed ai
repentini sballottamenti in auto, devi superare il timore di agguati, devi
attendere che ogni luogo in cui entrerai sia prima controllato dagli
artificieri. Non è un bel vivere questo.
Eppure
nonostante ciò la sua vita continua. È sicuramente stata un’emozione vederlo
camminare nella sua amata Napoli, respirare finalmente l’aria di casa. Anche se solo per qualche secondo, anche se
solo per qualche tratto. E' percepibile dal video trasmesso, l’ansia del
giornalista, la tensione di parlare ai suoi concittadini e la paura che
qualcosa andasse storto. Noi non ci pensiamo perché diamo per scontato che
vivremo a lungo, ma per chi la morte la sente ogni volta che esce di casa e
spesso anche quando vi è dentro, ogni minimo palpito è un boato.
Roberto Saviano |
Rimango
basito quando penso che molte persone si chiedono come egli ancora non sia
stato ucciso dalla camorra; non capisco come solo si possa pensare una cosa
così aberrante, però poi mi rispondo confermando a me stesso che è comunque una
domanda lecita: anche se la mafia non esiste, esiste. Ed è potente,
spregiudicata, non ha freni; ha talpe ovunque. In effetti può farlo fuori
quando vuole.
Poi
penso a quella che è la considerazione di un amico, che discutendo su questo,
pensa che in fondo alla mafia conviene non uccidere Saviano: sarebbe come
ammettere che ciò che dice è vero.
Non
so qual è la verità. Forse la verità è che se è possibile aprire un discorso -
molto surreale – sulle future sorti di un uomo, quotando la sua tragica fine o
serena continuazione della vita, allora siamo alle pezze. Probabilmente ha
ragione Pif: se ci fossero più Saviano e meno omertosi, se anche noi nel nostro
piccolo facessimo qualcosa per debellare questo male, per schierarci
attivamente a protezione di ideali e di giustizia, la nostra coscienza di cittadini
sarebbe serena e magari il mondo, l’Italia, sarebbe un po’ diversa.
E
invece oggi ci ritroviamo qui, a rimpiangere Borsellino e Falcone, a ricordare
Peppino Impastato e a dirci che questo non deve più accadere. Facendo però
finta allo stesso tempo, magari, che i casi Saviano non esistano, che sia
normale che chi ha cresciuto il giornalista, che chi lo ha visto in giro per le
strade sin da piccolo, alla domanda di Pif: “Conosce Saviano? Se lo ricorda?”,
rispondano: “Certo! Sta parlando del salumiere, no?”.
Suvvia,
Saviano lo conoscono tutti. Lo conosco io, che sono canosino, lo conosce chi
vede Che tempo che fa, lo conosce chi vede assiduamente Il testimone e lo
conosci tu, che stai leggendo questo post. Figurati se non lo conoscono i suoi concittadini, che hanno le
loro attività e le loro case sulla stessa strada della sua.
Meno male
che Roberto Saviano ride quando assiste a questa “paura”; lo capisce, la giustifica in qualche modo: non tutti hanno il suo coraggio, non tutti sono
capaci di schierarsi.
Ride
Saviano e quando ride sembra un bambino. Perché è sempre emozionante rivivere i
luoghi e le persone della propria infanzia, anche quando parte di questi ti
rinnega, anche quando sai che non potrai tornarci forse mai più.
Posto a seguire la puntata de Il testimone appena discussa. Se avete 45 minuti da dedicare alla causa fatelo. Anche solo questo gesto potrebbe rivelarsi uno schieramento. Fidatevi.